La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 29 agosto 2015

Le vacche bigie del ministro Poletti

di Sergio Brasini e Giorgio Tassinari
Abbiamo lettio l'articolo di Marta Fana sull’errore del Mini­stero del Lavoro nel tota­liz­zare il numero di avvia­menti al lavoro nel corso dei primi sette mesi del 2015 (circa un milione di eventi in più). Il dato più rile­vante è costi­tuito dalla varia­zione del “saldo” tra avvia­menti e ces­sa­zioni. Secondo la nota dif­fusa dal Mini­stero del lavoro il 25 ago­sto, tale saldo è stato posi­tivo nei primi sette mesi del 2015 per circa 1.136.000 eventi,
men­tre negli stessi sette mesi del 2014 il saldo posi­tivo fu pari a 986.000. L’effetto dif­fe­ren­ziale tra il primo seme­stre 2015 e il primo seme­stre 2014 sarebbe stato solo di 150.000 eventi, su un com­plesso di 5.150.000 avvia­menti nel 2015. Non irri­le­vante, certo, ma tale da non giu­sti­fi­care affatto il trion­fa­li­smo del governo sugli effetti delle sue riforme. E’ comun­que pre­oc­cu­pante il ridu­zio­ni­smo che innerva que­sti con­fronti, senza tener conto del mutare delle con­di­zioni eco­no­mi­che al con­torno, come in una notte in cui tutte le vac­che sono bigie. In effetti l’economia ita­liana nella prima metà del 2015 ha bene­fi­ciato di con­di­zioni “esterne” straor­di­na­ria­mente favo­re­voli: il rialzo del dol­laro (da 1,30 a 1,10 dol­lari per un euro), la ridu­zione del prezzo del petro­lio (che si è pres­so­ché dimez­zato), la fase posi­tiva della domanda estera (il saldo del com­mer­cio estero nel primo seme­stre del 2015 è stato pari a + 18,5 mld).

In ragione di que­ste con­di­zioni favo­re­voli l’incremento dell’occupazione avrebbe dovuto essere assai più robu­sto di quanto mostrino gli stessi dati INPS; ed i dati ISTAT, che al con­tra­rio dei pre­ce­denti si rife­ri­scono a “teste” e non a eventi, segna­lano addi­rit­tura una dimi­nu­zione degli occu­pati tra gen­naio e giu­gno 2015 (da 22.340.000 a 22.297.000). Poche parole infine sull’aumento degli avvia­menti a “tempo indeterminato”.
Il con­fronto tra “prima” e “dopo” il Jobs Act è impro­prio, per diversi motivi. In primo luogo per­ché sono cam­biate le con­di­zioni al con­torno, e quindi ogni com­pa­ra­zione andrebbe fatta dopo aver “depu­rato” i dati degli effetti di tali cam­bia­menti. In secondo luogo per­ché sono cam­biate radi­cal­mente le con­di­zioni qua­li­ta­tive dell’occupazione, come sa benis­simo chiun­que stia cer­cando un nuovo posto di lavoro. Ma l’elemento più ecla­tante della vicenda sta pro­prio nell’errore, gigan­te­sco nelle sue pro­por­zioni. Non è un caso che l’ISTAT sia un’agenzia indi­pen­dente dal governo (riforma Rey-Zuliani), pro­prio per­ché le sta­ti­sti­che riflet­tono la realtà, ma ine­vi­ta­bil­mente la defor­mano, come fa ogni spec­chio; comun­que è sulla loro base che si costrui­sce l’ermeneutica di una società. Bene è quindi che le pro­ce­dure di costru­zione del dato siano pub­bli­che, tra­spa­renti, aggre­di­bili almeno dagli addetti ai lavori senza pro­blemi. In tutti i paesi a demo­cra­zia libe­rale la sta­ti­stica uffi­ciale è indi­pen­dente dal governo. L’Amministrazione Pub­blica for­ni­sce i dati di base, ma è l’Agenzia Sta­ti­stica Nazio­nale che li rac­co­glie e li ela­bora. Negli Stati Uniti, addi­rit­tura, il potere sta­ti­stico è diviso tra più Agen­zie. Pro­prio per la deli­ca­tezza del tema “mer­cato del lavoro”, e per la sua cen­tra­lità nel dibat­tito politico-economico, auspi­chiamo che la Com­mis­sione per la Garan­zia della Qua­lità dell’Informazione Sta­ti­stica affronti al più pre­sto que­sto tema.

Fonte: il manifesto

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.