La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 29 agosto 2015

Inps e lavoratori alle prese con la Naspi

di Marta Fana
Il nuovo asse­gno di disoc­cu­pa­zione, la Naspi, disci­pli­nato dai primi decreti del Job­sAct è stato un altro cavallo di bat­ta­glia del governo: più tutele per tutti era il motto che ne accom­pa­gnava l’introduzione. Ieri l’inps fa sapere che sono state defi­nite 211.692 domande su 513.861 pre­sen­tate a par­tire dal primo mag­gio di quest’anno, data dell’entrata in vigore del rela­tivo decreto, cioè il 41% del totale. Tut­ta­via, le domande defi­nite non impli­cano che gli asse­gni siano stati ero­gati ai disoc­cu­pati, in quanto pos­sono essere state respinte dall’Inps per man­canza dei requi­siti o altro. Con rife­ri­mento ai pre­cari della scuola, invece, «da fine giu­gno al 27 ago­sto sono per­ve­nute 115.834 domande e ne sono state defi­nite e pagate 53.957», il 46%.
I ritardi accu­mu­lati in que­sti mesi sono dovuti, spiega l’Inps, alla gestione del nuovo cal­colo dell’assegno, che si basa su cri­teri diversi rispetto alle pre­ce­denti Aspi e MiniA­spi. Infatti, il cal­colo per l’accesso ai requi­siti e l’entità dell’assegno va ora fatto sui quat­tro anni che pre­ce­dono la domanda, fermo restando che il requi­sito lavo­ra­tivo viene cal­co­lato sui dodici mesi ante­riori alla domanda. Modi­fi­che che richie­dono una ricerca più lunga e forse com­plessa, all’interno delle ban­che dati.
Dalla nota dell’Inps non è pos­si­bile tut­ta­via cono­scere a quali tipo­lo­gie con­trat­tuali fanno le domande in sca­denza di paga­mento e quelle riget­tate. In fondo è stato que­sto l’argomento che ha accom­pa­gnato il dibat­tito sui nuovi ammor­tiz­za­tori in caso di disoc­cu­pa­zione. Il governo sban­die­rava l’universalizzazione dell’assegno di disoc­cu­pa­zione, ma la realtà dai decreti risultò ben diversa. Inol­tre, come ha fatto notare anche ieri Susanna Camusso, durante il dibat­tito con il mini­stro del lavoro alla festa dell’Unità di Milano, con la Naspi ven­gono pena­liz­zati i lavo­ra­tori sta­gio­nali e quei lavo­ra­tori per cui si appli­cava l’indennità di disoc­cu­pa­zione a requi­siti ridotti.
Riman­gono esclusi tutti i con­tratti ati­pici di lavoro non dipen­dente, a parte quelli in sca­denza rela­tivi col­la­bo­ra­zioni, per cui è pre­vi­sta la Dis.Coll e il cui diritto si ferma al 31dicembre a meno di nuovi fondi ad hoc stan­ziati in legge di sta­bi­lità. Quindi anche tutti i pre­sta­tori di lavoro acces­so­rio, pagati attra­verso i vou­cher, veri pro­ta­go­ni­sti del nuovo lavoro pre­ca­rio. Nel primo seme­stre, sono stati ven­duti 49.896.489 di vou­cher, un aumento del +74% rispetto al primo seme­stre del 2014, ben mag­giore di quello tanto pro­cla­mato dal governo rela­tivo ai con­tratti a tempo inde­ter­mi­nato. È vero che è pos­si­bile con­ti­nuare a per­ce­pire l’assegno di disoc­cu­pa­zione se si è pre­sta­tori di lavoro acces­so­rio, nono­stante limiti pre­vi­sti di red­dito. Tut­ta­via nel caso in cui i pre­sta­tori di lavoro acces­so­rio non godano già di un asse­gno di soste­gno al red­dito, essi saranno con ele­vata pro­ba­bi­lità tra le prime file dei lavo­ra­tori poveri, i wor­king poors.
Ci pen­se­ranno gli 80 euro a risol­le­vare le con­di­zioni eco­no­mi­che di que­sti cit­ta­dini? Non di certo, in quanto pre­vi­sti sol­tanto per coloro che hanno un red­dito tra gli otto e i ven­ti­cin­que­mila euro annui, men­tre il limite per i vou­cher è 7000 euro. Biso­gne­rebbe forse ricor­darlo al con­si­gliere eco­no­mico del Pd Filippo Tad­dei che pro­prio ieri invia su twit­ter una tabella dal sito del Pd a pro­po­sito di tasse, soste­nendo che il governo Renzi, oltre ad essere l’unico ad aver abbas­sato le tasse finora, ha aiu­tato con gli 80 euro pro­prio gli ita­liani più poveri. Certo, la soglia di povertà rimane una misura poli­tica, per­ché sep­pure sia uno stru­mento sta­ti­stico, dipende dalla defi­ni­zione di povertà che pre­vale in un Paese, viene allora spon­ta­neo chie­dere al pro­fes­sor Tad­dei, come poter defi­nire tutti coloro che non rie­scono a gua­da­gnare nep­pure 8000 euro all’anno.

Fonte: il manifesto

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