di Mauro Barberis
Apparentemente, il voto dell’Aula del Senato, dove il PDR (il Partito
Di Renzi), ha salvato Antonio Azzollini dagli arresti domiciliari, è
solo l’ennesimo episodio di una serie nera iniziata con le
amministrative di primavera. Da allora, se ci pensate, il Presidente del
Consiglio e Segretario del Pd ha perso molta della sua naturale
baldanza ed è tornato fra noi umani, con conseguente dimezzamento nei
sondaggi, almeno a confrontarli con quelli delle Europee dell’anno
scorso. Ulteriore conseguenza di questa perdita di sicurezza, non gliene
è più andata dritta una.
Su tutte le questioni importanti che hanno agitato la politica
interna e internazionale di questi mesi, in effetti, Renzi ha sempre
fatto figure del genere vorrei-ma-non-posso. Sulla crisi greca, avrebbe
pure voluto dare una mano a Tsipras, non foss’altro per tener botta
sulle politiche anti-austerity, e invece ha dovuto limitarsi ad
assistere allo schiaffeggiamento tedesco. Sul caso Crocetta, avrebbe
voluto liberarsi al più presto del vulcanico, è il caso di dire,
presidente siciliano, ma ha dovuto abbozzare dinanzi allo sgonfiamento
della bolla mediatica prodotta da intercettazioni dubbie.
Sul caso Roma, analogamente, avrebbe voluto mollare il
chirurgo-sindaco, onesto ma incapace di fronteggiare il degrado di una
capitale diventata una burletta sulla grande stampa internazionale, ed è
riuscito a farsi scavalcare persino dal presidente dei Dem, l’ex
giovane turco Matteo Orfini. Infine, mentre i suoi uomini difendevano
tagli alla sanità che fanno il paio con la controriforma della scuola, è
tornato alle berlusconate d’antan, promettendo tagli delle tasse. Cosa
volete che sia, di fronte a tutto questo, il salvataggio dagli arresti
dell’ennesimo NCD?
Eppure, non si tratta solo di un incidente di percorso: c’è una
logica dietro questa apaprente follia. La spiegazione si trova in
un’altra sigla, ALA (Alleanza Liberalpopolare Autonomie), il gruppo
degli scissionisti di Forza Italia capitanato dall’immarcescibile Denis
Verdini per riavvicinarsi all’NCD e a un altro immortale, Pier
Ferdinando Casini. Pure qui, apparentemente si tratta di grandi manovre,
si fa per dire, per rifondare un centro moderato, in realtà di dare una
mano a Renzi quando dovrà combattere, al Senato, la Madre di Tutte le
Battaglie, quella sulla riforma costituzionale, contro una sinistra dem
ormai invelenita.
Ora, si pensa troppo male, e si ipotizza che anche il salvataggio di
Azzollini rientri in queste manovre per un appuntamento cui sono appese
le sorti della legislatura? Se così fosse non ci sarebbe da stare
allegri: perché ci si troverebbe di fronte a un cattivo mezzo impiegato a
un fine ancora peggiore, la riforma della Costituzione affidata al trio
RAV, composto non da De Gasperi, Togliatti e Nenni, ma da Renzi,
Azzollini e Verdini.
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