La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 22 aprile 2016

La direttiva sulla protezione del segreto aziendale: a quale prezzo?

di Claudia Vago
Si chiama “Directive on the protection of undisclosed know-how and business information (trade secrets) against their unlawful acquisition, use and disclosure”, in breve “Trade Secrets Protection”, “direttiva per la protezione del segreto aziendale”, la direttiva approvata a larghissima maggioranza (il 77% dei voti favorevoli) giovedì 14 aprile dal Parlamento Europeo per fornire le imprese di un nuovo strumento giuridico per proteggersi dallo spionaggio economico e industriale.
Non che mancassero strumenti giuridici: già oggi la proprietà intellettuale è protetta in tutta Europa da leggi a volte anche troppo rigide ed esiste la possibilità di rivolgersi a tribunali penali in caso di furti, per esempio di documenti. La Commissione Europea, però, ha ceduto alla pressione delle grandi aziende multinazionali che volevano avere in Europa lo stesso arsenale giuridico di cui dispongono la Cina e gli Stati Uniti.
Formalmente pensata per proteggere le piccole e medie imprese, è curioso che la Commissione in fase di stesura del testo abbia incontrato solo rappresentanti di multinazionali e alcun rappresentate di PMI, figurarsi di sindacati o gruppi della società civile, come denunciano organizzazioni non governative che monitorano i rapporti tra le istituzioni europee e le lobby economiche e finanziarie.
La protezione è esclusa nel caso in cui la divulgazione del segreto aziendale serva l’interesse pubblico nella misura in cui permette di rivelare un errore professionale o altri tipi di errore o attività illegali direttamente collegati al segreto. Il problema è che la direttiva non definisce chiaramente né l’interesse pubblico né il modo in cui si manifesta la pertinenza, il collegamento tra il segreto svelato e l’errore o l’attività illegale.
Per fare un esempio, nel caso dei Panama papers molte società offshore che compaiono nei documenti pubblicati dall’inchiesta non hanno commesso illeciti. Grazie alla nuova direttiva potrebbero rivolgersi a un tribunale per mettere a tacere i media o richiedere alle fonti delle informazioni e ai giornalisti che le hanno diffuse milioni, se non miliardi, di euro di indennizzo.
Poiché non c’è definizione univoca, nemmeno nell’articolo 5 che tratta le eccezioni per la libertà di espressione e informazione, sarà la discrezione di un giudice a decidere, di volta in volta, cosa può essere pubblicato e cosa no, a costringere whistleblower e giornalisti a pagare multe colossali. Indubbiamente un freno molto efficace alla diffusione di informazioni che il pubblico dovrebbe invece conoscere. Difficile immaginare che qualcuno voglia correre il rischio di dover pagare multe così salate per aver sottratto dei documenti o averli pubblicati. Ancora più difficile se si pensa che in Europa solo cinque Paesi dispongono di una legislazione completa per la protezione dei whistleblower: Francia, Gran Bretagna, Lussemburgo, Romania e Slovenia. E questa nuova direttiva non va nella direzione di aiutare gli altri Paesi a dotarsene.
Negli scorsi mesi era stata lanciata una petizione, firmata da oltre 500.000 persone, tra i cui primi firmatari figurano direttori di testate molto importanti, whistleblower alla base dei maggiori scandali che hanno coinvolto istituti bancari e finanziari negli ultimi anni: Hervé Falciani, la cui “lista Falciani” è alla base dell’inchiesta SwissLeaks, Antoine Deltour e Edouard Perrin, giornalista e whistleblower all’orine dello scandalo LuxLeaks che ha portato alla luce un sistema di aiuto all’evasione fiscale per grandi multinazionali ad opera delle istituzioni del Lussemburgo all’epoca in cui Jean-Claude Juncker, oggi presidente della Commissione Europea, era primo ministro.
La direttiva è stata approvata a larghissima maggioranza. Hanno votato contro compattamente solo i parlamentari del GUE, la sinistra europea, e dei Verdi. Si sono astenuti gli europarlamentari del M5S.




A questo link puoi scoprire come ha votato il parlamentare europeo che hai eletto due anni fa.
E ora?
Ora i 28 Stati membri dell’Unione hanno due anni di tempo per tradurre la direttiva nella propria legislazione nazionale e, data la mancanza di chiarezza, alcuni saranno sicuramente tentati di usarla per soffocare inchieste che possono compromettere il potere economico e/o politico. La BBC, ha intervistato il relatore della direttiva, la francese Constance Le Grip, sui rischi corsi dai giornalisti e dai whistleblower che rivelassero informazioni aziendali. Alla domanda: «Potete giurare che nessuno sarà condannato a causa di questa direttiva?», Le Grip ha risposto: «Non sono un giudice». E del resto, gli eurodeputati della sinistra e dei verdi che si sono opposti denunciavano come la direttiva sposti l’onere della prova sui whistleblower invece che sulle aziende.
La speranza delle organizzazioni della società civile che si oppongono a questa direttiva è che gli stati la rifiutino e fannoesplicito appello sostenuto da una petizione online che ha già superato le 150.000 firme.

Fonte: nonconimieisoldi.org

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