La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 23 aprile 2016

Regeni, una verità in ostaggio

di Alberto Negri
Il caso di Giulio Regeni rischia di essere sepolto a sangue freddo. Le nuove rivelazioni ci dicono quanto si sospettava (e si scriveva) dall’inizio: che la verità sull’assassinio del giovane ricercatore è anche ostaggio dei divergenti interessi geopolitici nella regione. A sangue freddo, così verrà sepolto il caso Regeni. Le ultime rivelazioni della Reuters confermano quanto si era banalmente scritto dal primo giorno, nonostante le continue smentite del Cairo: il giovane ricercatore italiano sarebbe stato prelevato dalla polizia che lo seguiva per la sua attività di indagine in campo sindacale, in quei settori della società civile egiziana dove era maturata la rivolta contro il regime di Mubarak. Giulio Regeni, torturato e ucciso al Cairo, era stato fermato dalla polizia e poi trasferito in un compound gestito dai servizi di sicurezza il giorno in cui scomparve: era il 25 gennaio, anniversario della rivolta di Piazza Tahrir del 2011. La Reuters cita sei fonti, tre della polizia e tre dell’intelligence, che smentiscono la versione ufficiale secondo cui i servizi segreti non avevano arrestato Regeni. Tutte notizie che, come da copione, sono state smentite dal ministero degli Interni egiziano.
Le testimonianze sulle torture inflitte appaiono dettagliate e sono state anche accompagnate da dichiarazioni alla Cnn della figlia del capo della banda di rapinatori uccisi al Cairo in possesso dei documenti di Regeni: la donna ha accusato la polizia di avere eliminato marito e fratello per far credere che fossero loro i torturatori. Si può essere anche stupiti dalla presunta goffaggine di questo regime che fa fuori uno straniero il cui cadavere viene rinvenuto in un fosso e dichiara subito dopo che si è trattato di un incidente d’auto. Per poi tentare di mascherare quanto avvenuto addossando la responsabilità a una banda di criminali da strada, uccisi con un colpo in testa per chiudergli la bocca. 
Questi “bravi ragazzi” egiziani fanno le cose male e poi mettono nei guai anche il capo, cioè un generale che appare sempre meno credibile e discretamente menzognero, pur di difendere l’operato di una polizia che magari in certi settori sfugge al suo controllo. 
A noi però sembra così, non ai leader occidentali che lo corteggiano. Il segretario di Stato John Kerry è stato ricevuto da Al Sisi preceduto dalla decisione di sospendere le sanzioni americane sugli aiuti militari, 1,3 miliardi di dollari l’anno. Presto all'Egitto, dopo i 24 Rafale francesi, 5,2 miliardi di euro pagati con i soldi dei sauditi, verranno consegnati gli F-16 americani. L’Egitto, spiegano gli Usa, è una pedina fondamentale per la stabilità e conduce una lotta senza quartiere al Califfato. Tanto basta. Un veloce accenno alla questione dei diritti umani, con una dichiarazione assai obliqua di Kerry, «esistono delle differenze da risolvere», e poi il segretario di Stato è ripartito per il Golfo dove lo aspettavano i sauditi, i maggiori acquirenti di armi americane e i più importanti sostenitori del generale che ai loro occhi ha avuto il merito di far fuori i Fratelli Musulmani.
Come è ovvio il deterioramento dei rapporti tra Italia ed Egitto apre la strada agli affari degli altri. Lo ha dimostrato la visita al Cairo del presidente francese Hollande che ha portato a casa un bottino di un miliardo e mezzo di euro di commesse. Con il presidente egiziano Al Sisi, ha detto Hollande, «abbiamo parlato di diritti umani affrontando alcuni dei casi più delicati, come quello di Regeni e di Eric Lang», un francese morto in circostanze controverse in un commissariato della capitale egiziana nel 2013. 
Ma non ha chiarito né il contenuto del colloquio né preso le distanze dalla lettura che il leader egiziano ha dato della vicenda: «Un tentativo di sbriciolare le istituzioni egiziane». Ma il generale Al Sisi per Hollande non è semplicemente un uomo con il quale concludere affari, è il partner decisivo della Francia nella regione e in Libia dove i francesi contano di mettere la mani sulle riserve petrolifere della Cirenaica appoggiandosi al Cairo e al generale Khalifa Haftar. Regeni di questo passo verrà stritolato una seconda volta, dalla geopolitica.

Articolo pubblicato su Il Sole 24Ore
Fonte: pagina Facebook dell'Autore

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