La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 20 maggio 2016

Licio Gelli: l’oro nella tomba

di Eric Gobetti
È stato sepolto con l’oro, come gli antichi faraoni, Licio Gelli. L’uomo più misterioso d’Italia è morto com’era vissuto, portando nella tomba i suoi segreti. Tra i quali alcune tonnellate di lingotti d’oro. Non suoi, evidentemente, ma provenienti dalla casse della banca centrale jugoslava. Un tesoro scomparso misteriosamente nel 1941, e mai più ritrovato. Un tesoro che potrebbe almeno in parte spiegare l’irresistibile ascesa e l’immenso potere di questo oscuro faccendiere di provincia. Ma andiamo con ordine. In piena seconda guerra mondiale, il 6 aprile 1941 il regno di Jugoslavia viene invaso dalle armate tedesche. L’Italia partecipa timidamente all’invasione ma sono i carri armati nazisti che in pochi giorni costringono alla resa l’impreparato esercito jugoslavo. Il governo e la corte, con il re minorenne in testa, fuggono verso il Montenegro.
Scappano coi soldi, letteralmente, nel senso che si portano via i gioielli della corona e il tesoro aureo della banca centrale, 60 tonnellate di lingotti d’oro. Sperano di imbarcarsi a Cattaro, ma il tempo stringe. Gli italiani occupano i porti e i dignitari jugoslavi sono costretti a fuggire in aereo, in Egitto e poi a Londra, mettendo in salvo solo una minima parte del tesoro della corona. Che fine fanno i lingotti d’oro?
Secondo le consuetudini di guerra, chi conquista la capitale di un paese ha il diritto di incamerarne le risorse auree. I tedeschi però non trovano l’oro nel cavò della banca centrale jugoslava a Belgrado. Gli agenti nazisti ne seguono le tracce come segugi, e le tracce portano in Montenegro. Qui i funzionari jugoslavi hanno alla fine nascosto il tesoro in una grotta, nei pressi di Nikšić. Gli italiani non faticano a trovarlo, e prima che i tedeschi ne chiedano la consegna, lo fanno sparire, trasportandolo in Albania. Ora però si pone il problema di come farlo giungere in Italia, sottraendolo una volta per tutte dalle mire tedesche. È qui che entra in gioco Licio Gelli, all’epoca giovane e brillante sottufficiale del SIM, il servizio segreto militare. Sarebbe infatti stato lui ad essere incaricato di trovare il sistema per trasferire il tesoro in Italia. Un sistema che si rivela efficace: l’oro viene trasportato in tutta tranquillità su un treno-ospedale, che attraversa i territori jugoslavi occupati dai nazisti. È una beffa, e funziona.
Negli anni successivi il tesoro jugoslavo segue vie diverse. Finisce in un deposito segreto della banca d’Italia, a Roma, per poi essere intercettato dai nazisti nel 1943 e trasferito verso Nord. Alla fine della guerra la riserva aurea viene in parte restituita alla Jugoslavia, ora guidata dal comunista Tito. Mancano però all’appello almeno 20 tonnellate d’oro. Questo “fondo nero” potrebbe aver finanziato la guerra sporca al confine orientale nell’immediato dopoguerra, oppure avrebbe favorito la fuga ai principali criminali di guerra croati, responsabili dell’uccisione di centinaia di migliaia di persone. Ironia della sorte, sarebbe stato proprio l’oro della banca centrale jugoslava ad essere usato per operazioni antijugoslave in quegli anni.
Gelli nel frattempo è passato dalla RSI alla Resistenza, fungendo da agente doppiogiochista dei servizi americani a cavallo della Liberazione. Nel dopoguerra è coinvolto nella costruzione della struttura segreta italo-americana denominataGladio. Collabora con la CIA e con Peròn; entra nella massoneria e fonda la P2, viene coinvolto in tentativi di golpe e crack finanziari; è inquisito, condannato e prosciolto varie volte. Molto è stato scritto su questi anni, sul suo ruolo di mediatore fra i poteri forti italiani e le esigenze della politica estera statunitense. Ben poco si sa invece dell’oro jugoslavo, che potrebbe essere il segreto del suo successo, l’elisir di eterna giovinezza di un uomo che è parso immortale. D’altronde che ci facevano quei lingotti d’oro “di un paese dell’Est” rinvenuti nel giardino di Villa Wanda durante una perquisizione del 1998?
Gelli non ha negato, in alcune interviste concesse nel corso dei decenni, di aver condotto una breve missione in Montenegro durante l’occupazione. Il legame col piccolo paese balcanico è rimasto vivo fino all’ultimo, tanto che si è parlato di un suo coinvolgimento nell’affaire Mamula: la trasformazione di un’isola-lager al largo delle Bocche di Cattaro in un resort a cinque stelle, grazie a un forte investimento arabo.
Eppure, per scrivere questa storia tutta intera mancano diversi tasselli, in molti passaggi il condizionale è d’obbligo. In tanti anni di ricerca non sono mai riuscito a scovare prove inoppugnabili circa il trasporto dell’oro jugoslavo e il coinvolgimento di Gelli; solo fonti indirette, piccole notizie, voci. Negli anni Ottanta qualche giornalista – lo jugoslavo Branko Miljuš, l’italiano Gianfranco Piazzesi – aveva provato a sollevare il velo del mistero. Ma gli archivi storici, opportunamente depurati, ancora tacciono.
Come tanti altri misteri d’Italia, anche la sorte del tesoro jugoslavo resta un enigma irrisolto; chiuso nella bara di Licio Gelli.

Fonte: lavoroculturale.org

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