La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 29 settembre 2016

Colombia: Sì alla pace, ma vogliamo di più

Intervista a Gladys Rojas di Andres Figueroa Cornejo
Gladys Rojas fa parte del gruppo di lavoro della Corporacion Sembrar, un collettivo per la difesa dei diritti umani con più di venti anni di esperienza che lavora principalmente nel sud del dipartimento di Bolivar sin dai tempi più duri dell’incursione paramilitare in questa regione. Gladys è un’attivista sociale che iniziò la sua lotta trenta anni fa lavorando nell’alfabetizzazione delle zone rurali. Oggi supporta le comunità agro-minerarie della zona e collabora con le vittime delle violazioni dei diritti umani in materia psicosociale.
L’organizzazione Sembrar si relaziona a livello nazionale con il Movimiento de Victimas de Crimenes de Estado, con la Red de Hermandad Y Solidaridad con Colombia e con il Congreso de los Pueblos.
Oggi la Colombia è al centro dell’attenzione sia in America Latina sia a livello internazionale per via del processo di pace. Quali sono secondo te e secondo le organizzazioni a cui appartieni le condizioni di una pace realistica per i popoli colombiani?
"Può sembrare molto pessimista, però quando come leader sociali lavoriamo sul campo, vivendo ogni giorno insieme alle comunità contadine, afro e indigene, questa pace non si vede. La realtà nei territori non ha nulla a che vedere con uno scenario di pace. Nelle regioni le cause strutturali che originarono il conflitto sociale e armato nel paese restano intatte. Non esiste nessun interesse per lo stato colombiano ad affrontare queste cause sistemiche. Al contrario ha solo l’interesse a “decorare” il paese per venderlo agli interessi transnazionali. E di fronte a questo obiettivo il movimento sociale e insorgente rappresenta un ostacolo. È quindi necessario neutralizzarlo con qualsiasi mezzo."
Quali sono queste cause strutturali?
"Consideriamo che esistevano tre elementi strutturali che portarono al conflitto sociale e armato: la privazione delle terre, la disuguaglianza economica e l’esclusione politica. Per noi una pace stabile e duratura deve superare e risolvere queste tre questioni. Tutte le rivendicazioni che abbiamo conquistato si sono raggiunte attraverso la mobilitazione e la lotta. E cosi sarà anche nel futuro."
Per riprodursi il capitalismo richiede la distruzione incessante di capitale. Se lo stato capitalista colombiano, subordinato agli interessi statunitensi cosi come molte altri paesi del pianeta, cerca di superare la crisi attraverso l’estrazione distruttiva delle risorse naturali, il debito e il supersfruttamento del lavoro salariato, che fiducia avete che il governo di Santos risolva le cause sistemiche che iniziarono e mantengono vivo il conflitto nel paese?
"Nessuna fiducia. Noi riconosciamo che gli accordi di La Habana sono un passo importante nella costruzione della pace. Sappiamo che significherà salvare molte vite umane in Colombia. Senza dubbio però la realtà ci mostra che non si regala niente al movimento sociale. Storicamente tutte le rivendicazioni che abbiamo conquistato si sono raggiunte attraverso la mobilizzazione e la lotta. E cosi sarà, se quello che vogliamo è una pace al servizio degli interessi del popolo colombiano. In tutto questo processo manca la partecipazione delle comunità e della popolazione."
In Cile, all’inizio degli anni '90 del Ventesimo secolo, il primo presidente civile dopo la dittatura, il democristiano Patricio Aylwin, a proposito della lotta per la verità e la giustizia contro i crimini della tirannia civile e militare coniò l’infelice espressione di “giustizia... nei limiti del possibile”. La frase di Aylwin, uno dei golpisti più importanti durante il governo di Salvador Allende, vive ancora oggi in Cile a causa degli accordi tra le fazioni del potere presi per rendere inattaccabili storicamente Augusto Pinochet ed i principali artefici della più sanguinosa dittatura che si registri nella storia di quel paese. Da questo punto di vista cosa c'è nella pace in Colombia?
"Lo Stato colombiano è per la pace, nel limite del "per quanto possibile" e precisamente "a sua misura". Per quanto riguarda la sfera dei diritti umani, seguendo il processo degli accordi di La Habana rispetto alle istanze di verità e giustizia, esistono forti scetticismo e delusione tra le vittime, dovuti al fatto che l’accordo promuoverà la totale impunità nei confronti di molti responsabili dei crimini commessi dalle forze di polizia. Nei fatti questo processo li renderà immuni. In questo senso gli anni di lavoro, lotta e sacrificio in vite umane per la ricerca della verità e la giustizia, sono avvenuti invano. Molti militari che siamo riusciti a portare in carcere, con un altissimo prezzo in vite umane, resteranno liberi."
Quindi che tipo di pace è quella degli accordi di La Habana?
"Una pace incompleta. Mancano altri gruppi insorgenti che ancora devono essere considerati. Però prima di tutto manca la partecipazione delle comunità e della popolazione colombiana che hanno vissuto le conseguenze della guerra e che fino ad ora non sono state considerate. Se a questo si aggiunge la mancata risoluzione delle cause strutturali del conflitto, il percorso deve ancora partire. È importante segnalare che per il referendum di domenica siamo per il “Sì e vogliamo di più”, in relazione agli aspetti prima descritti."
Dalla fine delle ostilità tra il governo e le Farc derivanti dagli accordi siglati il 26 agosto e il 14 settembre 2016, sono stati assassinati più di una dozzina tra attivisti sociali e difensori dei diritti umani, e altrettanti sono stati minacciati di morte. Che significato hanno questi fatti quando si parla di pace?
"Significa che quando tutti sono distratti con il discorso della pace, le attiviste e gli attivisti sociali e i difensori dei diritti umani, che continuano il loro lavoro nei territori, sono vittime del paramilitarismo e della repressione della polizia governativa. In Colombia ogni volta che si parla di pace c’è sempre guerra. Ora si aspetterà il risultato del referendum prima di riprendere la repressione. Già si prevede una sua esasperazione attraverso i gruppi paramilitari e la polizia con la scusa di dover perseguire l’"Esercito di liberazione nazionale (ELN)", che diventerà per i militari uno degli obiettivi più importanti da reprimere. In questo contesto noi attiviste e attivisti sociali delle comunità siamo i più esposti."
Quali sono stati i punti di forza del movimento sociale in Colombia?
"La costruzione quotidiana con le comunità. Vivere le loro allegrie ed i loro dolori, i trionfi e le sconfitte. La nostra convinzione rimane quella che un altro mondo sia possibile, rimane l’amore infinito per la libertà e la giustizia. D’altra parte la spinta verso tutto questo ovviamente non è solo merito nostro. Abbiamo ricevuto l’esempio dei movimenti popolari cileni, ecuadoriani, argentini, cubani, venezuelani, ecc. Esiste un feedback permanente che ha rafforzato tutto il sentimento di resistenza latinoamericana."
Se la solidarietà è la dolcezza dei popoli, cosa chiedete agli e alle attiviste sociali del continente e del mondo in questa situazione così incerta?
"Che continuino ad accompagnarci nella creazione di una pace vera e necessaria per la Colombia e nel lavoro collettivo per costruire un’America Latina come noi la vogliamo."

Articolo pubblicato su Rebelion.org
Traduzione di Piergiuseppe Lasalandra
Fonte: communianet.org 

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