La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 1 ottobre 2016

Offrire solidarietà per un’umanità senza confini

di Adam Parsons
In seguito al primissimo Summit dell’ONU per i rifugiati e gli immigrati, della settimana scorsa, molte organizzazioni della società civile e cittadini preoccupati, stanno facendo il bilancio delle risposta collettiva del nostro governo a questa crisi globale senza precedenti. Ci sono voluti due anni per preparare il Summit che ha dato una rara opportunità ai leader mondiali di incrementare il loro impegno in aiuto dei rifugiati e anche di mettere a punto un progetto per un piano di azione internazionale più efficace.
Elemento fondamentale di questi negoziati è stata la necessità di condividere in maniera più equa tra gli stati membri la responsabilità di occuparsi della crisi, cosa che era stato uno dei principi chiave riaffermati nel documento conclusivo. Tuttavia ci sono scarse speranze per i 21 rifugiati del mondo che le nazioni ricche condivideranno veramente – e non ridurranno le loro responsabilità per soddisfare questi diritti fondamentali delle persone vulnerabili.
Prima che il Summit si radunasse, era già chiaro che i governi ricchi non avrebbero messo le necessità dei rifugiati e degli immigrati al di sopra del loro ristretto interesse nazionale. I gruppi di destra hanno ampiamente criticato l’accordo “annacquato” adottato dall’Assemblea Generale dell’ONU, particolarmente l’impegno di sistemare il 10% della popolazione annuale di rifugiati (di per sé inadeguato) che in seguito è stato lasciato cadere dal testo del negoziato. Un’altra omissione è stato l’atteso Global Compact* sulla condivisione della responsabilità per i rifugiati che si intendeva che sarebbe stato uno dei principali risultati del Summit. Qualsiasi occasione di una soluzione globale, è invece rinviata per altri due anni di negoziati. Quello che resta è una lunga lista di impegni generali e vaghi, senza alcun tipo di meccanismo vincolante o di obiettivi decisi per la condivisione di responsabilità tra nazioni. Promesse più concrete sono state espresse a un Summit di Leader per i Rifugiati, separato, convocato dal Presidente Obama con altre 50 nazioni che insieme hanno promesso di accogliere quest’anno un numero sensibilmente maggiore di rifugiati e di aumentare a 4,5 miliardi di dollari il finanziamento. Anche queste promesse mancano, però, di una garanzia e possono essere rifiutati dagli Stati Uniti nella loro prossima amministrazione.
Dove è, quindi, la speranza che la situazione possa cambiare quando 34.000 persone
sono costrette a fuggire ogni giorno dalle loro case a causa dei conflitti e delle persecuzioni, e quando molti di loro continuano a morire nel tentativo di raggiungere la salvezza? Gli andamenti scioccanti non mostrano alcun segno di diminuzione, in gran parte spinti dai violenti conflitti in Medio Oriente e in Africa nel causare ed esacerbare i quali le potenze occidentali hanno avuto un ruolo sostanziale. Tuttavia, le reazioni che vediamo da parte dei governi spesso sono lontane dai principi scritti nella legge internazionale per i rifugiati, come riaffermato al Summit dell’ONU. Attualmente l’Europa sta costruendo più muri che durante il culmine della Guerra Fredda; vengono spesi miliardi di euro per misure di deterrenza e per accordi reazionari di cooperazione che stanno avendo un impatto limitato sul numero complessivo degli arrivi. Il nostro paese, il Regno Unito, sta facendo entrare soltanto una minuscola parte di rifugiati siriani, mentre vergognosamente dirotta parte del bilancio degli aiuti per controllare l’immigrazione dall’Africa. La posizione del nuovo governo del Regno Unito è che coloro che fuggono dalle zone di guerra dovrebbero rimanere nel primo paese sicuro che raggiungono – sostenendo quindi effettivamente che la crisi dei rifugiati è un problema di qualcun altro.
Non basta mettere in dubbio dove è la speranza, perché dove è la moralità, la gentilezza, la compassione elementare? In questa era di crescente polarizzazione, paura e pregiudizio, ci sono molti cittadini comuni che mostrano solidarietà con i rifugiati costretti a lasciare la loro patria, intervenendo come volontari nel tentativo di salvarli, dove i governi hanno fallito. L’organizzazione Share The World’s Resources(Condividere le risorse del mondo), STWR, si è unita ad altre 30.000 persone in una dimostrazione “di benvenuto ai rifugiati” svoltasi a Londra la settimana precedente al Summit dell’ONU, per chiedere al governo britannico di sistemare un numero maggiore di rifugiati e di fornire vie sicure e legali per avere l’asilo. Il numero di persone che si sono radunate era notevolmente inferiore rispetto a quello dell’anno scorso quando 100.000 avevano dimostrato e si ritenne fosse stata la più grossa manifestazione di appoggio per i rifugiati, a memoria d’uomo. Ma con una popolazione di 64 milioni di persone, un avvenimento unico di questo genere non sarebbe stato mai sufficiente a costringere il Regno Unito ad accettare la sua giusta quota di rifugiati e a fare la sua parte nel forgiare una forte azione multilaterale.
La stessa situazione riguarda altre nazioni ricche dove la maggioranza dei cittadini fa finta di non vedere la sofferenza assurda di quelli meno fortunati di loro. Va ricordato che mentre 65 milioni di persone sono oramai degli sfollati a causa della guerra o delle persecuzioni, ci sono milioni di altri che vivono in povertà estrema e che non hanno i mezzi economici di cercare rifugio all’estero, il che potrebbe costare migliaia di dollari per pagare le tariffe che chiedono i trafficanti di esseri umani. Che dire dei molti milioni di persone che non hanno sufficiente cibo da mangiare quotidianamente, o dei 22.000 bambini che muoiono ogni giorno a causa delle condizioni di povertà? La crisi globale dei rifugiati è soltanto la punta dell’iceberg, paragonata a questa più ampia tragedia di disuguaglianza e di ingiustizia che raramente viene menzionata nei reportage in tutti i media occidentali. Tuttavia il problema degli sfollati interni – cioè di quelle persone che fuggono dalle loro case ma che non attraversano i confini nazionali, che ammontano a 45 milioni – è stato ignorato dal Summit dell’ONU. Ci si ritrova quindi a farsi delle domande sul destino di miliardi di altre persone che vivono senza adeguati mezzi di sopravvivenza in tutto il mondo, fintanto che la mancanza di compassione nella legislazione globale è supportata da un’indifferenza pubblica generalizzata.
Si è dato molto peso alla fondamentale ingiustizia del modo in cui la responsabilità è condivisa tra le nazioni per migliorare la crisi dei rifugiati, per cui soltanto il 14% dei rifugiati vengono ospitati nelle zone più ricche del mondo. Secondo un’analisi della Oxfam, più della metà dei rifugiati è stata ospitata soltanto da 6 paesi e territori che rappresentano meno del 2% dell’economia globale. Ma è forse una sorpresa quando consideriamo la mancanza di condivisione che caratterizza il pianeta nel suo complesso, e le disuguaglianze di vecchia data degli standard di vita che dividono i paesi più ricchi dalla maggioranza povera d’oltremare? Come osserva l’Oxfam nel suo rapporto intitolato “Chiedo al mondo di immedesimarsi”, gli uomini e le donne in cerca di un futuro più sicuro hanno affrontato serie avversità, e invariabilmente hanno fatto affidamento sulla gentilezza e la solidarietà degli stranieri durante i loro viaggi, che forse hanno condiviso le loro scarse risorse con loro. Al contrario, la maggior parte dei governi delle nazioni ricche, non riescono a condividere le loro risorse nello stesso spirito di umanità comune.
Il vero problema è il tipo di condivisione necessario a trattare le cause alla radice di questa crisi totale, quando la risposta internazionale continua a essere tristemente inadeguata. Un piano di azione multilaterale coordinato, basato sul concetto di condivisione delle responsabilità è il minimo indispensabile che ci si dovrebbe aspettare, secondo la capacità e la ricchezza di ogni paese. E’ anche necessario un massiccio potenziamento del sostegno per i paesi con basso e medio reddito che stanno ospitando gli sfollati, cosicché gli sforzi in replica possono andare oltre l’aiuto umanitario e comprendere l’aiuto per il sostentamento e l’istruzione. Tutte queste richieste sono interamente possibili e realistiche, se le giuste risorse vengono indirizzate a risolvere il problema.
Tuttavia, occuparsi delle cause alla radice di un ordine economico che produce costantemente i fattori chiave per gli spostamenti di massa di esseri umani, cioè, povertà radicata, guerre senza fine e il peggioramento dei cambiamenti climatici, richiederà un livello di condivisione economica globale che è diversa da qualsiasi cosa che abbiamo visto fin dalla fondazione delle Nazioni Unite, prima di poter immaginare un mondo migliore senza confini, xenofobia o razzismo. Il fatto che i nostri governi non siano riusciti ad accettare un nuovo sistema di protezione dei rifugiati, basato su una genuina condivisione in qualsiasi forma, serve soltanto a sottolineare la ovvia realtà: che il vero peso della responsabilità poggia sempre sulle spalle delle normali persone di buona volontà.

Nella foto: rifugiati al confine tra Ungheria e Serbia.
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: Sharing.org
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2016 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0

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