La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 11 febbraio 2017

Andrea Fumagalli e la grateful dead economy

di Stefano Lucarelli 
1. Ho provato una certa emozione ad avere tra le mani Grateful Dead Economy, quella stessa emozione che si prova quando si sta per ascoltare un LP, e si accarezza il disco nero man mano che lo si fa uscire dall’involucro di cartone – come cantavano i Pearl Jam in Spin the black circle. Non è solo per la fantastica immagine di copertina, dalla quale emerge uno strambo personaggio barbuto con quattro braccia e due gambe elastiche, fra le mani una mela viola rosicchiata, unosmartphone, una bella cannetta ancora da accendere e un bitcoin appena coniato.
C’è di più, perché questo libro è costruito su un’idea tanto originale, quanto intelligente: l’ideologia libertarian si è nutrita di controcultura. Nell’argomentare questa tesi, Andrea Fumagalli (classe 1959) coglie l’occasione per omaggiare uno dei grandi simboli della cultura alternativa made in USA: i Grateful Dead. Così facendo stimola alcuni lettori a ricercare all’interno delle proprie esistenze altri episodi in cui l’energia sprigionata dalla controcultura è protagonista.
2. All’inizio degli anni Novanta, alle soglie dei vent’anni, mi piaceva la musica grunge. Nella mia città, cercavo dei modi convincenti per esercitare una certa ostilità nei confronti dei sistemi di potere che si ripetevano uguali a se stessi. Immaginavo Seattle, come un luogo in cui si condivideva un certo coraggio: è un fatto che sul finire degli anni Novanta il grunge giunto da lì all’inizio del decennio si fece corpo. 1999 Seattle WTO protests, l’esordio di un nuovo ciclo di mobilitazioni sociali su scala globale.
Il pensiero critico riviveva: una generazione di ventenni disadattati, comunque capaci di reagire al grande processo di rimbambimento degli anni Ottanta, si ritrovava faccia a faccia con gente che aveva circa vent’anni di più, e che poteva mettere in campo un’altra colonna sonora capace di suscitare emozioni disalienanti.
Fu allora che incontrai chi mi consigliò di ascoltare i Grateful Dead mentre discutevamo di teorie del circuito monetario e di approcci neo-schumpeteriani all’innovazione. Quell’eretico dell’economia che non aveva problemi a invitare gli studenti nei luoghi in cui la critica economica diveniva qualcosa di tangibile è l’autore del nostro libro.
3. Se – come scrive l’autore – i primi concerti dei Grateful Dead erano grandi feste libere in cui la musica psichedelica sembrava svolgere la funzione di un’infrastruttura in grado di erigere una nuova civiltà, è anche vero che quel senso di libertà condiviso in modo eterogeneo da una generazione di americani capace di mobilitarsi nei campus universitari aprì possibilità che solo raramente si tradussero in nuove forme di cooperazione comunitaria duratura. Ci furono le comuni, è vero, tuttavia la transizione alle comuni restò una realtà che solo in alcuni casi fu capace di sviluppare una cultura del mutuo aiuto (Fumagalli ricorda l’ospedale gratuito di Haight Ashbury, la Free Clinics). Fu una realtà che emergeva dalle scelte di vita di musicisti che non si sentivano oggetto di business. La rivista «Forbes» ha definito Jerry Garcia lo Steve Jobs del rock’n’roll, ma la natura anti-sistemica dei Grateful Dead è testimoniata da molti avvenimenti: su tutti il revolutionary intercommunal day of solidarity per le Black Panthers.
Eppure, proprio la spinta sovversiva e immaginifica che attraversò le coscienze dei giovani americani ispirò i business model che a partire dalla seconda metà degli anni Novanta fecero grande Seattle, ponendo le basi per un matrimonio fra strumenti finanziari e dinamiche innovative.
Fumagalli cerca di riflettere lungo questo crinale, convinto che debba esserci una passaggio segreto che dalla controcultura conduca non solo alla creazione di nuove opportunità di impiego dei capitali privati, ma anche e soprattutto a una rivoluzione sociale. Sì, ma verso cosa? Cosa possiamo intravedere oggi se portiamo lo sguardo oltre l’orizzonte, verso le stelle?
"Have you seen the stars tonight?
Would you like to go up for a stroll and keep me company?
[…]
Any place
You can think of
We can be"
4. Fumagalli tenta di introdurre all’interno della convincente rappresentazione della controcultura americana degli anni Sessanta e Settanta e del suo stravolgimento nell’ideologia libertarian alcune tracce di critica dell’economia politica. Ne derivano dei personalissimi Blows against the Empire: una brezza di coraggio, se si leggono quelle parole ricordandosi che il Fuma è un militante che cerca infaticabilmente di dare voce ai germi di immaginario che cercano di venire alla luce dal basso, in questa fase difficile e terribile in cui i movimenti sociali alter-globalisti si trovano; un vento pericolosamente gelido, se ci si ricorda che quelle stesse parole le sta dicendo un esperto dell’economia politica critica che si avventura in contesti borderline fra le riflessioni sulla denazionalizzazione della moneta di un nemico del socialismo (Friedrich von Hayek) e le sirene di una sharing economy che, dalla Sylicon Valley, emanano dolci melodie in cui la rivendicazione di un basic income si sposa perfettamente con nuove forme di sfruttamento: sono queste le metà oscure con cui fare i conti quando si cerca di immaginare una società che riesca a finanziare in modo autonomo i propri progetti di trasformazione dell’esistente. Per questo l’espressione «psichedelia finanziaria» proposta da Fumagalli suscita in me il lieve malessere di un bad trip.
"I saw the best minds of my generation destroyed by madness,
starving hysterical naked,
dragging themselves through the negro streets at dawn looking for an angry fix,
[...]."
5. Come l’Howl di Allen Ginsberg, questo libro andrebbe recitato ad alta voce, sperando in reazioni coscienti per non abbandonarsi completamente e acriticamente alla psichedelia finanziaria che l’autore evoca. Siamo sul confine fra una mai realizzata economia della conoscenza (con le sue promesse di liberazione collettiva) e la dura realtà del capitalismo cognitivo (laddove invece i saperi espropriati divengono espliciti fattori di produzione e le attività umane da cui provengono non vengono riconosciute come attività lavorative da remunerare adeguatamente); un piccolo passo falso ci tramuterebbe in imprenditori di noi stessi pronti a vendere i nostri ideali, e le relazioni umane che su essi abbiamo costruito, a qualche corporation.
Il vagare di Andrea, che è anche il mio vagare, passa e ripassa per l’idea che la possibilità di dotarsi di un’autonomia finanziaria è condizione necessaria affinché la controcultura sia in grado di durare.
Il rischio di produrre modalità creative che si trasformano in nuovi modelli di business in grado di riproporre una nuova accumulazione originaria fa comunque paura. Per inciso è su questo che l’esperienza grunge «è stata suicidata» dai sicari impalpabili dell’autosfruttamento e dell’autolesionismo. Mi pare tuttavia evidente che la moltiplicazione di circuiti monetari alternativi – tra i quali beninteso vi sono esperienze assolutamente interessanti e ben fondate –, come anche la coerenza maggiore che in futuro potrà assumere la richiesta di un reddito di base incondizionato, non riescano ancora a gettare delle basi salde. Le basi di una resistenza o quanto meno di un immaginario collettivo, che frenino il self-made man che fa capolino in ognuno di noi.
Qualche pagina di Grateful Dead Economy vi farà bene, ma non leggetelo da soli. Cominciate ad ascoltarvi, a parlare di un’altra società possibile. Che qualcuno di voi suoni nel mentre, oppure metta in sottofondo della buona musica … meglio se psichedelica.

Fonte: Alfabeta2.it 

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