La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 11 febbraio 2017

L'incostituzionalità dell'Italicum in continuità con quella del Porcellum

di Andrea Pertici
La Corte costituzionale ha depositato la sentenza (n. 35 del 2017) dichiarativa dell'incostituzionalità dell'Italicum di cui possiamo quindi esaminare le motivazioni. A prima lettura, queste ci convincono. Immaginiamo che alcuni critici dell'Italicum non saranno forse del tutto soddisfatti da una sentenza che lascia comunque in piedi aspetti discutibili della legge, come i capilista bloccati, le candidature plurime (salva l'eliminazione del diritto di scelta in quale collegio essere eletti) o un premio di maggioranza conseguibile al primo turno se si raggiunge il 40% dei voti.
Tuttavia, il mancato apprezzamento per alcune scelte politiche, rimesse - come precisa la Corte - alla discrezionalità del legislatore (insindacabile in sede di giudizio di costituzionalità, secondo quanto previsto dalla legge che lo disciplina), è ben diverso da un vizio di costituzionalità e su questo non poteva intervenire la Corte, rimanendo libero il legislatore di fare tutte le modifiche che riterrà (si spera - dopo molti anni - in conformità con la Costituzione).
Nella valutazione della costituzionalità dell'Italicum, peraltro, la Consulta aveva di fronte un precedente di portata storica: la sentenza n.1 del 2014 sull'incostituzionalità (anche in quel caso parziale) del Porcellum, alla quale ci pare si sia puntualmente attenuta, tanto che la decisione non ci sorprende.
Nella sentenza n.1 del 2014, infatti, la Corte riteneva incostituzionale un premio di maggioranza in assenza di una soglia minima, perché in questo modo non ci si limitava a "introdurre un correttivo" al sistema "proporzionale", "in vista del legittimo obiettivo di favorire la formazione di stabili maggioranze parlamentari e quindi di stabili governi", ma si rovesciava "la ratio della formula elettorale prescelta dallo stesso legislatore", che era quella proporzionale (come per l'Italicum, secondo quanto ribadito più volte dalla Corte nella sentenza n. 36 del 2017).
Ora, l'introduzione, con l'Italicum, della soglia del 40% per ottenere il premio risulta alla Corte ragionevole, ritenendosi rientrare nella discrezionalità del legislatore che certamente potrebbe in futuro anche modificare questa soglia, considerando che certamente non incapperebbe nell'incostituzionalità alzandola mentre potrebbe incapparvi abbassandola.
Il problema dell'Italicum - come scrivevamo due anni fa - è che se nessuno merita il premio (non raggiungendo la soglia prevista) glielo si vuole dare lo stesso, sempre e comunque, a prescindere dai voti ottenuti dagli elettori.
Scrive, infatti, la Corte, nel motivare la decisione d'incostituzionalità: "una lista può accedere al turno di ballottaggio anche avendo conseguito, al primo turno, un consenso esiguo, e ciononostante ottenere il premio, vedendo più che raddoppiati i seggi che avrebbe conseguito sulla base dei voti ottenuti al primo turno". Un primo turno che, in effetti, come ricorda bene la Consulta, è poi quello in base al quale sono distribuiti proporzionalmente tutti i seggi, tranne quelli della lista vincitrice del ballottaggio.
Quindi - statuisce inequivocabilmente la sentenza - "le disposizioni censurate riproducono così, seppure al turno di ballottaggio, un effetto distorsivo analogo a quello che questa Corte aveva individuato, nella sentenza n.1 del 2014, in relazione alla legislazione elettorale previgente". Infatti, "il legittimo perseguimento dell'obbiettivo della stabilità di governo, di sicuro interesse costituzionale, [...] non può giustificare uno sproporzionato sacrificio dei principi costituzionali di rappresentatività e di uguaglianza del voto, trasformando artificialmente una lista che vanta un consenso limitato, ed in ipotesi anche esiguo, in maggioranza assoluta."
In sostanza, l'incostituzionalità dell'Italicum, in relazione alla attribuzione del premio al ballottaggio, è analoga a quella del Porcellum (dichiarata tre anni fa). Questo passaggio è molto importante perché qualche difensore dell'Italicum (non ce ne sono rimasti molti), a seguito del comunicato con cui la Consulta aveva anticipato la decisione d'incostituzionalità indicandone sinteticamente i profili, sperava di poter imputare questa decisione al fatto che, a seguito della bocciatura della revisione costituzionale del governo Renzi, il sistema è rimasto perfettamente bicamerale, mentre l'Italicum assegna il premio nella sola Camera dei deputati, non potendo così garantire la governabilità.
Ora, a parte che queste considerazioni aumentano la responsabilità di chi ha approvato una legge scommettendo - con un vero e proprio azzardo - su una Costituzione futura e incerta, la presenza di un bicameralismo perfetto aggrava le cose (perché le "disposizioni censurate producono una sproporzionata divaricazione tra la composizione di una delle due assemblee che compongono la rappresentanza politica nazionale"), ma certamente non cambia il fatto che la legge sarebbe risultata comunque incostituzionale, anche se vi fosse stata addirittura una sola Camera (cosa che neppure l'ultima revisione costituzionale proponeva).
L'incostituzionalità, infatti, dipende anzitutto - lo ribadiamo - dalla circostanza che "una lista può accedere al turno di ballottaggio anche avendo conseguito, al primo turno, un consenso esiguo, e ciononostante ottenere il premio", realizzando "un effetto distorsivo analogo a quello che questa Corte aveva individuato, nella sentenza n. 1 del 2014, in relazione alla legislazione elettorale previgente". Quindi un ballottaggio così concepito è comunque incostituzionale e lo sarebbe stato anche se al referendum costituzionale avesse vinto il sì.

Fonte: Huffington Post - blog dell'Autore 

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