La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 24 gennaio 2018

La riforma dell’Eurozona, un duro documento franco-tedesco









di Enzo Umbrella
Nel pieno della campagna elettorale fatta di promesse e di spese irrealizzabili, l’area euro cresce decisamente e la recessione è ormai alle spalle. In Germania, col governo di coalizione, si apre una stagione più aperta alla soluzione dei problemi dell’Unione monetaria e in molti pensano al futuro. A dispetto delle dichiarazioni del leader dei 5Stelle, Luigi di Maio, su una debolezza dell’asse franco – tedesco, il Presidente Emmanuel Macron e la Cancelliera Angela Merkel hanno appoggiato una task force di 14 economisti, prevalentemente di area franco-tedesca, per modificare le regole di governo dell’area euro. Studiosi importanti, che aprono la strada a un accordo fra i due paesi guida. Fra i firmatari tedeschi figurano l’ex direttore del ministero dell’Economia Zettelmeyer (vicino alla Spd), insieme ai conservatori Schnabel e Feld, vicini al governo. Tra i francesi, Pisani-Ferry, coordinatore del programma economico di Macron, e Bénassy-Quéré suo consigliere.
Gli autori partono dal principio che possedere troppi titoli di Stato domestici da parte delle banche sia una grossa minaccia, per i singoli Stati e per l’Unione monetaria; propongono, quindi, di ridurre la loro concentrazione nei bilanci bancari, chiedendo maggior capitale a chi sfora i limiti. Questa sarebbe la condizione per una assicurazione europea dei depositi, attivabile, però, dopo l’esaurirsi dei fondi nazionali e con i costi maggiori a carico dei paesi interessati. Tutto ciò per superare le resistenze tedesche a questo che sarebbe un completamento dell’Unione bancaria. Riguardo ai bilanci pubblici, un punto rivoluzionario è la cancellazione della regola del 3% di deficit/PIL del trattato di Maastricht, messa in discussione da tanti, prevedendo che la spesa pubblica non possa crescere oltre il PIL più l’inflazione. Però nei Paesi con alto debito – l’obiettivo di ridurlo al 60% rimane – la crescita dovrebbe essere più bassa. Ogni singolo Paese potrebbe decidere di spendere di più quando l’economia va male, ma dovrebbe rifinanziarsi emettendo titoli di Stato “subordinati”; quei titoli in più sarebbero dunque più a rischio per chi li sottoscrive e più costosi per il governo che li emette. Una regola che favorisce la Francia (ha sforato a lungo sul deficit) e che può piacere alla Germania: per noi può risultare persino più dura del Fiscal compact.
Lo studio prevede anche un fondo comunitario anticiclico (con nuovi contributi nazionali) per sostenere gli stati in difficoltà, ma i paesi interessati pagherebbero le prime perdite. Assieme ad altre misure tecniche si costituirebbe una sorta di “cane da guardia” comunitario, con poteri propri, fino all’ipotesi di un ministro delle Finanze dell’Eurozona. In sintesi, da una parte si mira a ridurre la concentrazione di titoli di un singolo Stato nelle banche, in una logica che prevede l’impegno nazionale prima di quello comunitario nella soluzione delle crisi. Si condividono i rischi ma in un sistema sanzionatorio dove prevale il mercato. Il documento, complesso e dettagliato tratta infatti come riconciliare la “condivisione del rischio e la disciplina di mercato”, riscrivendo le regole di bilancio e il rapporto fra banche e debito pubblico, soprattutto sugli interessi franco–tedeschi.Tanto per cominciare, gli esperti pensano di accrescere i poteri di vigilanza e intervento delle istituzioni comunitarie sui singoli governi in materia finanziaria. Con meccanismi pesanti ed automatici per un’Italia cronicamente inadempiente.
Sulle banche il documento è molto chiaro ed appare dettato dalle criticità soprattutto italiane. Parte dalla considerazione che i crediti deteriorati siano stati ridotti meno di quanto “desiderabile” e chiede poteri di vigilanza rafforzati. Le banche dovrebbero smaltire rapidamente i propri crediti deteriorati, anche vendendoli, il che, vista la differenza tra i prezzi di mercato di tali crediti e quelli di bilancio, per le banche italiane si aprirebbe un buco di diverse decine di miliardi. Insomma, il documento, che i nostri politici farebbero bene a studiare con attenzione, rappresenta un macigno sul sistema economico e bancario italiano e mostra una distanza siderale tra il suo rigore e le idee balzane delle principali forze in competizione per le elezioni del 4 marzo.
Ai politici italiani l’alternativa se dire sempre di no a tutto oppure partecipare partecipare informati e con idee concrete alla fase preparatoria alle decisioni europee sulla riforma dell’Eurozona.




A seguire, il documento:


Come riconciliare la condivisione dei rischi e la disciplina di mercato nell’Eurozona. 17 gennaio 2018

Agnès Bénassy-Quéré, Markus K Brunnermeier, Henrik Enderlein, Emmanuel Farhi, Marcel Fratzscher, Clemens Fuest, Pierre-Olivier Gourinchas, Philippe Martin, Jean Pisani-Ferry, Hélène Rey, Isabel Schnabel, Nicolas Véron, Beatrice Weder di Mauro, Jeromin Zettelmeyer


L’area euro continua a soffrire di carenze critiche derivanti da un’architettura fiscale e finanziaria mal concepita. I suoi membri sono però divisi su come affrontare i problemi. Questo gruppo propone sei riforme che, insieme, migliorerebbero la stabilità finanziaria, la coesione politica e il potenziale per garantire prosperità ai cittadini della zona euro; il tutto affrontando le priorità e le preoccupazioni dei paesi partecipanti.
Dopo quasi un decennio di stagnazione, l’Eurozona sta finalmente vivendo una solida ripresa. Anche se ciò rappresenta un sollievo – in particolare nei paesi con livelli elevati di debito e disoccupazione – mantenere lo status quo o accontentarsi di cambiamenti marginali sarebbe un grave errore poiché l’unione monetaria continua a soffrire di carenze critiche, tra cui la fragilità finanziaria, condizioni sub ottimali per una crescita duratura e profonde divisioni economiche e politiche. Sebbene questi problemi abbiano molte cause, un’architettura fiscale e finanziaria mal progettata contribuisce ad aggravarli. In particolare:

1. Il “circolo vizioso” tra banche e stati sovrani continua a rappresentare una grave minaccia per i singoli Stati membri e l’area dell’euro nel suo complesso. Un’unione bancaria incompleta e mercati dei capitali frammentati impediscono all’area di sfruttare appieno i vantaggi dell’integrazione monetaria e di ottenere una migliore condivisione del rischio attraverso meccanismi di mercato. 2. Le regole fiscali opache, procicliche e divisive, sono state inefficaci nel ridurre i debiti pubblici. I difetti nell’architettura fiscale dell’area hanno sovraccaricato la BCE, generando tensioni politiche. 3. L’incapacità dell’area di trattare con paesi insolventi, oltre che attraverso prestiti, condizionati a un aggiustamento fiscale, ha alimentato movimenti nazionalisti e populisti sia nei paesi debitori che in quelli creditori. La conseguente perdita di fiducia potrebbe minacciare l’intero progetto europeo.
Lo stallo sulla riforma dell’area euro. I membri della zona euro sono profondamente divisi su come affrontare questi problemi. Alcuni sostengono norme più flessibili e migliori strumenti di stabilizzazione e condivisione del rischio, come i meccanismi di bilancio comuni (o persino l’unione fiscale) per sostenere i paesi in difficoltà. Altri vorrebbero regole più severe e incentivi più forti per indurre politiche nazionali prudenti, rifiutando ogni ulteriore condivisione del rischio. Una parte vorrebbe escludere la ristrutturazione del debito sovrano come strumento per superare crisi del debito, un’altra sostiene che la disciplina di mercato è indispensabile per la responsabilità fiscale e per la stabilità finanziaria. L’apparente inconciliabilità di queste posizioni ha prodotto uno stallo nella riforma dell’area dell’euro.
La scelta tra una maggiore condivisione del rischio e migliori incentivi è una falsa alternativa, per tre motivi:

a) una solida architettura finanziaria richiede strumenti per la prevenzione delle crisi (buoni incentivi) e per la loro mitigazione (poiché i rischi rimangono anche coi migliori incentivi);
b) i meccanismi di condivisione del rischio vanno progettati per mitigare o addirittura eliminare il moral hazard;
c) servono strumenti ben concepiti per una disciplina efficace. In particolare, la norma del salvataggio dei salvatori non sarà credibile se la sua attuazione porta al caos e alla minaccia di disintegrazione dell’eurozona, come nel 2010-2012 e durante la crisi greca del 2015. Buoni accordi di condivisione del rischio e migliori incentivi, sotto forma di buone regole e di maggiore disciplina di mercato, dovrebbero essere considerati complementi e non sostitutivi.

Sei aree per la riforma. Raggiungere questa complementarità non è semplice. Richiede meccanismi di stabilizzazione ed assicurazione che siano entrambi efficaci e non diano luogo a trasferimenti permanenti. Richiede anche un quadro istituzionale riformato. Per questo, delineiamo sei aree di riforma che soddisfano tali obiettivi.

Innanzitutto, rompere il circolo vizioso tra banche e stati sovrani con l’introduzione coordinata di oneri di concentrazione per le banche e un’assicurazione sui depositi comune. Il primo imporrebbe alle banche di aumentare il capitale se il debito di un singolo Stato – tipicamente il paese d’origine – supera una certa percentuale del capitale. Così incentivando la diversificazione dei portafogli di titoli di stato delle banche. L’assicurazione sui depositi proteggerebbe tutti i depositanti dell’area dell’euro in modo uguale, indipendentemente dalla situazione del paese. Gli incentivi per le politiche nazionali prudenti verrebbero mantenuti valutando il rischio paese specifico nel calcolo dei premi assicurativi; attraverso un approccio di riassicurazione, i fondi comuni potrebbero essere sfruttati solo dopo che i “compartimenti nazionali” sono stati esauriti.
Allo stesso tempo, devono essere rafforzati i meccanismi di salvataggio dei creditori delle banche in fallimento. La pressione delle autorità di vigilanza per ridurre i crediti in sofferenza esistenti deve aumentare (anche per le banche più piccole) e gli standard di regolamentazione bancaria dovrebbero essere rafforzati e armonizzati. Per dare una spinta all’Unione dei mercati dei capitali, l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA) dovrebbe ricevere più ampi poteri su una gamma crescente di segmenti di mercato e la sua governance dovrebbe essere riformata. Insieme, queste misure ridurranno decisamente la correlazione tra rischio bancario e sovrano e apriranno la strada a un’integrazione dei mercati bancari e dei capitali.

In secondo luogo, sostituire l’attuale sistema di regole fiscali incentrato sul “deficit strutturale” con una semplice regola di spesa guidata dall’obiettivo di riduzione del debito a lungo termine. Le regole attuali mancano entrambe di flessibilità e sono complesse e difficili da far rispettare, esponendo la Commissione europea a critiche. Dovrebbero essere sostituiti dal principio secondo cui la spesa pubblica non deve crescere più del PIL nominale a lungo termine; per i paesi che devono ridurre i loro rapporti debito/PIL dovrebbe crescere a un ritmo più lento. Una tal norma è più efficace.
Il monitoraggio dovrebbe essere devoluto ai controllori fiscali nazionali indipendenti, controllati da un’istituzione indipendente europea, come descritto di seguito. I governi che violano la regola sarebbero tenuti a finanziare le spese in eccesso utilizzando obbligazioni junior, la cui scadenza verrebbe automaticamente estesa nel caso di un intervento del Fondo salva stati. La pressione del mercato in tempo reale associata alla necessità di emettere tali obbligazioni sarebbe molto più credibile delle attuali minacce di ammende, mai applicate. Il rating queste obbligazioni sovrane junior dipenderà dalla credibilità delle politiche governative per affrontare i problemi.

Terzo, la creazione di basi economiche, giuridiche e istituzionali per la ristrutturazione ordinata del debito sovrano di paesi in crisi. Innanzitutto, ciò richiede la riduzione dei problemi derivanti dalla ristrutturazione del debito, riducendo l’esposizione delle banche ai singoli Stati, come detto sopra, e creando migliori strumenti di stabilizzazione, come descritto dopo. Inoltre, una ristrutturazione del debito ordinata e credibile richiede meccanismi legali che proteggano gli Stati dai creditori che tentano di “resistere” per ottenere il rimborso completo in presenza di debiti insostenibili. Con tali politiche, è essenziale non generare instabilità nei mercati. Per questo, non sosteniamo haircut automatici o allungamento delle scadenze di tutti i titoli di Stato nel caso di un programma ESM.

Quarto, la creazione di un fondo, finanziato da contributi nazionali, che aiuta i paesi membri ad assorbire grandi crisi economiche. Poiché piccole fluttuazioni possono essere compensate con le politiche fiscali nazionali, i pay-out verrebbero attivati solo se l’occupazione dovesse scendere sotto un livello prestabilito. Per garantire che il sistema non porti a trasferimenti permanenti, i contributi nazionali sarebbero più alti per i paesi con maggiori probabilità di attingere al fondo. In questo sistema le “prime perdite” sarebbero sostenute a livello nazionale; la partecipazione al sistema dipenderebbe dall’osservanza delle prescrizioni e prelievi più elevati dal fondo porterebbero a contributi nazionali più elevati.

Quinto, un’assicurazione “sintetica” per l’area euro che offrirebbe agli investitori un’alternativa ai titoli di Stato nazionali. La “sicurezza” riviene da una combinazione di diversificazione; ad esempio, gli intermediari acquisterebbero un portafoglio diversificato di titoli sovrani e lo utilizzerebbero come garanzia per un titolo emesso in più tranche. L’introduzione di tali beni insieme a un regolamento sulla limitazione del rischio di concentrazione contribuirebbe ad evitare cambiamenti nel mercato dei titoli di Stato europei, contribuendo quindi alla stabilità.

Sesto, riformare la governance con due riforme principali. Un miglioramento della sorveglianza istituzionale. Il ruolo del “cane da guardia” dovrebbe essere separato da quello del “decisore politico”, creando un controllore fiscale indipendente dentro la Commissione europea (esempio, un commissario speciale). Allo stesso tempo, la presidenza dell’Eurogruppo potrebbe essere assegnata alla Commissione, sullo schema dell’Alto rappresentante per gli affari esteri. La responsabilità politica per l’assistenza alle crisi dovrebbe essere riservata a un ESM riformato, con un’adeguata struttura. La supervisione finanziaria dovrebbe rimanere nelle mani dell’ESM.
 Queste proposte dovrebbero essere viste come un pacchetto che richiede in gran parte un’attuazione congiunta. Tagliare il circuito banche/emittenti sovrani richiede la riduzione delle esposizioni sui titoli di Stato delle banche insieme al sistema europeo di assicurazione dei depositi. La riforma delle regole fiscali richiede un controllo più forte e indipendente sia a livello nazionale che europeo. Rendere credibile la regola del “salvataggio dei salvatori” richiede un migliore quadro giuridico per la ristrutturazione del debito come ultima risorsa e migliori accordi di condivisione del rischio.

Osservazioni conclusive: Le nostre proposte non si spingono in territori che richiedono un allargamento del raggio d’azione del governo dell’Eurozona e come un bilancio più ampio dovrebbe essere finanziato e governato. Allargare il ruolo dell’Europa sarebbe però un punto di svolta, migliorando la stabilità finanziaria, la coesione politica e la possibilità di dare prosperità ai suoi cittadini, il tutto affrontando le priorità e le preoccupazioni dei paesi partecipanti. I nostri leader non dovrebbero accontentarsi di meno.
Fonte: largine.it

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