La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 6 agosto 2016

La nuova Via della Seta

di Vincenzo Comito
La notizia che i cinesi hanno comprato per 750 milioni di euro il Milan e che, per giunta, nella compagine azionaria acquirente ci sia anche del capitale pubblico può a prima vista meravigliare. Cosa c’entra il calcio con il governo del Paese di Mezzo? Poi ci si ricorda che, qualche tempo fa, sempre dei capitali del paese hanno preso anche il controllo dell’Inter; questo può spingere molti a pensare che i nuovi proprietari siano piuttosto stravaganti e che, come molti nuovi ricchi, non sappiano che fare di tutti i loro soldi. In realtà, ad una lettura più attenta, la cosa sembra mostrare una logica molto precisa e articolata.
Le trasformazioni dell’economia
Di recente e per molti mesi i media occidentali hanno sviluppato in tutte le salse la notizia che l’economia cinese era in grave crisi e che le cose avrebbero potuto solo peggiorare. Le campane a morto hanno dovuto però alla fine tacere di fronte all’evidenza che il paziente stava molto meglio di quanto si raccontasse.
Le cifre del Fondo Monetario Internazionale mostrano che il paese è ormai dal 2014 la prima economia del mondo, se almeno misuriamo il pil con il criterio della parità dei poteri d’acquisto. Le previsioni del Fondo sono che nel 2016 l’economia della nazione asiatica peserà per circa 20.850 miliardi di dollari e quella statunitense “solo” per 18.550 miliardi.
Peraltro, naturalmente, non è che in Cina negli ultimi due anni non è successo niente: intanto la crescita del pil è diminuita dal 10-11% degli anni precedenti al 7% circa del 2015 ed aumenterà plausibilmente a un tasso di pochissimo minore nel 2016; ma questo significa che, mentre prima l’economia del paese asiatico aggiungeva al suo pil ogni anno un valore pari a quello complessivo dell’Italia, cosa ormai insostenibile, ora aggiunge una valore uguale a quello della Spagna, un fatto ancora enorme.Inoltre, si sta passando da un’economia il cui sviluppo era basato sugli investimenti e le esportazioni ad una molto più centrata sui consumi interni.
Naturalmente non mancano dei problemi anche importanti in tale processo di transizione, quali un rilevante aumento dei livelli di indebitamento, la crisi di una parte almeno della vecchia industria pesante e così via, tutte questioni che l’attuale gruppo dirigente del paese sembra in grado di governare.
In tale quadro si inserisce necessariamente un profondo mutamento dei processi di internazionalizzazione, prima centrati soprattutto sulle esportazioni e che ora avanzano invece anche sul fronte delle nuove banche per lo sviluppo a livello internazionale, sui paralleli faraonici progetti in atto per una nuova via della seta, su un molto più forte accento posto sulla convertibilità dello yuan, sulla rilevante crescita, infine, degli investimenti diretti all’estero.
Tale nuova forma dell’espansione a livello planetario diventa essenziale all’ulteriore sviluppo economico del paese.
Gli investimenti esteri
Per dare un’idea della attuale dinamica della presenza estera delle imprese cinesi, basta in generale ricordare che nei soli primi sei mesi del 2016 gli investimenti del paese asiatico nei vari continenti sono ammontati a circa 125 miliardi di dollari, contro i circa 105 miliardi per tutto il 2015.
Essi sembrano avere una direzione molto chiara. Da una parte si indirizzano verso l’assecondamento dei grandi progetti in corso per la nuova via della seta, dall’altra toccano in misura rilevante i settori delle nuove tecnologie e contemporaneamente quelli del turismo, del cinema, del calcio.
Per quanto riguarda il primo settore, la Cina, conscia del suo storico ritardo tecnologico, sta aumentando fortemente i suoi sforzi nel campo della ricerca e delle applicazioni industriali, avanzando decisamente di anno in anno, sia pur ancora in maniera diseguale, su tutti i fronti, dall’altra sta cercando di acquisire del know-how avanzato negli Stati uniti, dove però i suoi tentativi di penetrazione incontrano molti ostacoli politici, ma anche in Europa, dove la strada sembra meno irta di problemi. Forse il trofeo più importante di cui si sono impadroniti negli ultimi mesi è la presa di controllo della più grande impresa tedesca di robotica, la Kuka, fiore all’occhiello del paese teutonico.
Gli investimenti nel settore del turismo sembra siano da collegare alla forte crescita della presenza dei compatrioti all’estero. Questo’anno dovrebbero essere complessivamente intorno ai 135 milioni le persone che varcheranno temporaneamente i confini del paese, un primato mondiale.
Infine, ci sono gli investimenti nel cinema , con l’acquisizione o la presa di partecipazione di molte società di Hollywood e l’acquisto di molte catene di sale cinematografiche in Occidente, nonché le risorse messe in molte squadre di calcio, non solo italiane, ma anche di diversi paesi europei e in imprese che gestiscono le infrastrutture del settore; gli investimenti, mentre sono essenziali per portare del know-how specifico per delle attività che in Cina sono in pieno boom, sembrano rispondere anche ad un’altra logica, quella che gli anglosassoni chiamano acquisizione di soft power, riprendendo in qualche modo il concetto gramsciano di «egemonia».
Nel loro processo di sviluppo i cinesi si sono in effetti accorti di aver bisogno ormai di un molto più ampio livello di consenso nell’opinione pubblica e tra le masse dei vari paesi, attività che invece gli Stati uniti hanno imparato a curare attentamente da moltissimi decenni. Ecco che una forte penetrazione nei settori cruciali dell’intrattenimento sembra poter contribuire notevolmente allo scopo.
La presenza in Italia
Per chiudere, ricordiamo brevemente alcuni aspetti della presenza cinese anche nel nostro paese. I capitali cinesi hanno, tra l’altro, acquisito da noi il controllo della Pirelli, dei cantieri Ferretti, delle attività nel settore energetico del gruppo Finmeccanica, mentre partecipano in misura molto rilevante al settore delle reti infrastrutturali controllato dalla Cassa Depositi e Prestiti e hanno preso il 2% circa del capitale di tutte le principali imprese italiane quotate.
Ci sarebbe peraltro da parlare delle occasioni mancate che il nostro paese ha lasciato cadere per ignavia, ignoranza, indifferenza burocratica e politica. Così, in passato i cinesi erano sembrati interessati ai grandi porti meridionali, che avrebbero potuto diventare i terminali più importanti in Europa del traffico merci con l’Asia, così come oggi il nostro paese sta facendo molto poco per attirare le decine di milioni di turisti cinesi che stanno arrivando nel nostro continente.

Fonte: il manifesto 

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