La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 30 dicembre 2016

Gramsci e la Russia sovietica: il materialismo storico e la critica del populismo

di Domenico Losurdo 
1. «Collettivismo della miseria, della sofferenza» 
Com’è noto, la rivoluzione che tiene a battesimo la Russia sovietica e che, contro ogni aspettativa, si verifica in un paese non compreso tra quelli capitalistici più avanzati, è salutata da Gramsci come la «rivoluzione contro Il capitale». Nel farsi beffe del meccanicismo evoluzionistico della Seconda Internazionale, il testo pubblicato su «Avanti!» del 24 dicembre 1917 non esita a prendere le distanze dalle «incrostazioni positivistiche e naturalistiche» presenti anche «in Marx». Sì, «i fatti hanno superato le ideologie», e dunque non è la rivoluzione d’Ottobre che deve presentarsi dinanzi ai custodi del «marxismo» al fine di ottenere la legittimazione; è la teoria di Marx che dev’essere ripensata e approfondita alla luce della svolta storica verificatasi in Russia.
Non c’è dubbio, memorabile è l’inizio di questo articolo, ma ciò non è un motivo per perdere di vista il seguito, che non è meno significativo. Quali saranno le conseguenze della vittoria dei bolscevichi in un paese relativamente arretrato e per di più stremato dalla guerra?: «Sarà in principio il collettivismo della miseria, della sofferenza. Ma le stesse condizioni di miseria e di sofferenza sarebbero ereditate da un regime borghese. Il capitalismo non potrebbe subito fare in Russia più di quanto potrà fare il collettivismo. Farebbe oggi molto meno, perché avrebbe subito di contro un proletariato scontento, frenetico, incapace ormai di sopportare per altri i dolori e le amarezze che il disagio economico porterebbe […]. La sofferenza che terrà dietro alla pace potrà essere solo sopportata in quanto i proletari sentiranno che sta nella loro volontà, nella loro tenacia al lavoro di sopprimerla nel minor tempo possibile». 
In questo testo il comunismo di guerra che sta per imporsi nella Russia sovietica viene al tempo stesso legittimato sul piano tattico e delegittimato sul piano strategico, legittimato per l’immediato e delegittimato con lo sguardo rivolto al futuro. Il «collettivismo della miseria, della sofferenza» è giustificato per le condizioni concrete in cui versa la Russia del tempo: il capitalismo non sarebbe in grado di fare nulla di meglio. Ma il «collettivismo della miseria, della sofferenza» deve essere superato «nel minor tempo possibile». 
Non è affatto un’affermazione banale. Vediamo in che modo il francese Pierre Pascal interpreta e saluta la rivoluzione bolscevica di cui è testimone diretto: «Spettacolo unico e inebriante: la demolizione d’una società. Si stanno realizzando il quarto salmo dei vespri domenicali e il Magnificat: i potenti rovesciati dal trono e il povero riscattato dalla miseria […]. I ricchi non ci sono più: solo poveri e poverissimi. Il sapere non conferisce né privilegio né rispetto. L’ex operaio promosso direttore dà ordini agli ingegneri. Alti e bassi salari s’accostano. Il diritto di proprietà è ridotto agli effetti personali». 
Lungi dal dover essere superata «nel minor tempo possibile», la condizione per cui ci sono «solo poveri e poverissimi» ovvero, nel linguaggio di Gramsci, il «collettivismo della miseria, della sofferenza», tutto ciò è sinonimo di pienezza spirituale e di rigore morale. È vero, Pascal era un fervente cattolico, ma ciò non significa che i bolscevichi fossero immuni da questa visione all’insegna del populismo e del pauperismo. Anzi, ci si può chiedere se non ci sia traccia di populismo e pauperismo nella definizione che trasfigura come «comunismo» e sia pure come «comunismo di guerra», un regime caratterizzato dal tracollo dell’economia (con il ritorno a tratti al baratto) e in certi momenti dalla requisizione forzata degli alimenti necessari alla sopravvivenza della popolazione urbana; un regime cioè che Gramsci più correttamente definisce quale «collettivismo della miseria, della sofferenza». Nel 1936-37 è Trotskij a ricordare criticamente «le tendenze ascetiche dell’epoca della guerra civile», diffuse tra i comunisti, il cui ideale sembrava essere la «miseria socializzata». È una formula che fa pensare a quella di Gramsci ma che è posteriore di quasi vent’anni.


Fonte: Materialismo storico 

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