La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 15 luglio 2016

Disordine in paradiso

di Slavoj Žižek
Negli ultimi anni di vita, Freud si pose la famosa domanda: “Was will das Weib?” “Cosa vogliono le donne?”, ammettendo la sua perplessità nel confrontarsi con l’enigma della sessualità femminile. Una perplessità simile sovviene oggi, riguardo il referendum della Brexit: cosa vuole l’Europa? La vera posta in gioco di questo referendum diventa chiara se la poniamo nel più ampio contesto storico. Nell’Europa dell’est e dell’ovest ci sono i segni di una ricollocazione degli spazi politici. Fino ad ora, lo spazio politico era dominato da due partiti principali che indirizzavano l’intero corpo elettorale, un centro-destra (cristiano-democratici, liberal-conservatori, popolari…) e un partito di centro sinistra (socialisti, social-democratici…), con partiti più piccoli che indirizzavano il voto di un più piccolo elettorato (verdi, neo-fascisti…).
Ora emerge progressivamente un partito che parteggia per il capitalismo glocale, solitamente con relativa tolleranza riguardo aborto, diritti gay, minoranze etniche e religiose, ecc … opposto a questo partito si configura un sempre più forte partito populista anti-immigrazione, alle cui frange estremi si accompagna con gruppi razzisti neo-fascisti. Il caso esemplare è la Polonia: dopo la scomparsa degli ex-comunisti, i partiti principali sono gli “anti-ideologici” centro liberali dell’ex primo ministro Donald Tusk e il partito cristiano conservatore dei fratelli Kaczynski. La posta in gioco dei radicali centristi oggi è: quale sarà il partito che si presenterà per incarnare il non-politico post-ideologico contro l’altro partito licenziato come “ancora imbrigliato negli antichi spettri ideologici”? Nei primi anni ’90, i conservatori erano migliori in questo; successivamente furono i liberali di sinistra che sembrarono essere in vantaggio, e ora sembra di nuovo la volta dei conservatori.
Il populismo anti-immigrazione riporta indietro le passioni nella politica, parla in termini di antagonismo, del “Noi contro Loro”, e uno dei segni della confusione di ciò che rimane nella sinistra è l’idea che qualcuno vorrebbe prendere questo approccio appassionato della Destra “Se lo fa Marine Le Pen, perché non dovremmo noi?” Così da tornare allo Stato-Nazione forte e mobilitare le passioni nazionali … una lotta ridicola, persa in partenza.
Cosa vuole l’Europa? Fondamentalmente, l’Europa è catturata in un circolo vizioso, oscillando tra la tecnocrazia di Bruxelles, incapace di trascinarla fuori dall’inerzia, e la rabbia popolare contro questa inerzia, una rabbia fatta propria dai nuovi movimenti radicali di Sinistra, ma ancor prima dal populismo destrorso. Il referendum sul Brexit si muove su queste linee di opposizione, motivo per cui esistevano già i presupposti per esserci qualcosa che non andava con esso. A guardarlo bene, uno dovrebbe volgere lo sguardo agli strani compagni di letto che si sono trovati insieme nel campo della Brexit: “patrioti” dell’ala destra, populisti nazionalisti alimentati dalla paura degli immigrati, mescolati con la rabbia disperata della working class… non è una tale mescolanza di razzismo patriottico con la rabbia della “gente ordinaria” il campo ideale per una nuova forma di Fascismo?
L’intensità dell’investimento emotivo nel referendum non ci deve ingannare, la scelta offerta offusca la vera questione: come combattere “gli accordi” come il TTIP (TIFF? Scritto male nell’originale? [ndt]) che rappresenta una minaccia reale alla sovranità popolare? come confrontarsi con le catastrofi ecologiche e i bilanci economici che alimentano nuova povertà e migrazioni? Ecc. La scelta della Brexit significa un serio contrattempo per queste lotte – basta tenere in mente che uno degli argomenti portanti della tesi pro-Brexit era “la minaccia dei rifugiati”. Il referendum della Brexit è l’ultima prova che l’ideologia (nel buon vecchio senso marxista di “falsa coscienza”) è viva e in salute nelle nostre società. Per esempio, il caso della Brexit esemplifica perfettamente la falsità delle chiamate a restaurare la sovranità nazionale (l’adagio “la popolazione britannica stessa, non qualche anonimo e non eletto burocrate di Bruxelles, deve decidere il destino del Regno Unito”)
“Al cuore della Brexit sta il paradosso peggio articolato! L’Inghilterra vuole ritirarsi dal controllo burocratico e amministrativo di Bruxelles, controllo che sembra compromettere la sua sovranità, per consentirci di smantellare la sua stessa sovranità da soli (sotto una più radicale sottomissione alla logica del capitale globale). Ciò non ha il segno della pulsione di morte? L’organismo vuole morire a suo modo, con i suoi propri termini. Questo è il paradosso al cuore del pensiero repubblicano americano: “vogliamo indietro il nostro Paese” in modo tale da essere in condizioni di sottometterlo interamente alla logica del mercato” (Eric Santner, comunicazione personale)
Ad una veloce occhiata, questo paradosso non sembra confermato dal conflitto tra UK e UE negli ultimi decenni? Quando si parla di diritti dei lavorati, era l’Unione Europea che chiedeva limitazione dell’orario del lavoro, e il governo del Regno Unito si lamentava che questa misura avrebbe avuto una ricaduta sulla competitività dell’industri britannica … in breve, la tanto vilipesa “burocrazia di Bruxelles” era la protettrice dei diritti minimi dei lavoratori – nello stesso modo in cui oggi è protettore dei diritti dei rifugiati contro le molte “sovranità” degli Stati-Nazione che non sono pronti ad accoglierli.
Quando Stalin chiese negli anni ’20 quale deviazione fosse peggio, quella di Destra o di Sinistra, lui rispose seccamente: “sono entrambe le peggiori!” Non era la stessa scelta cui erano posti di fronte gli aventi diritto al voto britannici? Votare “Remain” era “peggio” perché avrebbe comportato il protrarsi dell’inerzia in cui si è persa l’Europa. “Exit” era “peggio” dal momento che rendeva il cambio non desiderabile. Nei giorni prima del referendum, un pensiero pseudo-profondo circolava sui media: “qualsiasi sia il risultato, l’UE non sarà più la stessa, danneggiata irreparabilmente”. Comunque, è l’opposto che è vero: niente cambia realmente, solo che l’inerzia dell’Europa diventa impossibile da ignorare. I suoi membri perderanno altro tempo nel negoziare, continuando a fare qualsiasi piano impraticabile su larga scala. Questo è quello che coloro che si oppongono alla Brexit non vedono: scioccati, ora si staranno lamentando dell’irrazionalità dei votanti della Brexit, ignorando il disperato bisogno di cambiamento che ha reso il voto palpabile.
Per questa ragione, si dovrebbe supportare la posizione dell’UE che il ritiro dell’UK dovrebbe essere messo in atto quanto più velocemente possibile, senza lunghe consultazioni preliminari. Comprensibilmente, i partigiani della Brexit in Regno Unito vogliono la torta e mangiarla (o, come qualche perfido commentatore ha sottolineato, vogliono il divorzio che gli consenta di condividere lo stesso letto nuziale). Vogliono una via di mezzo (la proposta di Boris Johnson che l’UK debba mantenere libero accesso al mercato comune è stata dismessa appropriatamente come chimera).
La confusione sottostante la Brexit non si limita all’Europa: è parte di un ben più largo processo della crisi della “manifattura del consenso democratico” delle nostre società, nel crescente gap tra istituzioni politiche e rabbia popolare, rabbia che ha visto nascere Trump come Sanders in US. Segni che il caos è ovunque – un paio di giorni fa, il dibattito sul controllo delle armi al congresso degli USA si è trasformato nel caos da repubblica delle banane, con i parlamentari coinvolti in una rissa che assoceremmo di solito ad un paese del terzo mondo … è un motivo per disperarsi?
Citando un vecchio motto di Mao Tse Tung: “grande è la confusione sotto il cielo: la situazione è eccellente”. Una crisi è da prendere sul serio, senza illusioni, ma anche è una chance da sfruttare completamente. Benché le crisi siano dolorose e pericolose, sono il terreno su cui le battaglie si disputano e vengono vinte. Non c’è una battaglia in paradiso, e il paradiso non è diviso – e non offre quindi la corrente confusione una chance unica per reagire al bisogno di un cambiamento radicale in una direzione appropriata, con un progetto che può spezzare il circolo vizioso della tecnocrazia UE e il populismo nazionalista? La vera divisione del nostro paradiso non è tra anemici tecnocrati e passioni nazionaliste, ma tra il loro circolo vizioso e il nuovo progetto pan-Europeista, indirizzando la vera sfida che l’umanità deve oggi affrontare.
Nelle sue “Note sulla definizione di Cultura” T. S. Eliot sottolineava che c’erano momenti in cui l’unica scelta era tra eresia e non-credenza, che il solo modo di mantenere viva una religione era agire una divisione settaria dal suo corpo principale. Questo andrebbe compiuto oggi. Ora che, nell’eco della vittoria del Brexit, ci chiama per altre uscite dall’UE, che si moltiplicano in tutta Europa, la situazione richiede tali progetti eretici – chi afferrerà questa possibilità? Sfortunatamente, non l’attuale sinistra che è ben nota per la sua abilità mozzafiato nel non afferrare mai una possibilità che poteva essere afferrata …

Traduzione a cura di Enrico Strano per Sinistra in Europa
Fonte: Sinistra in Europa

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.