La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 31 luglio 2016

Si può affrontare il bilancio delle vittime in Siria?

di Vijay Prashad
La Siria resta una piaga aperta. All’interno della Siria la guerra continua. I bilanci delle vittime sono da tempo diventati senza senso. Le stime sono intorno al mezzo milione di morti, metà della popolazione dislocata e un’aspettativa di vita diminuita di 15 anni. Le notizie dei massacri si sono ora affievolite nell’immaginazione delle persone che non vivono nella regione. Il fato del popolo siriano è ora entrato in un registro che comprende quello degli iracheni e degli afgani. Sembra che questa morte sia il loro destino. Ottanta morti causati da un attacco suicida a Kabul quasi non fanno notizia. Ci vorrebbe di più per scuotere il pubblico occidentale: più morti e uccisi in modo più raccapricciante.
La Siria diventa rilevante quando i detriti di quella guerra si diffondono in Occidente: un assassinio cruento in Normandia, un camion che fa un massacro a Nizza, un assalto con un machete a Reutlingen. In questi casi la Siria arriva in Europa, o tramite le frustrazioni di un rifugiato folle o le fantasie di un teppista alienato. C’era un tempo in cui l’intelligence occidentale cercava di incoraggiare questi criminali ad andarsene in Siria a combattere la guerra contro Assad. Uno dei motivi per cui il Belgio aveva mandato il più alto numero di combattenti pro capite in Siria nei primi anni della guerra era stato che i suoi servizi di intelligence non avevano alcun problema a svuotare Molenbeek, un quartiere di Bruxelles, dei suoi trafficanti di droga e delinquenti.
Quando gli Stati Uniti cominciarono a bombardare le posizioni dello Stato Islamico, questi uomini si affrettarono a tornare a casa. Se gli arabi afgani andati a combattere in Afghanistan avevano lasciato le loro posizioni sulle montagne negli anni ’90 per creare al-Qaida e attaccare le loro terre natie, questi europei siriani sono tornati in patria per fare il loro tipo di danno.
Le guerre sono brutte. Distruggono i paesi. Nessuno ne esce puro come un angelo. Il governo siriano avanza verso Aleppo, bombardando dall’alto per aprirsi una strada nella città. Un’autobomba scoppia a Damasco, proprio dopo che un attacco con un mortaio aveva colpito un ristorante nel distretto di Bab Touma. I caccia statunitensi colpiscono i civili a Manjib, uccidendone 125. Un bombardamento dello Stato Islamico a Qamishli uccide 14 persone mentre combatte le forze curde vicino al confine turco. La mappa della guerra è complessa tanto quanto lo era un anno fa. La violenza non ha chiarito nulla. Si ottengono dei successi qua e là, per questa e quella parte, ma non c’è una strada significativa verso una facile vittoria.
Delle soffiate alla la Corte Penale Internazionale con accuse di crimini di guerra sono state ora messe a tacere. Quella era stata la strada per l’operazione di cambiamento di regime in Libia. L’Occidente ha tentato di farla in Siria nei primi anni, invitando Bashar al-Assad ad andarsene, e usando la minaccia dell’indagine della Corte Penale Internazionale per persuaderlo con la paura ad andare in esilio. L’intervento russo dello scorso anno frenò la mano dei sostenitori del cambiamento di regime.
Non è più probabile. La Siria soffre di una morte con mille ferite. Nessuno vuole impegnarsi in un’indagine sulle brutalità della guerra – né riguardo alle azioni del governo siriano, né riguardo ai bombardamenti americani (come quello su Manjib) o a quelli russi. C’è una complicità di silenzio.
Nel frattempo, centinaia di migliaia di civili vivono in stato d’assedio, tenuti in ostaggio dai ribelli e presidiati dal governo. La morte per fame è il loro orizzonte. Aleppo è la città più vulnerabile. Il governo ha usato le sue tattiche di assedio come metodo per fare la guerra. L’esercito siriano ha avvertito i ribelli di Aleppo che rafforzerà l’assedio imposto a 300.000 persone come metodo per costringere i ribelli ad andare via dalla città. In agosto il cibo si esaurirà, e le scorte di medicinali poco dopo. Il 60% degli ospedali in Siria ora sono chiusi o non funzionano. Aleppo non ha quasi nessuna infrastruttura sanitaria. La prudente avanzata dell’esercito siriano verso Aleppo potrebbe arrestarsi in qualsiasi momento. Già in precedenza si era fermata. Questo significa che la fame durerà ancora, avvelenando la possibilità di qualsiasi riconciliazione. Vincere una guerra non può essere l’unico obiettivo. E’ difficile combattere una guerra per ottenere la pace.
Il processo di pace negoziato dall’ONU ricomincerà in agosto. A Ginevra, l’Inviato Speciale dell’ONU per la Siria, Staffan de Mistura, he detto che era urgente fare dei progressi. Sperava che gli Stati Uniti e i Russi avrebbero elaborato i parametri per i colloqui, chiarendo che erano d’accordo a fare di nuovo pressione sulle fazioni siriane per riprendere le trattative.
La prova di un dialogo intra-siriano resta scarsa. La fiducia è difficile da ricostruire. De Mistura aveva detto lo stesso genere di cose fin da quando aveva assunto la carica. Replica le parole dei suoi predecessori, Lakhdar Brahimi e Kofi Annan. Nessuno ha potuto far progredire un piano di azione. Le cose ora sono più positive, con l’intesa tra i Russi e gli Stati Uniti che è in grado di ridurre la pressione per una vittoria totale nel paese.
Il caos nella regione alimenta il fallimento. Per esempio, la Turchia, ora dilaniata dalla sua crisi interna, può controllare i suoi “delegati”?
Quale sarà la situazione del confine turco, che è un condotto per far entrare i combattenti e la logistica nella regione dello Stato islamico? Il comandante del secondo esercito della Turchia, che ha la responsabilità di sorvegliare la frontiera siriana, è ora in prigione, come anche molti dei suoi vice. Il nuovo rapporto della Turchia con la Russia, ha diffuso ansia tra i suoi “delegati” che si considerano così “usa e getta” come è lo spostamento di alleanze geopolitiche. La dirigenza dei ribelli siriani a Istanbul non crede che la Turchia darà loro il tipo di robusto appoggio che aveva fornito nei primi anni della guerra. Questo significa che il sostegno dal Qatar, dall’Arabia Saudita e dagli altri emirati non sarà così facile da gestire, dato che era in gran parte attraverso la Turchia che questi finanziamenti e merci arrivavano nelle mani dei ribelli.
Nel frattempo, sul fronte meridionale della ribellione, Israele ha indicato che vorrebbe creare una “zona di sicurezza” prendendo il controllo di altre parti del territorio siriano. La giornalista Nour Samah ha parlato con Kamal Al-Labwani, un leader siriano ribelle che ha detto di essere favorevole a questa sistemazione. Questa parte della Siria ospitava 14 brigate, compreso l’Esercito Siriano Libero, Jabhat al-Nusra, affiliato di al-Qaida e Shuhada al-Yarmouk affiliato dello Stato Islamico. “Nessuno di questi gruppi ha problemi con Israele”, Labwani ha detto a Samah, “e neanche Israele ha problemi con loro.” E’ improbabile che Israele sarà in grado di subentrare nel ruolo della Turchia, dato che è il condotto principale per i ribelli. La guerra siriana non è completamente tracimata nel territorio in mano a Israele, comprese le Alture del Golan, occupate illegalmente. Se Israele non diventa il canale di accesso per i ribelli, è improbabile che possa proteggersi dal tipo di caos che tortura già la Turchia.
All’interno della Siria, Jabhat al-Nusra, affiliato di al-Qaida, ha deciso di staccarsi da al-Qaida. Sarà ora conosciuto con il nome di Jabhat Fateh al-Sham (il Fronte siriano della Liberazione). Vuole essere considerato in occidente e tra gli stati del Golfo come il più promettente fronte ribelle contro il governo di Damasco. Il fatto che Jabhat al-Nusra fosse stata una creazione dello Stato Islamico nel 2012 e che abbia avuto per lungo tempo un’affinità con al-Qaida, renderà difficile da accettare questo tipo di dissociazione. Cionondimeno, è già chiaro in base al fatto che l’Occidente, gli Arabi del Golfo e gli israeliani trattano Jabhat al-Nusra come una forza “moderata” quando è paragonata allo Stato Islamico. E’ uno standard impossibile, noto a chi ha seguito la guerra afgana degli anni ’80 e ’90, quando l’Occidente e gli Arabi del Golfo hanno consacrato quello che doveva diventare Al-Qaida come una forza vitale contro i Comunisti afgani e l’Unione Sovietica. Riconoscere al-Nusra come forza moderata, ostacolerà il processo di pace. Non sarà accettato da Damasco, né dalla Russia e dall’Iran.
La situazione di Jabhat al-Nusra ha confuso la precedente pace negoziata dall’ONU. Damasco considerava Jabhat al-Nusra un gruppo terrorista e voleva permettere ai suoi alleati russi di colpirla dal cielo. L’Occidente è stato reticente, ma non ha potuto portare avanti l’idea che un affiliato di al-Qaida non è un’organizzazione terrorista.
Jabhat al-Nusra ha intelligentemente fatto alleanze con la rete di gruppi ribelli lungo il bordo occidentale della Siria. Questo lo inserisce nel tessuto della ribellione, ma compromette anche la capacità dell’Occidente di crearsi i suoi alleati moderati, e autorizza il governo siriano a bombardare qualsiasi gruppo ribelle (dato che è probabile che siano collegati a Jabhat al-Nusra). La chiarezza sulla condizione di al-Nusra non verrà dalla sua dissociazione da al-Qaida, che sarà considerata con sospetto da Damasco.
De Mistura vuole che i colloqui di pace si riaprano “domani, prima sarà fatto e meglio sarà.” John Kerry (Stati Uniti) e Sergey Lavrov (Russia) si sono incontrati e hanno detto quello che avevano continuato a dire per la maggior parte dell’anno – è necessario che ci sia un processo di pace. Nulla di tutto questo è motivo di ottimismo. I rumori del fuoco dei mortai e delle bombe sono la colonna sonora dell’ininterrotta guerra siriana.

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.org
Originale: Alternet
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2016 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0

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