di Alfonso Gianni
La decisione assunta dalla Bce di alzare l'asticella della ricapitalizzazione del Monte dei Paschi di Siena a 8,8 miliardi di euro, in luogo dei 5 miliardi da reperire sul mercato finanziario previsti fino all'altro giorno, scuote dalle fondamenta il mondo bancario italiano. La nuova richiesta è stata messa nero su bianco in una lettera recapitata il 26 pomeriggio, anche se la decisione è stata probabilmente presa a maggioranza qualche giorno prima nel Supervisory board della Banca centrale. La soluzione privata per salvare la Banca senese, immaginata da Renzi sotto la spinta di Vittorio Grilli e di Jamie Dimon, dirigenti europeo e mondiale di JP Morgan, che nella vicenda aveva tutto da guadagnare, è miseramente fallita per difetto di soggetti disponibili ad esporsi a rischi.
Ma ora, dopo avere perso mesi, anche il salvataggio di Stato - cioè la ricapitalizzazione preventiva da parte del pubblico che avviene a sostegno dell'economia privata e che quindi non va confusa con una vera e propria nazionalizzazione - appare tutto in salita e irto di ostacoli.
Ma ora, dopo avere perso mesi, anche il salvataggio di Stato - cioè la ricapitalizzazione preventiva da parte del pubblico che avviene a sostegno dell'economia privata e che quindi non va confusa con una vera e propria nazionalizzazione - appare tutto in salita e irto di ostacoli.
È successo che la Bce ha applicato lo stesso algoritmo - un termine che si è ormai attirato l'antipatia dei più - usato in passato per le banche greche. Ha ritenuto cioè che la situazione patrimoniale di Mps - la terza banca italiana -, rilevata con gli stress test fin dal luglio scorso, sia di una tale gravità da richiedere una prudenza rafforzata. Solo che quando la stessa cosa avveniva per gli istituti di credito del paese ellenico, a molti pareva giusto ed encomiabile, mentre altri non se ne curavano affatto spandendo a piene mani ottimismo sullo stato del sistema bancario italiano. "Mica siamo greci noi!". Ora che accade in casa nostra si alzano alti lai.
In effetti la situazione non è allegra. Ma non lo è mai stata. Già più d'uno ha fatto giustamente notare che preoccuparsi solo di trovare i soldi - e come, e dove ? - per salvare le banche e dimenticarsi delle altre condizioni di sofferenza e di bisogno del paese e della sua popolazione è un pessimo modo di governare. Ma ora vi è in più il rischio che gli stessi criteri vengano imposti anche per le altre banche da soccorrere e che quindi il decreto salva-banche del neonato governo fotocopia Gentiloni si dimostri del tutto insufficiente a garantire gli agognati salvataggi.
Ma vi sono anche altri problemi da prendere in considerazione e subito. L'intervento dello Stato, pur non consistendo in una nazionalizzazione vera e propria, lo fa diventare azionista. Più si alza l'asticella e più la sua quota cresce. Quindi avrebbe il potere e il dovere di indirizzare le scelte della banca. Ma soprattutto di fare chiarezza sui comportamenti dei manager. Non è possibile che si invochi il carattere sistemico delle crisi solo quando fa comodo, ovvero quando si tratta di occultare le responsabilità individuali dei vari dirigenti. Uno Stato azionista ha il dovere di acclararle e di renderle pubbliche, affinché le stesse persone non facciano danno altrove. E di provvedere al ricambio dei dirigenti. Invece i teorici della rottamazione sono per il riciclo perpetuo quando si tratta dei manager.
Non solo. Secondo quanto fino ad ora il Ministero dell'economia ci aveva fatto sapere, a perderci nell'operazione di salvataggio dovevano essere solo gli investitori istituzionali in quanto tenuti a conoscere le condizioni di rischio cui si erano esposti. Mentre venivano salvati i 40mila clienti retail che avevano comprato e detenuto fino a oggi i titoli subordinati, perché ritenuti incolpevoli della mancata informazione sui rischi dei loro investimenti. Ma un economista mainstream come Luigi Zingales, certamente non incline a prendere a schiaffi il libero mercato, si pone una domanda cui le autorità preposte dovrebbero rispondere con celerità. I rimborsati saranno solo i clienti retail che hanno originariamente acquistato i subordinati o tutti i possessori degli stessi? Se cadessimo in questo secondo caso potrebbero beneficiarne persino fondi di investimento spregiudicatamente vocati al rischio, come gli hedge fund, che hanno acquistato titoli negli ultimi mesi. Se così fosse significherebbe trasferire denaro pubblico direttamente nelle mani degli speculatori finanziari o di chi a vario titolo ha legami, quindi maggiori conoscenze, con il governo. Sarà bene tenere alta la vigilanza su tutti questi aspetti e in particolare su quest'ultimo, non solo da parte degli organi competenti quanto spesso dormienti, ma da parte dei cittadini tutti.
Fonte: Huffington Post - blog dell'Autore
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.