La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 21 gennaio 2017

Le spine di C17

di Franco Berardi Bifo
In singolare e spiritosa coincidenza con l’inizio della prima presidenza del Ku Klux Klan, comincia oggi a Roma una conferenza dal titolo C17. Si svolge in parte al centro sociale ESC, dove parlerà una folta schiera di pensatori contemporanei, da Saskia Sassen a Silvia Federici a Christian Marazzi e tanti altri. E in parte si svolge alla Galleria d’arte moderna dove ci saranno performance di vario genere, a cominciare con Franco Piperno che ci insegna come leggere il cielo e ci racconta come si è letto il cielo nel corso dei secoli e dei millenni. Guardare il cielo in modo consapevole e immaginativo è il modo migliore di cominciare, perché così il tema del comunismo si ripresenta nella sua cornice più vasta, quella che contiene la sensibilità, l’immaginazione e il desiderio (che d’altra parte è parola che scende etimologicamente dalle stelle).
La questione del comunismo ritorna?
Il comunismo del ventesimo secolo è morto, questo è fuori discussione.
La tragedia del secolo passato ha avuto tre attori protagonisti: il comunismo il fascismo e la democrazia. Il fascismo apparve sconfitto, morto e sepolto dopo la fine della seconda guerra mondiale. Poi venne l’epoca della guerra fredda: i due attori sopravvissuti si contesero l’egemonia sul mondo fino al collasso finale del comunismo sovietico e al trionfo della democrazia.
Il comunismo apparve allora definitivamente liquidato, irreversibilmente condannato perché la democrazia prometteva di rispondere alle domande cui il comunismo sovietico non aveva dato risposta: benessere, pace, allegria.
Il decennio novanta cominciò però subito con una spiacevole sorpresa. Invece della pace promessa la democrazia americana lanciò la guerra nel Golfo.
E nel secolo nuovo anche la promessa di benessere economica è andata svanendo, così che la miseria si è diffusa insieme alla rabbia e all’impotenza.
Molti hanno allora cominciato a pensare che la democrazia non può convivere a lungo con il capitalismo senza diventare un’odiosa ipocrisia.
L’odio per l’ipocrisia democratica ha allora riportato il fascismo sulla scena.
E poiché le sorprese non finiscono mai, in pochi anni partiti razzisti, autoritari quando non apertamente fascisti si sono impadroniti del potere in gran parte del mondo.
Hitler ritorna? Se ritorna è moltiplicato per dodici e per di più ha la bomba nucleare. E poiché la democrazia si è rivelata un’illusione, una maschera dietro cui si nasconde la violenza economica del capitalismo finanziario globale, dobbiamo riconoscere che il comunismo è urgente.
L’urgenza la sentono molti, forse la maggioranza della società, ma molto pochi chiamano quest’urgenza con il suo vero nome: comunismo.
La sofferenza si diffonde, ma pochi sanno che la cura non è farmacologica, perché la cura si chiama comunismo.
Artisti attivisti e pensatori si sono quindi dati appuntamento a Roma, e sarebbe bello se riuscissero a trovare parole, gesti e forme capaci di nominare questa urgenza.
Ci riusciranno?
Io sono andato a leggermi alcuni documenti che introducono questa conferenza e particolarmente le pagine che sono uscite sul Manifesto una settimana fa, una intervista di Benedetto Vecchi con Sandro Mezzadra e una di Francesco Raparelli con Toni Negri.
Confesso che entrambe queste interviste mi hanno molto deluso, come chi fosse invitato ad un pranzo succulento e si trovasse a dover sorbire un’insipida minestrina da ospedale.
Negri ci ha ripetuto negli ultimi anni che la moltitudine si oppone all’impero. Ma la moltitudine oggi si esprime votando per i peggiori nazionalisti o respingendo i profughi che fuggono dalla guerra e dalla fame, e costruendo campi di concentramento lungo le coste del Mediterraneo.
Ora, in questa intervista sul Manifesto dice che occorre trasformare la sofferenza del bisogno in un noi desiderante, e siamo tutti d’accordo naturalmente. Ma questa frase, che è il centro del suo ragionamento, è un’ovvietà poco interessante, perché vorremmo sapere come questo passaggio dalla miseria psichica e sociale dell’oggi può trasformarsi in solidarietà felice.
Mezzadra ripete alcune cose che abbiamo sentito mille volte negli ultimi anni ma sembra dimenticarsi che nel frattempo, proprio in questo ultimo anno, in questo maledetto anno dell’apocalisse 2016, tutte la parole degli ultimi decenni sono diventate vecchie perché il razzismo si è impadronito del governo del mondo.
Negri e Mezzadra (e tutti i documenti che introducono questo appuntamento C17) dimenticano di pronunciare il nome dell’uomo del Ku Klux Klan che proprio in questi giorni si insedia al governo del mondo.
La rimozione non ci sarà di nessun aiuto, eppure è sotto il segno della rimozione che questo appuntamento comincia.
La sintesi di queste interviste sembra essere in un titolo scelto dal Manifesto: I movimenti saranno una spina nel fianco del potere.
Ma questa sintesi è sconsolante. La spina? Il fianco? Ma di che stiamo parlando?
I movimenti sono scomparsi e non ritorneranno, perché sono stanchi di essere una spina in un fianco tanto pingue che della spina neppure se ne accorge.
Speriamo che questi giorni di discussioni e di sperimentazioni ci permettano di intravvedere un orizzonte un po’ più originale ed efficace di questo.

Fonte: Alfabeta2.it 

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