La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 15 gennaio 2017

Post-verità: ultima battaglia di retroguardia della postmodernità neoliberista

di Daniel Späth
È caratteristico di ciascuna variante della coscienza borghese che subito dopo aver avuto un ruolo egemone si mostri nuovamente superata dal processo storico della costituzione feticista del patriarcato produttore di merci. In questo modo, pertanto, le ideologie mostrano, senza eccezioni, di correggere analiticamente la forma della dissociazione-valore di una data costellazione storica, per poi giocarla contro l'altra epoca della relazione del capitale. Di conseguenza, anche il concetto borghese di critica si limita a questo campo immanente del conflitto, dato che la critica o si riferisce positivamente alla configurazione attuale della dissociazione-valore nel cui nome viene denunciata l'insufficienza delle epoche passate, oppure cerca di idealizzare il passato, a fronte della cui luminosità viene alla luce la decadenza del presente.
Sia il quadro di riferimento dell'ideologia di modernizzazione che quello dell'ideologia di decadenza rimangono categorialmente bloccati nella positività della coscienza borghese, facendo sì che in tal modo il concetto stesso di critica venga ridotto ad un assurdo.
Se nel corso della storia della modernizzazione, questa positività categoriale della coscienza borghese aveva ancora un suo criterio immanente, diversamente, nella lotta per la "configurazione" presente e futura della costituzione feticista fondamentalmente ontologizzata - in questo caso dalle ideologie postmoderne - il fatto che la sua legittimazione rinunci perfino a quest'orizzonte di riflessione, getta su di essa una luce sinistra. È soprattutto il neoliberismo - diventato dominante come prima ideologia postmoderna per eccellenza dopo il collasso dell'Unione Sovietica - a fornire una testimonianza eloquente della nuova qualità della negazione del presente. Il concetto di "Fine della Storia" (Fukuyama) non è nato solo dalla presunzione dell'economia occidentale di mercato ebbra di vittoria; assai di più, in questo si è espressa una specifica disposizione di coscienza, la cui nuova qualità irrazionale si alimenta della decadenza delle stesse categorie reali feticiste: se il contenuto del pensiero affermativo, nell'epoca della modernizzazione e dell'accumulazione del capitale, riesce ancora a coprire positivamente le forme oggettivate dell'esistenza, basandosi sulla sostanza del "lavoro astratto" e delle attività riproduttive, ciò avviene grazie al fatto che la coscienza postmoderna della crisi è regredita alle categorie reali in decadenza, diventando così letteralmente inutile.
Di conseguenza, la "teoria" post-strutturalista si distingue, dalle sue origini perché nega completamente l'oggettività feticista. Per quanto i diversi approcci si siano differentemente posizionati, nel corso dei decenni, questa peculiarità caratteristica è rimasta loro comune, e alla fine è grazie ad essa che il decostruzionismo è riuscito ad avere successo come ideologia centrale dell'amministrazione neoliberista della crisi. L'orientamento, quasi immediatamente socio-psicologico di tale ideologia - la cui negazione dell'oggettivizzazione autonomizzata della costituzione sociale feticista a favore dell'affermazione di un Io astratto corrisponde al reorientamento narcisista dell'oggetto della libido per mezzo di questo stesso Io - ha manifestato, anche in confronto alle ideologie dell'era della modernizzazione, un nuovo grado di irrazionalità.
Dal momento che nei centri occidentali, la forma del pensiero radicalmente soggettivista del decostruzionismo è il prodotto dell'individualizzazione forzata, associata all'amministrazione neoliberista della crisi, anche l'intelligenza politica funzionale ha rappresentato, ora più ora meno, il corrispondente carattere sociale. Un esempio particolarmente impressionante dello spirito neoliberista dei tempi ci viene dato da Angela Merkel. Sia per quel che riguarda la sanità, la politica europea, il servizio militare o l'energia nucleare - sia per i temi dominanti che hanno guadagnato rilevanza nel discorso pubblico - la sua opinione ha compiuto una svolta di 180°, nel momento in cui questo le è apparso politicamente opportuno: Angela Merkel rappresenta la "decostruzionista globale ideale" per eccellenza. E proprio per questo appare predestinata a riacquistare la sua fiducia personalizzata presso il suo gregge elettorale democratico. 
Lei ha perfino il coraggio di cambiare opinione sulle questioni cruciali da un giorno all'altro! Non è forse questo il vero pragmatismo?
II
In questo contesto, era naturale che si diffondesse la parola chiave della "post-verità". Tuttavia, qui non si tratta di un nome per l'iniziale coscienza di crisi postmoderna e per il suo famoso anti-oggettivismo, ma piuttosto della classificazione dell'ideologia postmoderna tardiva dello stato di necessità, che dal 2008 spinge in maniera apparentemente inarrestabile verso la fascistizzazione dei centri occidentale. Il termine "post-verità" è stato eletto "Parola dell'anno 2016" in quanto fa parte della battaglia di retroguardia dell'intellighenzia funzionale neoliberista, i cui giorni, tuttavia, sono contati. Le premesse del decostruzionismo neoliberista, superate dalla dinamica della crisi sociale, si rivelano così del tutto infondate.
Se il decostruzionismo negatore della realtà, nella sua ultima battaglia di retroguardia, pretende proprio ora di rivendicare a sé un orientamento verso i fatti, al fine di presentare come "post-verità" la coscienza postmoderna tardiva del neofascismo [*1] dello stato di necessità, diventa allora del tutto evidente l'impotenza dell'intellighenzia funzionale neoliberista. Poiché, in realtà, l'ideologia dello stato di necessità - chiamata populismo - testimonia assai di più una svolta verso la fattualità, di quanto avvenga con il decostruzionismo negatore della realtà. Il fatto che la decostruzione dell'oggetto arretri sempre più il suo posizionamento immediato costituisce una dislocazione, essa stessa preformata dallo sviluppo della crisi all'interno della forma borghese di pensare, ed è questa la ragione per cui l'ideologia postmoderna tardiva dello stato di necessità sfocia nell'enfasi di un nuovo rapporto con l'oggetto. In questo modo, l'ideologia postmoderna tardiva incarna un nuovo fanatismo dell'oggettività [*2].
Tale disposizione rispetto all'oggetto - che si rivela attraverso il fatto che la coscienza dello stato di necessità comincia a sostituire gradualmente la sua decostruzione - appare qui non meno ossessiva di quest'ultima. Anzi, costituisce la matrice basilare di tutte le teorie della cospirazione o della manipolazione che, a partire dalla crisi finanziaria del 2008, riappaiono anche in gran parte dei centri occidentali. La mania di persecuzione, associata ad una disposizione paranoica, non può continuare a negare l'oggetto; ma è apertamente ossessionata dalla concretizzazione dei "persecutori", le cui macchinazioni manipolatrici devono essere spezzate una volta per tutte. Quello che appare epistemologicamente come un riferimento all'oggetto e che si annuncia come un nuovo feticismo della fattualità, corrisponde ad una ricerca ossessiva del manipolatore, ed è questo il motivo per cui il nuovo fanatismo dell'oggettività si trova sempre ad un passo dall'antisemitismo. Il neofascismo, in ogni caso, ha perso ormai da tempo qualsiasi inibizione a tal riguardo, e nelle sue farneticazioni ora parla esplicitamente di "spirito sionista".
Appare quindi di per sé evidente che il tardivo positivismo postmoderno della fattualità non si trova in linea con la realtà più di quanto lo fosse l'iniziale arbitrarietà postmoderna. In quanto diabolica alleanza fra positivismo ed irrazionalismo, l'allucinazione della coscienza borghese culmina nella teoria neofascista della manipolazione. Questa relazione può essere vista in maniera esemplare in Franz Hörmann, il quale si rivela un focoso rappresentante del positivismo popperiano e, simultaneamente, ragiona di esseri extraterrestri e di reincarnazioni [*3]. Si tratta dell'irrealtà di un'alternativa senza futuro, che si muove fra l'amministrazione dello stato di necessità della crisi neoliberista e fra l'amministrazione dello stato di necessità neofascista, ed è questo che conferisce alla lotta simulata intorno alla presunta "post-verità" connotati cosi' fantasmatici.
III
Nonostante tutta la retorica di demarcazione reciproca, l'iniziale decostruzionismo della postmodernità e l'attuale rappresentazione di oggettività della postmodernità tardiva sono due ideologie complementari. Già l'unilateralità inerente ad entrambe le matrici epistemologiche getta una prima luce sulla loro complementarità interna. Se cogliamo il legame di entrambe le ideologie sul piano epistemologico più astratto, allora la reciprocità immanente del decostruzionismo e dell'enfasi dell'oggettività appare fondamentalmente come una fuga dalla questione sollevata da Marx nel Capitale: «Perché questo contenuto assume quella forma?»
Essenzialmente, la coscienza borghese non riesce a rispondere a tale domanda, proprio perché, data la sua costituzione all'interno della logica dell'identità, delle due l'una: o pone la forma in maniera aprioristica, per darle successivamente un contenuto, oppure si riferisce al contenuto che la forma genera di per sé. 
È in base al contenuto feticista della socializzazione del patriarcato produttore di merci che "forme oggettive di esistenza" e "forme oggettive di pensiero" (Marx) si disintegrano nel processo sociale, in quanto vengono viste isolatamente dalla coscienza borghese e vengono perciò fissate le une contro le altre. Allora quel che appare, come opzione, o un è principio spirituale-ideale che viene visto come motore della realtà sociale, oppure, esattamente al contrario, la dimensione spirituale ed ideologica viene derivata dalla realtà sociale, dalla sua "posizione nel processo di produzione". È questa la ragione per cui, fin dall'epoca dell'imposizione dell'Illuminismo, la filosofia e la scienza borghese si muovono costantemente dentro la contraddizione fra idealismo e materialismo.
In tal senso, nell'idealismo decostruzionista quel che si articola è l'autonomia della forma contro il contenuto, facendo così in modo che la categoria principale del "discorso" possa funzionare come paradigma: in realtà, l'idealismo decostruzionista è un formalismo. Ed è da questo impeto formalista che poi proviene anche il sentimento contro qualsiasi contenuto e contro qualsiasi momento naturale; sentimento che è inerente al virtualismo della postmodernità iniziale. Dall'altro lato, il materialismo ipostatizzatore dell'oggettività si rivela, al contrario, come autonomizzazione del contenuto nei confronti della forma. Il sentimento che cresce contro la forma si riflette, nel neofascismo, vale a dire in una concezione della storia vista come decadenza; una concezione che intende azzerare la formazione svolta dalla cultura, insistendo sulla pretesa ignoranza delle società premoderne, le quali non sarebbero state corrotte dal moderno stile di vita. L'autonomizzazione del contenuto rispetto alla forma ritorna come naturalismo, nel materialismo postmoderno tardivo.
Tuttavia, intenderla come un'opposizione astratta, significherebbe attuare una riduzione di questa polarità fra amministrazione dello stato di necessità della crisi neoliberista ed amministrazione dello stato di necessità neofascista, che è una polarità di opposizione anche se interdipendente. Le costellazioni della coscienza borghese, costituite nella divisione, non riescono a rimanere nella loro unilateralità; in effetti, la realtà feticista può essere distorta e nascosta, ma questo produce all'interno del contesto, contro la sua volontà, un risultato della riflessione. Pertanto, non sorprende che negli scritti recenti di Judith Butler emerga - nonostante l'avversione anti-naturalista - un naturalismo ammantato di idealismo decostruttivista espresso sulla base di un'ontologia della corporeità; ed anche il naturalismo feticizzatore dell'oggettività, a sua volta, è un idealismo mascherato; è essenzialmente un ripensamento mentale-spirituale che, una volta attuato, fa sì che la ristrutturazione materiale della società sembri un gioco infantile.
IV
L'identità interna ad entrambe le ideologie può ora essere vista nella sua reciprocità immanente, e non solo. Da subito, queste ideologie concordano completamente sulla struttura epistemologica fondamentale. Quel che appare, in entrambe le forme di pensare, come un oggetto contrapposto al soggetto - che può essere sia negato che assunto dal soggetto - ci parla dell'inclusione, nelle forme del pensare del soggetto cognitivo, della costituzione sociale feticista, la cui oggettualità oggettivata in quanto totalità di per sé dinamica viene neutralizzata facendo riferimento all'oggetto in maniera adeguata al soggetto - ovvero riferendosi al SUO oggetto.
Quindi, quel che nella dicotomia borghese soggetto-oggetto deve esser lasciato fuori è il surplus specifico della costituzione feticista oggettivata, in quanto presupposto specifico sociale e storico. E come, in ciascun periodo di sviluppo e di decadenza della forma della dissociazione-valore, questa eccedenza si configuri in maniera diversa, dal momento che dipende dal gradi di compressione intensiva concretamente in vigore, questo si perde nella riflessione sulla logica dell'identità, nella griglia di percezione della dicotomia soggetto-oggetto, così come della costituzione sociale, vista anche nella sua mediazione storica concreta. Quel che avviene con la forma di pensiero scientifico borghese, in generale si applica anche alla costellazione complementare del formalismo neoliberista e del naturalismo neofascista: le loro ideologie possono avere inizio solo quando la compulsione della socializzazione feticista viene messa a tacere.
Perciò, si può arrivare ad una connessione interna specifica di entrambe le ideologie solo attraverso concetto secondo cui esse si incontrano solo nel loro contesto condizionale storico e socialmente specifico della forma globale di dissociazione valore. Nel contesto di una riflessione critica genuinamente storica sulla dinamica di crisi del surplus feticistico, il decostruzionismo idealista guadagna la funzione di bollitore della tardiva barbarie postmoderna che si trova all'interno del flusso storico ed ideologico. Perché potesse avvenire, a partire dalla crisi finanziaria del 2008, che le teorie della cospirazione e della manipolazione potessero spuntare come funghi dappertutto, era necessario il campo dei detriti ideologici dell'iniziale negazione postmoderna della realtà, il cui rullo compressore della decostruzione aveva spiaccicato qualsiasi concrezione di contenuto, aprendo in tal modo la strada al degrado della coscienza dello stato di necessità.
In quanto coscienza oggettivamente superata dallo sviluppo della crisi a partire dal 2008, il decostruzionismo neoliberista dimostra per l'ultima volta il suo senso totale di flessibilità, con il suo sentirsi via via sempre più a casa con l'amministrazione neofascista dello stato di necessità. La metamorfosi postmoderna tardiva in fanatismo dell'oggettività attiene alla società nel suo insieme, in quanto tale fanatismo si nutre della posizione concreta dei centri occidentali nella svalorizzazione globale. Se il decostruzionismo accademico scopre improvvisamente un "nuovo realismo" [*4], o se la teoria queer ha da tempo cominciato a plagiare la critica della dissociazione-valore, appare chiaro che l'iniziale decostruzionismo postmoderno, per poter tenere il passo con il contesto sociale della pressione potenziata della svalorizzazione, andrà a rifugiarsi gradualmente nel materialismo dell'ipostasi dell'oggettività.
V
Di conseguenza, il boom politico-mediatico della svolta a destra europea intorno alla "post-verità" può essere decifrato come un tentativo estremamente ambiguo da parte delle élite funzionali neoliberiste di agire come baluardo della ragione. L'avviso a questo associato, secondo il quale nel discorso politico, dentro il lavoro di partito dev'essere assunta anche l'importanza dei "sentimenti", chiarisce ancora una volta la reale simbiosi storica fra decostruzionismo e naturalismo che si va preparando. L'inconsistenza dello spirito neoliberista del tempo non può più essere taciuta, dal momento che sono proprio quelle ali dell'intellighenzia politica funzionale che negli ultimi anni hanno dislocato "in maniera performante" la determinazione sociale, oppure l'hanno dissolta nel discorso virtualizzato, che ora insistono sul carattere persuasivo della fattualità. I processi reali del fronte trasversale che comprende intellighenzia funzionale neoliberista e neofascismo, oltre a costituirsi specificamente per una "svolta immanente postmoderna" [*5], sono anche il risultato di questa inconsistenza della stessa assiomatica decostruzionista.
Se il concetto di "post-verità" può rivendicare una qualche rilevanza, può farlo esclusivamente alla fine di un'epoca che inizia con il collasso dell'Unione Sovietica ed arriva fino alla crisi fondamentale postmoderna. L'assoluta impossibilità di potersi ancora relazionare positivamente con la forma della dissociazione-valore e con le categorie reali che le sono inerenti, sulla base del capitale mondiale al collasso, dal momento che una relazione sociale che si disintegra non può essere semplicemente occupata, è un fenomeno della postmodernità iniziale e non della "svolta immanente postmoderna" attuata a partire dalla crisi finanziaria del 2008. Il decostruzionismo negatore della realtà rappresentava solo il simbolo di questa nuova qualità irrazionale della coscienza postmoderna di crisi; è stato proprio questo decostruzionismo ad aprire l'era della "post-verità". L'ascesa del neofascismo è l'espressione acuita di tale tendenza all'imbarbarimento, sotto le condizioni di una svalorizzazione, ora diretta, del capitale occidentale.
Astraendo da queste scappatelle legittimatrici, che vanno di pari passo con la messinscena politica e mediatica della "post-verità", questo concetto dev'essere rifiutato in sé e per sé, come indice di falsa coscienza. Il campo del dibattito da esso aperto riguardo una politica fedele ai fatti, che si confronta con un populismo al di là dei fatti, è collegato fin dal suo inizio all'immanenza della socializzazione della crisi fondamentale. Il factum brutum non esiste; nella costituzione feticista, il fatto è un prodotto dell'apparenza, che nella sua esistenza astratta ha eliminato la mediazione con la forma della dissociazione-valore che lo produce.
Nella crisi fondamentale del capitale mondiale e della compressione che costringe il modo di vita sociale nella pura immanenza, si acutizza nuovamente il paradosso della costituzione feticista: quanto più si afferma inesorabilmente la pressione della svalorizzazione della costituzione sociale globale, e quindi quanto più spietatamente il surplus feticista agglomerato nel capitale mondiale esige il suo tributo, tanto più la coscienza della crisi si misura con l'immediatezza astratta. La lotta intorno alla "(post-)verità", combattuta tra il decostruzionismo neoliberista ed il fanatismo neofascista dell'oggettività, si rivela come il campo di battaglia su cui si scontrano le forme della coscienza della soggettività borghese di crisi degradata a pura immanenza, dove le due fazioni lottano per la posizione egemone nella prossima amministrazione dello stato di necessità.
Per avere una visione complessiva dell'agitazione paranoica dell'epoca postmoderna tardiva, sarebbe necessario, piuttosto, una distanza critica-teorica in grado di spiegare la disintegrazione degli Stati occidentali, sia nella loro genesi storica che in relazione alla costituzione sociale della crisi della forma globale della dissociazione-valore. Anziché cedere al culto dell'immediatezza, che ondeggia fra le alternative fossilizzate della "verità" e della "post-verità" dell'immanenza totalizzata, è indispensabile ricostruire la mediazione dei processi di crisi, che adesso si ripercuotono anche sui centri occidentali, con la processualità oggettivata della forma della dissociazione-valore. La distanza teorica preliminare ad una tale critica non può semplicemente cadere dal cielo, né essere improvvisamente estratta dall'immediatezza della coscienza postmoderna tardiva dello stato di necessità; come è stato reso evidente dalla storia dell'elaborazione teorica della critica della dissciazione-valore, tale distanza teorica può nascere solo sulla base di una teoria critica sviluppata nel corso di decenni, che porti l'esposizione della processualità feticista reale della forma della dissociazione-valore sui diversi piani della "totalità concreta" (Roswhita Scholz). Soprattutto nell'era dell'immediatezza postmoderna, è facile dimenticare il fatto che i principali protagonisti, i soli che hanno potuto elaborare e sviluppare con forte tenacia la teoria della dissociazione-valore, per questo hanno dovuto affrontare, ed affrontano a tutt'oggi, delle difficoltà che riguardano molti aspetti nella storia della loro vita.
Al contrario, il panico della piccola borghesia postmodernizzata dovuto alla paura di poter perdere gli ultimi benefici a causa della svalorizzazione imminente, è dovuto allo spirito del tempo vigente, che vede il neofascismo al suo culmine. Inoltre, l'abborracciamento complessivo di concetti che allucinano un "capitalismo senza crescita", un "denaro senza interessi" o una "economia fisica" offre un prodotto che consiste in una rivolta anticonformista di persone la cui autobiografia trabocca di carriere tradizionali neoliberiste. Quella che viene esibita come "opposizione al sistema" è composta per eccellenza proprio a partire dall'establishment; non c'è protagonista del "AfD", di "Mahnwachen" o di "PEGIDA" che non abbia da mostrare una carriera nell'establishment da loro denunciato. Nel neofascismo si evidenzia quel che distingue la situazione storicamente concreta della "svolta immanente postmoderna": è lo stesso ex neoliberismo a trasformarsi nell'alternativa inerente di un'amministrazione postmoderna tardiva dello stato di necessità.
Tuttavia, quel che sfugge completamente anche a chi, dal lato della sinistra, ritiene di avere il monopolio della "critica del capitalismo", si esprime proprio in quella distanza critico-teorica della critica sociale radicale, che insiste sulla mediazione dell'amministrazione dello stato di necessità imminente, mediazione che nel suo divenire storico rifiuta la processualità oggettivata della socializzazione globale della dissociazione-valore. La negazione specifica delle differenti dimensioni della "totalità concreta" è, e continua ad essere, il prerequisito indispensabile per la negazione categoriale, per il superamento della costituzione feticista del patriarcato produttore di merci, attraverso un contro-movimento transnazionale. Anche se attualmente questo contro-movimento è del tutto inesistente, in futuro il suo criterio concreto sarà anche la "critica categoriale" (Robert Kurz) del feticismo della dissociazione-valore, nella sua costituzione specifica in ciascun caso.
Dal momento che non si può aspettare fino a quando, nel giorno in cui voleranno gli asini, la versione di sinistra della non-critica decostruzionista non abbia riconsiderato completamente la sua fuga, che dura da trent'anni, di fronte alla questione, allora solo la critica radicale può, nello status quo di una società mondiale paranoica, divulgare le condizioni concrete al fine dell'abolizione globale della socializzazione feticista del patriarcato produttore di merci, sottomettendo ad un'analisi critica le metamorfosi storiche nel processo di decadenza della socializzazione feticista globale, insieme alle ideologie sorte da tale decadenza. Così, all'idea sostenuta dalla critica radicale, di trascendere la socializzazione capitalista di crisi, resta ancora, quanto meno, di privare la coscienza decadente della sua ultima illusione, quella per cui la "fattualità" della socializzazione borghese della crisi sarebbe non solo il migliore dei mondi, ma sarebbe anche, in ongi caso, naturale.

NOTE:

[*1] - La distinzione fra postmodernità iniziale e postmodernità tardiva, che si stabilisce nel corso dei processi di crisi globale a partire dalla rivoluzione microelettronica, non può essere qui ulteriormente sviluppata. Per questo, sarebbe necessaria una riflessione complessiva sulla dinamica di crisi oggettivata, come verrà esposta in dettaglio nella prima parte del saggio "Querfront allerorten!“ che verrà pubblicato nel prossimo numero della rivista EXIT! (il n°14).

[*2] - Si pensi solo a Thilo Sarrazin e al suo parlare dei fatti e della cosa in sé.


[*4] - Roswitha Scholz si occuperà di questo argomento sul piano epistemologico sul numero della rivista EXIT! successivo al prossimo (n°15).

[*5] - Si rimanda qui ancora una volta al testo "Querfront allerorten!“ (vedi nota n°2).

Articolo pubblicato su www.exit-online.org il 3 gennaio 2017 
Fonte: blackblog francosenia

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