La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 5 gennaio 2017

Un’ipocrisia tutta italiana

di Alessandro Dal Lago
La protesta del Centro di prima accoglienza di Cona, in seguito alla morte di una donna ivoriana, fa emergere le contraddizioni, le ipocrisie, l’arretratezza civile e istituzionale dell’Italia quando si affronta la questione dei migranti. E porta alla luce, se solo si dà un’occhiata ai blog e ai commenti online sui quotidiani, quanto di torbido si muove nella pancia del paese (e che viene sfruttato a fini elettorali non solo dai movimenti xenofobi e populisti, ma anche da alcuni ministri del governo post-renziano). Con metà di un continente, l’Asia, in preda a guerre di ogni tipo, e con un altro, l’Africa, stremato da fame, povertà, conflitti armati, dittature e guerre per bande, pensare di fermare migranti e profughi è peggio di un’illusione: è un puro e semplice incentivo alle stragi nei deserti e in mare.
Quali che siano le spinte a lasciare i propri paesi – la fuga dalle bombe, la mera sopravvivenza, una vita decente, il miraggio del benessere, il ricongiungimento famigliare e così via – queste sono oggi più potenti della paura di morire prima di arrivare a destinazione. I migranti conoscono i rischi del viaggio, in un mondo in cui l’informazione è ubiqua. Ed è del tutto ovvio che, data la vastità della domanda, c’è chi organizza l’offerta: i passeur, gli scafisti, i signori della guerra e i governi che lucrano sulla disperazione.
Ma ridurre il problema agli intermediari è una prova di ottusità. Migranti e profughi continueranno ad arrivare finché le cause delle partenze resteranno. Pensare di diminuire i numeri degli arrivi con elargizioni, vere e proprie elemosine, alla Tunisia, ai signori della guerra libici e a uno stato come il Niger, crocevia delle migrazioni africane verso il Mediterraneo, è ridicolo.
Ci hanno provato Prodi, Amato, Pisanu e comprimari vari. Non ci riuscirà Minniti. Per un motivo molto semplice. Come è del tutto evidente, le controparti africane – stati disgregati o signori della guerra – hanno tutto l’interesse a non bloccare i passaggi, per continuare a incassare la mancia. Quello che faranno, e che hanno già fatto ai tempi di Gheddafi, è vessare i migranti che vengono da altri paesi, spogliarli e internarli in condizioni inimmaginabili. La missione africana di Minniti sarebbe una farsa, se non comportasse queste tragedie.
Migranti e profughi continueranno ad arrivare. E poiché, al di là dei proclami, mancano i fondi per i rimpatri, ecco l’idea geniale di Minniti: moltiplicare i Cie, cioè le prigioni extra-legali in cui migranti e profughi saranno parcheggiati per mesi, in attesa di essere congedati con un panino, una bottiglia d’acqua e, se va bene, un biglietto dell’autobus. Parcheggiati e poi fatti sparire perché non diano fastidio, con la loro presenza, ai cittadini che si mettono sul piede di guerra non appena avvistato uno straniero all’orizzonte (come a Goro). D’altra parte, se le condizioni del Cpa di Cona sono quelle che abbiamo visto, figuratevi i Cie, militarizzati e sottratti a ogni sguardo o controllo pubblico.
Migranti e profughi continueranno ad arrivare. Ma è del tutto evidente come le nostre autorità non abbiano in mente alcuna strategia di medio o lungo periodo per integrare legalmente i migranti e profughi nella società italiana, e cioè nei sistemi del lavoro, nell’abitazione, nell’educazione e così via.
Abbandonati a loro stessi, migranti e profughi vivranno nel limbo dell’inesistenza sociale. E l’ostilità dei paesani, per quanto nutrita di leggende e pregiudizi, non potrà che aumentare.
Migranti e profughi continueranno ad arrivare nei paesi europei di frontiera. Su questo punto non basta appellarsi all’Europa, con il cappello in mano, perché ne prenda un po’.
Bisognerebbe pensare a un piano di inclusione continentale e sanzionare le inadempienze dei governi fascistoidi di Ungheria o Polonia. Ma è del tutto evidente che né Juncker, né Merkel imboccheranno questa strada. Tanto meno se il loro interlocutore è un Alfano o, in un futuro non del tutto improbabile, un Di Maio.

Fonte: il manifesto 

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