La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

mercoledì 10 maggio 2017

Cos'è il Fiscal Compact e perchè ora lo vogliono nei Trattati europei

di Luca Lippi
La Ue vuole il fiscal compact nei trattati per mettersi al riparo dal pericolo di un suffragio universale. I padri fondatori della Ue contestavano la sovranità assoluta degli Stati per metter fine alle guerre e alla povertà che aveva distrutto l’Europa negli anni Trenta. Avevano in mente una Costituzione che permettesse l’alternarsi di scelte politiche diverse, senza pronunciarsi su di esse. Il Fiscal Compact è un controsenso, una politica rovinosa, che divide l’Europa ed emargina milioni di cittadini. Si vuole scriverla nel marmo dei Trattati per metterla al riparo dal suffragio universale, confermando che l’Unione così com’è (nulla ache vedere col principio ispiratore) è un mercato al servizio dei più forti, non ha nulla di federale, ed è profondamente ideologica, dunque indifferente al principio di realtà.
Il Fiscal Compact, che poi sarebbe il pareggio di bilancio, è stato un argomento ricorrente già nell’aprile del 2014 ( a ridosso delle elezioni europee) e ritorna prepotentemente agli onori delle cronache nelle ultime ore. All’epoca (Aprile 2014) l’atteggiamento dei critici dell’euro in generale era quello di uscire dal Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance dell’Unione Europea firmato da 25 paesi il 2 marzo 2012 (è sempre il Fiscal Compact) oggi l’atteggiamento è quello di riformulare la normativa all’interno dei Trattati allo scopo di riprendere le tesi del 2014. 
Ricordiamo che Il 17 aprile 2012, il Senato approva in seconda lettura il ddl costituzionale di riforma dell'art. 81, che introduce il pareggio di bilancio in Costituzione, superando col voto unanime di Pd, PdL e Terzo Polo, il quorum di 214 voti su 321 aventi diritto necessario ad evitare il referendum popolare confermativo. In tale ultimo passaggio parlamentare si registra l'astensione della Lega Nord e il voto contrario dell'Italia dei Valori.
Il nuovo articolo abroga il divieto di stabilire nuove spese o tributi tramite la legge di bilancio. Sono stati riformati gli articoli 97, 117 e 119 della Costituzione, dotando anche gli enti locali di autonomia di spesa e imposizione di nuovi tributi, nel rispetto del vincolo di pareggio di bilancio, col divieto di ricorso al debito per finanziare la gestione ordinaria. All’epoca il responsabile economico del Pd Fassina si oppose, così come Enrico Letta che lo definì “così com’è sarebbe terribile per l’Italia”. Silvio Berlusconi, all’epoca leader del PdL, che voto sì al Fiscal Compact, dichiarò due anni dopo “esprime in sé tutte le idee di una politica imposta all’Europa da una Germania egemone”.
Cos’è il Fiscal Compact? È un provvedimento che stabilisce norme e vincoli validi per tutti i paesi firmatari e intervenire in particolare sulla politica fiscale dei singoli paesi. Sia simbolicamente sia materialmente, comporta la cessione di una fetta della propria sovranità economica di ogni paese a un ente sovranazionale, l’Unione Europea. Il Fiscal Compact, in questo senso, non è mai stata una novità in assoluto. I suoi ‘predecessori illustri’ furono il Trattato di Maastricht, entrato in vigore l’1 novembre 1993, e il Patto di stabilità e crescita, sottoscritto nel 1997. Nel Trattato di Maastricht, fra le altre cose, erano contenuti i cinque criteri che ciascun paese avrebbe dovuto soddisfare per adottare l’euro, fra cui un rapporto fra deficit (cioè il disavanzo annuale di uno stato) e il prodotto interno lordo (PIL) non superiore al 3% e un rapporto fra debito complessivo e Pil non superiore al 60%. 
Nel Patto del 1997 l’Unione si dotò invece degli strumenti per inviare avvertimenti e applicare sanzioni agli Stati che non avessero rispettato i vincoli imposti nel 1993.
Il Fiscal Compact è stato firmato da tutti i 17 paesi che all’epoca facevano parte dell’eurozona (dall’1 gennaio 2014 si è aggiunta la Lettonia, che lo aveva già firmato), che cioè dispongono dell’euro come moneta corrente, cioè Austria, Belgio, Cipro, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Portogallo, Slovacchia, Slovenia, Spagna. È stato anche firmato da 7 altri membri dell’Unione Europea non appartenenti all’eurozona, cioè Bulgaria, Danimarca, Lituania, Ungheria, Polonia, Romania, Svezia. Non fu mai firmato da Gran Bretagna e Repubblica Ceca.
Perché è stato necessario il Fiscal Compact? I mesi precedenti alla firma del trattato erano stati tra i più complicati nella storia dell’euro e dell’Unione Europea: le economie di molti paesi, soprattutto quelli mediterranei, erano state messe in grande difficoltà dalla crisi. Costretti a indebitarsi per fare fronte alle loro spese nonostante le ridotte entrate fiscali, questi paesi non potevano fare altro che offrire interessi sempre più alti agli investitori per ottenere denaro in prestito. La crescita verticale degli interessi unita alla crisi di produttività e ricchezza aveva portato esperti e analisti persino a dubitare, in alcuni casi, che quei debiti potessero essere mai ripagati. Caso emblematico è stato quello della Grecia, poi la Spagna e il Portogallo che insieme a Cipro hanno avuto bisogno (sottomettendosi) a prestiti internazionali per tenersi in piedi, di fatto cadendo nella rete della cosiddetta Troika [Fondo monetario internazionale (FMI), Banca centrale europea (BCE) e Commissione europea (CE)]. L’iniziativa presa dai paesi dell’Unione Europea in quel periodo fu il Fiscal Compact, 
Cosa prevede il Fiscal Compact? Fra le molte cose contenute nel trattato, le più importanti sono quattro:
– l’inserimento del pareggio di bilancio (cioè un sostanziale equilibrio tra entrate e uscite) di ciascuno Stato in “disposizioni vincolanti e di natura permanente, preferibilmente costituzionale”
– il vincolo dello 0,5 di deficit “strutturale” – quindi non legato a emergenze – rispetto al Pil;
– l’obbligo di mantenere al massimo al 3% il rapporto tra deficit e PIL, già previsto da Maastricht;
– per i paesi con un rapporto tra debito e Pil superiore al 60% previsto da Maastricht, l’obbligo di ridurre il rapporto di almeno 1/20esimo all’anno, per raggiungere quel rapporto considerato “sano” del 60%. 
Gli effetti critici? Il vincolo del 3% è troppo basso per permettere allo Stato di indebitarsi per tagliare le tasse o finanziare investimenti e attività in favore della crescita. Ridiscutere il vincolo è il minimo che si possa fare. Tuttavia la norma più contestabile in assoluto è quella che prevede la riduzione del rapporto fra debito e Pil di 1/20esimo all’anno. Per fare un esempio numerico che chiarisce meglio la proporzione, l’Italia sarebbe costretta a fare ogni anno manovre di tagli da 40 o 50 miliardi di euro ogni volta. Se paragoniamo l’entità di questi tagli a una manovra finanziaria che in genere è compresa tra i 25 e i 30 mld, si capisce subito che il paese andrebbe in default nel giro di pochi mesi.
In realtà, il Fiscal Compact non “impone” nessun taglio della spesa pubblica né obbliga nessuno a fare tagli mostruosi, quello che le regole del fiscal compact impongono è di ridurre è il rapporto tra il debito pubblico e il Pil. Ripagando il debito si agisce sul numeratore diminuendolo (salvo che non si corra solo per pagare gli interessi!). la strada migliore sarebbe quella di aumentare il Pil e ridurre automaticamente il rapporto, ma per farlo bisogna investire e allo stato attuale, per esempio l’Italia dovrebbe finanziare la crescita a deficit e allora aumenterebbe il debito e uscirebbe drasticamente fuori dal parametro del 3%. Un cane che si morde la coda!

Fonte: IntelligoNews 

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