di Francesco Petrelli
Più che un rischio, è una "quasi certezza". Il Consiglio dei capi di stato e di governo europei del 7 marzo ha gettato le basi per portare l'Europa su una strada senza uscita sia per quanto riguarda la gestione dell'enorme problema dei profughi che nei confronti dei rapporti con la Turchia. L'Europa di un futuro che si fa presente è un insieme di muri, reticolati, e di ricatti spacciati per negoziati. A Est come a Sud. In un vortice di vertici, ora si rimanda a quello in programma il 17 prossimo per la realizzazione di scelte non solo difficilmente praticabili, ma soprattutto pericolose e sbagliate. Per centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini. Si ipotizza infatti una sorta di rilocazione obbligatoria dalla Grecia alla Turchia di tutti quelli che non avrebbero diritto di asilo secondo una logica che recita per ogni siriano riammesso e reinsediato dalla Grecia alla Turchia, un siriano sarà riammesso dalla Grecia verso gli stati membri. Un criterio selettivo, casuale e discriminatorio, pudicamente chiamato "one-in one-out".
Pare prefigurarsi quello che Amnesty International ha definito "un colpo mortale al diritto di asilo" e che lo stesso direttore per l'Europa dell'Alto Commissariato per i Rifugiati Vincent Cochetel considera come "un'espulsione collettiva di stranieri proibita dalle Convenzioni europee dei diritti umani". Il perché siamo arrivati a questo punto lo si può capire solo dalle drammatiche divisioni europee e dalla mancanza di una leadership forte e coerente segnata dall'assenza di una visione e anche di una strategia.
Il Consiglio europeo pare essere stato colto di sorpresa, nonostante non sia mancato il tempo per trattare, dal rilancio improvviso del premier turco Davutoglu con la richiesta di raddoppio dei tre miliardi già promessi, ma soprattutto dalle condizioni politiche considerate dirimenti quanto e persino di più del supporto economico. Ankara ha chiesto infatti, in cambio del suo impegno per i profughi, la riapertura immediata del processo di ammissione in Europa e la libera circolazione nell'area Schengen dei propri lavoratori. Questo potrebbe produrre una situazione paradossale: profughi e richiedenti asilo, soprattutto siriani, reinsediati in Turchia e migranti economici turchi che avranno possibilità di accedere in Europa.
Naturalmente tutto questo mentre erano palpabili le difficoltà dei capi di stato per queste concessioni ad un governo che, trasformandosi progressivamente in un regime, solo pochi giorni fa ha chiuso il principale giornale dell'opposizione, in violazione di ogni principio che l'Europa si è data. Solo una riga del comunicato finale ha ricordato che il tema è stato affrontato con il Primo ministro turco. Più che una condizione è sembrata una ammissione di impotenza.
La strada senza uscite è il risultato delle drammatiche divisioni in seno ai 28. Il ricatto turco ha funzionato grazie all'effetto domino delle sospensioni unilaterali di Schengen e dei muri che hanno progressivamente costruito un cordone sanitario attorno ad una Grecia stremata, che solo lo scorso anno ha speso un miliardo di euro per i rifugiati ricevendo solo 30 milioni da Bruxelles, insieme alla inflessibile conferma delle rigide regole economiche da rispettare.
Non sappiamo se l'idea di Europa rischi di morire a Idomeni di fronte alle tragiche immagini di donne e bambini lasciati nel fango. Oxfam chiede ai capi di governo europei un sussulto per correggere la rotta già dal prossimo vertice, trovando soluzioni ragionevoli e pragmatiche. Pur nelle difficoltà e drammaticità della situazione, testimoniate sul campo dalla generosa gente greca che, così come quella di Lampedusa, ci dice con la sua umanità quale sia l'Europa che vorremmo.
Fonte: Huffington post - blog dell'Autore
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