La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 10 marzo 2016

Una crisi di lunga durata che ha bisogno di interventi e strumenti straordinari

di Domenico Moro
Siamo di nuovo in deflazione, come ha certificato l'Istat recentemente. L'andamento dei prezzi è tornato negativo: a febbraio rispetto gennaio sia l'indice Nic (indice per l’intera comunità nazionale) sia i prezzi alla produzione calano del -0,3%. La deflazione è, come sempre, un chiaro indicatore dello stato, ormai cronico, di crisi in cui versa l'economia, al di là della variazione congiunturale del Pil del +0,1% o -0,1%. Ed è una conferma della situazione di “stagnazione secolare”, come l’ha definita l’ex ministro del Tesoro Usa Summers, in cui versano tutti i paesi a capitalismo avanzato. Siamo cioè dinanzi a una crisi dei meccanismi di fondo con cui funziona il modo di produzione del capitale. Ciò vuol dire che la crisi non è di carattere congiunturale, cioè legata a fattori momentanei che possono essere superati facilmente con mezzi ordinari. La crisi è di lunga durata e pertanto superabile solo con mezzi e decisioni straordinarie, che vadano oltre l’ordinario, la tendenza neoliberista che si è consolidata negli ultimi venti anni.
A proposito dell'euro, viene da pensare a chi ha strutturato l'architettura dell'euro in funzione della paura dell'inflazione, e a tutti quelli che hanno sempre paventato tassi di inflazione tra il 20 e il 20% in caso di uscita dall'euro. Tassi di inflazione poco probabili nel contesto di crisi strutturale. Oggi, come si vede, il vero problema dei lavoratori non è l'inflazione, bensì è la crescita e solo con un adeguato tasso di investimenti fissi si può stimolarla. Il problema è che a) in presenza del calo del saggio di profitto, i privati non hanno interesse a fare investimenti e solo il pubblico può farli e che b) l'architettura dell'euro, incarnata nei vincoli dei trattati europei, impedisce qualsiasi politica di investimento statale. Il superamento dell'integrazione valutaria diventa condizione necessaria, anche se non sufficiente, per una soluzione da sinistra alla crisi. Certamente il superamento dell’euro non sarà di facile attuazione e dovrà essere accompagnato da una serie di misure di controllo dei capitali e soprattutto di rilancio della presenza diretta pubblica nell'economia: nazionalizzazioni (come si dovrebbe fare nel caso dell’Ilva), polo bancario pubblico (magari a partire dalla nazionalizzazione di MPS), ruolo di acquisto diretto dei titoli di stato da parte della banca centrale, reinternalizzazione di servizi pubblici privatizzati.
Ma senza la disgregazione dell’euro è molto difficile che si possano realizzare sia una ripresa delle lotte in Europa sia una risposta alla crisi che non passi per le delocalizzazioni e la riduzione di salari e del welfare state e che soprattutto riassorba la disoccupazione specie giovanile. 

Fonte: controlacrisi.org

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