di Marco Boccitto
Ha il sapore beffardo della provocazione il ricorso alla «privacy» per giustificare la mancata cooperazione giudiziaria con le autorità italiane e la mancata consegna dei tabulati telefonici ai giudici di Roma. La visione di quei tabulati probabilmente potrebbe aiutare gli inquirenti a chiarire cosa è realmente accaduto in quei giorni e in quelle ore drammatiche.
Human Rights Watch nel suo rapporto sull’Egitto afferma che il Presidente Abdel Fattah al-Sisi ha condotto il suo paese in una crisi del sistema dei diritti umani. In Egitto è oggi proibito protestare.
Decine di migliaia di persone sono state arrestate e imprigionate senza giusto processo. I poteri delle forze di sicurezza sono stati espansi oltre ogni limite tollerabile nel nome della lotta al terrorismo. Gli ufficiali della Sicurezza Nazionale, sempre secondo Human Rights Watch, si sono resi responsabili di torture e sparizioni forzate. Ugualmente molteplici sono stati gli arresti di giornalisti indipendenti. In questo quadro è stato torturato fino alla morte Giulio Regeni. In questo quadro evocare la privacy significa farsi beffa degli interlocutori.
L’Egitto si è messo al riparo dalla giustizia internazionale. Non ha mai ratificato lo statuto della Corte Penale Internazionale dunque non può essere giudicato per crimini contro l’umanità. Non ha neanche ratificato il Protocollo Opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la Tortura dunque non è suscettibile di visite ispettive dal Sotto-Comitato Onu. Si è limitato a ratificare trent’anni fa il Trattato delle Nazioni Unite contro la tortura che però si limita a costringere gli Stati a presentare rapporti periodici. Il livello di cogenza del Trattato del 1984 è basso e siamo nell’ambito della diplomazia o poco più.
In questa fase dunque bene ha fatto la Procura di Roma ad avviare una pratica di rogatoria, pur nella consapevolezza che la strada è molto più che accidentata. L’Egitto sta finanche tentando di renderla impraticabile. Nel residuo dialogo che è ancora in piedi con l’Egitto è assolutamente necessario che si apra un dibattito nella sede appropriata ovvero le Nazioni Unite. Il caso Egitto deve essere portato nell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. È altresì fondamentale premere affinché l’Egitto si faccia giudicare e visitare da esperti indipendenti. Dunque il Paese dei faraoni non sarà credibile fino a quando non si adegui al diritto internazionale dei diritti umani e provveda alla ratifica dei Trattati istitutivi della Corte Penale Internazionale e del Sotto-Comitato Onu contro la tortura. Ciò è funzionale a far entrare in quello Stato giudici internazionali e ispettori anti-tortura. Se al-Sisi non ha niente da nascondere lo dimostri. Certo ben più limpida sarebbe la posizione italiana e ben più forte la sua pressione diplomatica se il Governo con decisione spingesse il Parlamento a introdurre il delitto di tortura nel codice penale, pendente da quasi trent’anni alle Camere. In questo momento l’Italia è più attaccabile e meno forte dal punto di vista giuridico-internazionale rispetto a quello che potrebbe essere se fosse con le carte e le norme in regola.
Per quanto ci riguarda, Antigone e la Coalizione Italiana per i diritti e le libertà civili continueranno nella campagna per la verità per Giulio Regeni. Siamo abituati a non mollare. Insieme ad Amnesty International abbiamo chiesto al mondo dello sport di impegnarsi affinchè la storia di Giulio divenga una storia di tutti e per tutti. La serie B di calcio ha dato la sua disponibilità a manifestare per Giulio in occasione della giornata sportiva del 23 e 24 aprile. La Lega pallavolo Femminile lo ha già fatto. Aspettiamo un sì dalla serie A di calcio. Diamo un calcio alla tortura e all’impunità.
Fonte: il manifesto
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