di Francesco Bogliacino
Il 30 Marzo il Governo Colombiano presieduto da Juan Manuel Santos e la guerriglia guevarista del ELN annunciano congiuntamente che il dialogo in vista di un accordo di pace passerà finalmente alla fase pubblica. La Mesa sarà formalmente separata da quella dell’Avana dove il governo sta dialogando con le FARC-EP. Il Paese prescelto è l’Ecuador, anche se si preannuncia che altri paesi saranno coinvolti e saranno eventualmente sede della negoziazione. Tra questi, si indica Cuba. Venezuela, Cile e Brasile.
Tuttavia, la struttura del negoziato mostra un certo parallelismo: si tratta di sei punti anche in questo caso, la formula è parallela, nel senso che è necessario accordarsi su tutti i punti, e si discute senza sospensione delle ostilità. In dettaglio i temi sono: participazione della società, democrazia per la pace, trasformazioni per la pace, vittime, fine del conflitto armato e posta in essere dell’accordo.
La differenza fondamentale è rappresentata dal primo punto, molto in linea con la filosofia dell’ELN e nello stesso tempo che solleva qualche perplessità in termini di realizzabilità di un esercizio di consulta che permetta avanzare con la definizione di un accordo.
Il Governo ha precisato che la rinegoziazione del modello economico non sarà oggetto di discussione, e che l’accordo sul modello transitorio della Giustizia non sarà diverso da quello dell’Avana. Da parte dell’ELN non sono state specificate linee rosse da non travalicare.
Le due delegazioni del Governo e della guerriglia saranno dirette rispettivamente da Frank Pearl, con una traiettoria nel tema delle negoziazioni iniziata sotto i governi di Uribe, e Eliecer Chamorro Acosta, alias “Antonio García”. Nella delegazione elena sarà presente anche una donna (María Elena Velásquez), superando così le critiche sollevate per il caso delle FARC.
Nel frattempo, le notizie dall’Avana non sono rassicuranti. La scadenza del 23 Marzo non è stata raggiunta e ci sono elementi concreti che fanno pensare a uno stallo. L’appoggio popolare è basso, anche per l’approvazione minima della gestione del presidente Santos, e ci sono dubbi sulla eventuale vittoria nel plebiscito, la scappatopia governativa per avere l’approvazione popolare (nella forma di un si o un no al testo completo dell’accordo con un quorum minimo) e evitare una costituente. Il Fiscal General (responsabile delle procure e uomo del Presidente), come mossa di fine mandato, ha chiesto di dichiarare incostituzionale il plebiscito già che gli accordi avrebbero la valenza di trattati internazionali con valore costituzionale.
Formalmente, tuttavia, lo scoglio è la fine del conflitto. Il governo vuole creare delle zone di concentrazione, lontane dalla popolazione civile, sotto la supervisione internazionale, dove i guerriglieri consegnino tutte le armi. La guerriglia considera che il confino non permetterà creare le condizioni per una transizione politica, e teme per la sua incolumità per colpa del paramilitarismo.
Quest’ultimo fenomeno è ormai al livello di guardia. Il governo è vittima delle propie menzogne: dal processo farsa di demobilitazione paramilitare sotto il governo Uribe, la destra (moderata e estrema) ne ha sempre negato l’esistenza, sostenendo che si tratterebbe di Bande Criminali (Bacrim). Oggi si scuda dietro i dati di riduzione della violenza nel Paese: dati che in aggregato riflettono la distensione militare tra guerriglia e esercito, ma che racchiudono la preoccupante crescita delle vittime degli attivisti dei diritti umani o di líder di sinistra, circa una trentina dall’inizio dell’anno secondo il partito della Unión Patriótica.
Quest’ultima formazione è la memoria vivente di ciò che passò negli Anni Ottanta quando le FARC tentarono la prima transizione: le vittime furono 3000 tra i membri del partito, un massacro inaudito che la sinistra teme possa ripetersi e che voci rappresentative del mondo intellettuale, come il sociologo Alfredo Molano, cercano di evitare con le continue denunce in corso da mesi.
La capacità di mobilitazione paramilitare è stata mostrata il Primo di Aprile, quando leAutodefensas Gaitanistas, gruppo narco di estrema destra che il governo si ostina a chiamare Clan Úsuga, per minimizzarne la natura politica e dipingerla como gruppo familiare, ha convocato uno sciopero generale nelle zone su cui hanno il controllo. Il successo della mobilitazione, garantita dalle minacce e da quattro morti accertate, getta una luce inquietante su ciò che verrà. Basti pensare che il paro ha coinvolto 36 comuni, tra cui Necoclí, una località turistica nei Caraibi e graffiti e volantini sono arrivati fino in città come Medellin.
Ancora più inquietante, è il fatto che lo sciopero illegale abbia preceduto di un giorno la marcia uribista contro gli accordi di pace: oramai la destra gioca a volto scoperto e i suoi uomini nelle istituzioni (come il Procuratore Generale) chiedono apertamente la revisione di leggi simbolo, como la restituzione delle terre ai desplazados. È una cronaca di morti annunciate.
Fonte: Popoff Quotidiano
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