di Alberto Castagnola
Durante una recente trasmissione di una radio libera è emersa l’idea che i Comitati contro le Trivelle e per il SI al Referendum, qualunque siano i risultati delle votazioni del 17 aprile, non si devono sciogliere per continuare a lavorare su un tema così significativo nella attuale crisi climatica.
Confesso che ho continuato a riflettere su una ipotesi così estranea alle esperienze politiche italiane e ho ritenuto opportuno condividere le mie risposte alle tre domande cruciali che si pongono immediatamente, nella speranza che altri vogliano correggere e integrare.
Quali sono i motivi che spingono verso la continuazione del lavoro frenetico in corso in questi giorni?
La Consulta potrebbe decidere in favore della realizzazione a breve termine diun secondo referendum connesso a quello attuale (leggi anche Ci riprendiamo la parola);
Dopo la valutazione, a scala sia nazionale che regionale, dei risultati del referendum, si dovrebbe chiarire fino in fondo la complessa situazione dell’intero settore delle ricerche e delle trivellazioni marine (trivelle inattive, livello inquinamento, abbandono dei permessi già ottenuti, occupazione diretta e indiretta effettiva, esportazione del petrolio e del gas nazionale, ecc.);
Verifica della sorveglianza e dei controlli già previsti a scala territoriale;
Pochi giorni dopo (a partire dal 22 aprile) dovrebbe iniziare a New York la presentazione delle ratifiche degli Accordi di Parigi, che devono raggiungere un certo livello per entrare in vigore; in particolare deve essere esercitata una decisa pressione affinché il governo italiano sia tra i primi ad assumere effettive responsabilità in materia di clima;
I Comitati rappresentano una forma originale e significativa di collaborazione tra enti locali, organizzazioni ambientaliste e il variegato mondo della società civile;
Non casualmente sta riemergendo la drammatica situazione della Basilicata; con più tempo a disposizione e ampliando il campo di azione alle tematiche più urgenti del clima e dell’ambiente, anche le altre Regioni potrebbero vedere positivamente l’attività di organismi misti nei rispettivi territori e apprezzare la collaborazione tra Regioni per affrontare finalmente sull’intero territorio nazionale e nel rispetto degli impegni internazionali l’emergenza clima;
Quali sono le principali difficoltà che si potrebbero opporre?
Con ogni probabilità, alcuni dei membri dei Comitati potrebbero aver aderito anche perché si trattava di un impegno intenso ma limitato nel tempo e dovrebbero quindi rivedere i loro processi decisionali;
Le attività dei “nuovi” Comitati dovrebbero prevedere attività di ricerca e di studio più rilevanti e protratte nel tempo (anche se esistono già dei patrimoni di conoscenze finora scarsamente utilizzati a livello politico e operativo, ad esempio negli oltre duecento Comuni “virtuosi”);
Dovrebbero essere studiate apposite modalità di raccordo tra le elaborazioni dei Comitati e le strutture amministrative dei territori;
Alle persone che in vista del referendum hanno dimostrato una decisa propensione all’assunzione di responsabilità nei rispettivi territori, dovrebbero essere offerte stimolanti offerte di formazione per adeguare le loro attività alle maggiori esigenze di territori più ampi.
Infine, qualche considerazione di puro buon senso. Ovviamente, a nessun Comitato si può chiedere di assumere decisioni o impegni negli ultimi giorni disponibili prima del Referendum. Sarebbe però opportuno che qualunque posizione non sia rimandata ai giorni convulsi della valutazione politica dei risultati delle votazioni, durante i quali si rischia di perdere il “valore segreto” dell’insieme dell’esperienza. Quindi, semplicemente, non dimentichiamoci di una opportunità preziosa che sarebbe drammatico perdere senza approfondirla.
Fonte: comune-info.net
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