di Anna Lombroso
L’instancabile produttore di emoticon a Palazzo Chigi ha esibito ieri la faccetta dell’improntitudine: Regeni non sarà un nuovo caso marò, ha tuonato, salutato con rispettosa ammirazione bipartisan da una stampa ridotta a stanco ripetitore dei suoi tweet e che oggi parlano di sussulto di dignità del Paese, di riscatto ritrovato tramite inedita fermezza.
Nemmeno mi soffermo sulla vicenda del ragazzo mandato allo sbaraglio ed espostosi senza nessuna prudenza sullo scenario delle trame e degli intrighi cruenti dell’intelligence imperiale: le differenze ci sono, a cominciare dalla volontà esplicita del premier di approfittare, per la sua popolarità personale, di un episodio nel quale l’Italia è “dalla parte della ragione”, in merito al quale nessuno può contestare la natura di “vittima” di un concittadino torturato e massacrato da una “polizia” dai metodi sbrigativi, considerazione che sarebbe opportuno applicare anche al caso Cucchi e Aldrovandi, e intorno al quale si muovono soggetti opachi, interessi di bottega, evidenti o reconditi.
È invece interessante per l’interpretazione della fenomenologia dello spericolato sbruffone soffermarsi sulle responsabilità del governo sul caso dei marò, in parte ereditate, se i due militari – appartenenti a un corpo che oggi torna al disonore delle cronache per palesi interferenze e conflitti di interesse nella gestione affaristica dello sfruttamento del petrolio in Basilicata – sono stati mandati, come, si suppone, molti altri, a eseguire incarichi di guardiania in missioni private, senza che su questa missione che li vedeva nella veste di mercenari e contractor da film con Rambo si fosse espresso il Parlamento. Ma anche in seguito frutto dell’approccio pasticcione di questa compagine di dilettanti, incline a cercare soluzioni sottobanco, affidate a feluche dai tripli e altisonanti cognomi, a presentare giustificazioni mediche come a scuola per evitare il compito in classe, a cercare protezioni dall’alto, reclamando l’aiuto dell’imperatore, la solidarietà dell’Onu, la protezione della provvidenza, mestando e rimestando in acque territoriali e non, in stati di diritto di serie A e di serie B.
Perché vale per ambedue i casi in esame e messi inopportunamente a confronto dal premier, quel retropensiero che si agita dietro alle sue parole avventate: la consapevolezza che noi siamo noi, gli affiliati a una civiltà superiore, per tradizione, storia, diritto, giurisprudenza, codici, valori e principi, e gli altri so’ altri, selvaggi, primitivi, barbari, inidonei a sederci di fronte in un tribunale, a sottoporsi al giudizio degli uomini e di Dio, salvo promuoverli a condizioni di parità se il tiranno vigente è partner d’affari, se alle nostre imprese è accordato un trattamento speciale magari a suon di mazzette. Perché allora di necessità si fa virtù, quella della pazienza, del riserbo, della rinuncia a dignità e sovranità di popolo. E allora si sospendono propositi bellici, si cerca la trattativa, si rimette in campo la diplomazia, che tanto le armi quando non parlano con il tuonare dei cannoni, si esprimono col frusciare dei dollari.
Fonte: Il Simplicissimus
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