di Alessandro Gilioli
Erano esattamente sei anni fa quando Debora Serracchiani si schierava in modo molto deciso contro la stretta sulle intercettazioni voluta al tempo da Berlusconi: «Un bavaglio per tacitare gli organi di informazione», diceva. Pochi mesi dopo spiegava che eventuali restrizioni alle intercettazioni avrebbero «sacrificato la libertà di informazione dei cittadini», corredando il suo intervento con il volto di un uomo con il cerotto sulla bocca.
Quindi specificava che «il centrodestra sembra avere un’autentica ossessione contro le intercettazioni e c’è qualcosa di veramente inquietante nella pertinacia con cui si impegnano ad assestare colpi a una libertà fondamentale dello Stato di diritto».
Poi aggiungeva che «si grida alla privacy violata per impedire la cronaca di fatti di evidente rilevanza sociale mentre bisogna tenere molto alta tra i cittadini la volontà di difendere il proprio diritto di sapere, così come tra la magistratura resta alta la volontà di difendere gli strumenti di indagine».
E nell'ottobre del 2011 concludeva che «sulle intercettazioni non possiamo andare contro la corte di giustizia europea che pone il diritto di cronaca prima di tutto anche prima del diritto alla privacy dei politici. A nessuno il dottore ha ordinato fare politica e chi la fa la deve fare anche per dare l'esempio. Il politico rappresenta le istituzioni e quindi non esistono suoi comportamenti privati che non incidano sulla credibilità pubblica».
Brava, la Serracchiani del 2010-2011. Chissà se è la stessa Serracchiani oggi vice del leader che vuole una stretta sulle intercettazioni e ha già ottenuto allo scopo una delega al governo, nel ddl sul processo penale.
Non è l'unica, ad aver performato questa giravolta, tuttavia.
Buona parte del mondo Pd si imbavagliava in piazza quando le intercettazioni erano quelle di Berlusconi, anziché quelle di Guidi.
Chessò: prendete l'attuale sottosegretario Ivan Scalfarotto, che definiva «una schifezza» la stretta, quando era firmata dal centrodestra.
Oppure il ministro Paolo Gentiloni: quando era all'opposizione, esprimeva «il pieno sostegno alla giornata mobilitazione decisa dai giornalisti italiani contro il bavaglio alle intercettazioni». Oggi invece sostiene altro: precisamente, il suo premier che vuole imporre il silenzio.
Ancora maggiore prosopopea, come suo costume, quella con cui siesprimeva l'attuale ministro Franceschini: «Io penso sia una vergogna che di fronte a tutti i problemi che hanno gli italiani che la priorità sia il provvedimento sulle intercettazioni. Faremo un'opposizione durissima e intransigente. Si stratta di difendere gli italiani che hanno il diritto a non vedere approvate norma che impediranno il contrasto efficace alla criminalità». E poi ancora: «Limitare l'uso delle intercettazioni o addirittura proibirle significa fare il più grosso regalo possibile alla criminalità».
Tanta durezza e intransigenza devono essersi un po' attenuate, con il tempo. Ma non solo nei succitati.
«Non si può, per tutelare la privacy, mettere il bavaglio alla stampa», tuonavaBeppe Fioroni.
«La legge sulle intercettazioni è un regalo a Gomorra», s'indignava Ermete Realacci.
«Una licenza di delinquere», concordava Donatella Ferranti.
«Un altro modo per evitare che vengano perseguiti per atti molto gravi i soliti noti», rincarava Anna Finocchiaro.
«Un duro colpo alla democrazia e alla libertà d'informazione espressione della volontà di imbavagliare per sempre i giornalisti e di togliere ai cittadini il diritto ad essere informati», insisteva David Sassoli.
Non so. Non so con quale faccia vadano in giro, oggi, questi. E forse sono affari loro.
Noi abbiamo solo la possibilità e il dovere di ricordare chi erano. Scrivendo come sono cambiati. O forse come ci hanno ingannato.
La possibilità e il dovere di ricordarglielo.
E soprattutto di ricordarcelo.
Fonte: L'Espresso online - blog Piovono Rane
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