di Robert Fisk
La più notevole vignetta giornalistica sulla questione dell’asilo è apparsa questa settimana sulla prima pagina dell’Irish Times, poiché il disegno di Martyn Turner ha colto due scandali in un colpo solo.
A sinistra c’era un ricco uomo d’affari che scendeva su un’isola contornata da palme con la didascalia “Da sempre i RICCHI portano i loro soldi all’estero per eludere le tasse…”. Sulla destra del fumetto profughi su una fragile imbarcazione di gomma navigano attraverso mari agitati sotto le parole “Da poco i POVERI stanno portando i loro beni all’estero … Indovinate a bloccare quale fenomeno abbiamo lavorato giorno e notte.”
Beh, naturalmente sono i poveri a essere colpiti, per gentile concessione di 3 miliardi di euro annui ai turchi e di un visto facile per chiunque, da Izmir a Iskanderia, voglia dare un’occhiata alla UE per raggiungere la quale i profughi hanno rischiato la vita.
Non si tratta solo di questo, né del modo da primi della classe con cui la UE ha riempito la sua prima nave di rimpatriati con pakistani che non hanno titolo sufficiente alla nostra pietà e dunque non possono essere visti nei nostri schermi televisivi come profughi che fuggono per salvarsi la vita. Sono saliti tutti docilmente a bordo, sorvegliati dalle schiere azzurre di Frontex, quell’istituzione di controllo confinario meno responsabile tra tutte quelle che la UE ha sinora inventato. Sono sicuro che sono tutti ragazzi e ragazze gentili, ma perché diavolo indossano quelle assurde mascherine sul volto quando hanno di fronte profughi?
Giornalisti, ONG, abitanti dei villaggi locali apparentemente non avvertono alcuna necessità di proteggere la propria salute dalle masse accalcate del Medio Oriente. Ma i centurioni di Frontex sembrano essere in uno stato permanente di salute delicata. In effetti, come nel caso dei soldati e dei poliziotti di Bruxelles, sembra oggi ‘di rigore’ per qualsiasi uomo della sicurezza europea che si rispetti coprirsi il volto con sciarpe o cappucci. Stiamo raccontando al mondo che i profughi sono portatori di peste? O l’esercito e la polizia belga e Frontex hanno scelto questo accessorio di moda prendendolo dallo stesso ISIS?
Quanto agli “scambi” di profughi “uno per uno”, come ci ha stato ora insegnato a chiamare questo intero pastrocchio, che cosa è successo alle nostre ben fondate preoccupazioni riguardo allo stato – la Turchia – nel quale stiamo spedendo gli immigrati non appena mettono piede a riva in territorio greco?
Certo, i turchi hanno promesso di essere correttissimi e gradevolissimi e dolcissimi con tutti quelli che rimandiamo loro indietro. Ma non c’è un problema con la Turchia? Non è il posto in cui i poliziotti assaltano giornali e mettono in gattabuia i giornalisti e dove l’esercito è andato massacrando per decenni un gran numero di curdi e dove il presidente si sta trasformando in un sultano in miniatura? E dove, tuttora – non dimentichiamolo – il governo non riconosce il genocidio turco del 1915 di un milione e mezzo di armeni cristiani.
Immagino che i profughi armeni del giorno d’oggi provenienti dalla Siria chiederanno un rapido trasferimento in Grecia e i curdi siriani in Grecia chiederanno un viaggio di ritorno molto lento in Turchia. Sono rimasto molto colpito dalle parole del professore francese di filosofia Frederic Worms, il mese scorso, che ha indicato che i turchi garantiranno in qualche modo che l’Europa abbia “convalidato” l’identità dei profughi in viaggio (“legalmente”, se quello è il termine giusto) nell’altra direzione.
In altre parole stiamo già separando quelli che vogliamo da quelli che non vogliamo.
Le ironie e le ingiustizie – e, ahimè, la violenza – devono ancora arrivare. Tuttavia almeno ci sono alcuni pronti a segnalare le iniquità della crisi attuale, e ad assumersi i rischi del fare ciò.
Tra questi ultimi ci sono il giornalista tedesco Wolfgang Bauer e il fotografo ceco Stanislav Krupar il cui agile nuovo libro Crossing the Seas: With Syrians on the Exodus to Europe [Attraverso i mari: con i siriani nell’esodo in Europa] è un’esposizione cupa ma rivelatrice del “traffico” di rifugiati. Entrambi sono partiti dall’Egitto, picchiati da giovani trafficanti lungo il percorso alla spiaggia, solo per essere catturati quanto emerge che la pattuglia navale notturna egiziana non è stata pagata dai contrabbandieri. Quando gli stessi siriani – senza i loro amici giornalisti – tentano lo stesso viaggio successivamente la stessa imbarcazione di pattuglia li lascia passare.
Ma ciò che conta in questo libro non sono i dettagli. E’ la rabbia.
L’Europa non ha fatto nulla per fermare la carneficina in Siria, dice Bauer, e “la maggior parte dei governi europei … ha affermato che una zona d’interdizione al volo e un intervento militare non farebbero che peggiorare la situazione … centinaia di migliaia di persone sono arrivate da noi via mare e attraverso i Balcani. E ora i ministri degli interni della UE vogliono chiudere i confini. Nessuno di loro si è dimesso, nonostante le migliaia di affogati nel Mediterraneo dopo i loro errori…”
Tutti quelli le cui strategie hanno condotto al più grande disastro dopo la seconda guerra mondiale “lavorano tuttora a strategie per il Medio Oriente”.
Non accolgo la richiesta di Bauer di azioni militari; facendo arrivare armi ai cattivi in Siria abbiamo già condotto abbastanza “interventi”. Ma la sua conclusione induce davvero all’umiltà.
Egli parla degli orrori degli attentati dell’anno scorso a Parigi che, dice, “sono subiti dai siriani ogni maledetto giorno. Ma non siamo mai stati particolarmente interessati alla sofferenza dei siriani. Siamo interessati solo alla sofferenza nostra”. Nessuna meraviglia che indossiamo maschere facciali.
Da ZNetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: The Independent
Traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2016 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0
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