La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

lunedì 11 aprile 2016

Lotta di classe e caos politico in Islanda

di Alessandro Zabban
La prima testa a cadere a seguito dello scandalo sollevato dalla pubblicazione dell'inchiesta relativa ai "Panama Papers" è quella del Premier Islandese Sigmundur Davíð Gunnlaugsson. Esponente di spicco del centrista e liberale Partito Progressista, il giovane Gunnlaugsson (classe '75) ha vinto le elezioni politiche del 2013 in coalizione con la destra del Partito dell'Indipendenza, regalando al fronte dei conservatori una vittoria elettorale schiacciante.
La clamorosa affermazione, che ha fortemente ridimensionato ruolo e aspettative della sinistra islandese, non ha però mai permesso all'esecutivo di dormire sonni tranquilli. Già nella primavera del 2014, migliaia di islandesi, riuniti sotto la politicamente trasversale bandiera dell'europeismo, erano scesi ripetutamente in piazza per protestare contro l'intenzione del governo di chiudere i negoziati per l'entrata dell'Islanda nell'Unione Europea.
Oggi, a circa due anni da quegli avvenimenti, che la maggioranza aveva superato con un certo affanno, un'altra ondata di proteste ha dato il colpo di grazia all'esecutivo guidato da Gunnlaugsson. Nei giorni scorsi, sono stati infatti tantissimi i cittadini che si sono spinti fin sotto l'Althingi, il parlamento islandese, per reclamare a gran voce le dimissioni del premier.
Sbalorditive le immagini giunte negli ultimi giorni da Reykjavik che mostrano una piazza del Parlamento interamente e ripetutamente occupata da manifestanti che hanno fatto sentire la loro presenza intonando slogan, accendendo bengala, sventolando bandiere e lanciando uova contro la polizia. La più intensa è stata probabilmente la giornata del 4 Aprile, con una partecipazione popolare senza precedenti per la storia islandese (gli organizzatori parlano di 22,000 - 23,000 partecipanti, un numero persino maggiore rispetto a quello delle proteste durante la crisi del debito del 2008,leggi qui). Se i numeri fossero confermati sarebbe una delle manifestazioni politiche più partecipate di sempre al mondo in percentuale sulla popolazione (circa l'8% di tutta la popolazione islandese e circa il 10% degli aventi diritto al voto).
Non stupisce che la fortissima pressione dell'opinione pubblica abbia costretto il Premier a rassegnare le dimissioni, dopo un primo timido tentativo di resistere. Travolto da uno scandalo di proporzioni globali, il nome di Gunnlaugsson pare essere collegato a quello di una società offshore, nella quale avrebbe avuto interessi non dichiarati. Difficile per ora stabile se le attività condotte da lui e sua moglie siano legali o meno, ma sicuramente per la maggior parte dei cittadini islandesi questo è un problema relativo: mettere i soldi in paradisi fiscali per non pagare le tasse in Islanda è comunque considerato dall'opinione pubblica come riprovevole. Non stupisce che in risposta un sondaggio somministrato subito dopo l'emergere dello scandalo, oltre l'ottanta per cento del campione abbia affermato senza esitazione che il Premier si sarebbe dovuto dimettere (leggi qui). E così è stato.
Intanto in questi ultimissimi giorni si stanno intensificando le manovre di palazzo: la coazione di centrodestra prova a mantenere la maggioranza e a salvare il governo da un crollo che potrebbe riguardare non solo il premier ma tutto l'esecutivo. Attualmente però, le possibilità delle opposizioni, per lo più di sinistra, di sfiduciare l'esecutivo immediatamente e andare a nuove elezioni il prima possibile sembrano essere molto limitate, data la netta superiorità in termini di seggi delle destre. 
Il Partito Progressista e quello dell'Indipendenza hanno parlato espressamente di un progetto per andare a elezioni anticipate in autunno, ma intanto si sono già accordati sul nome del nuovo primo ministro: sarà Sigurður Ingi Jóhannsson, ex Ministro dell'Agricoltura e della Pesca. Il centrodestra è perfettamente consapevole del resto che se si andasse subito al voto, il suo consenso elettorale sarebbe drasticamente ridimensionato.
Anche perché appare sempre più improbabile che la maggioranza riesca a ritrovare credibilità e vigore politico per superare indenne questa fase di crisi. Del resto, sta trapelando come molti parlamentari dello stesso partito Progressista non siano affatto contenti delle ultime scelte fatte all'interno della loro stessa coalizione. Prevale in particolare un grande scetticismo sulla credibilità del nuovo premier Sigurður, che nei giorni scorsi aveva esternato pareri estremamente apologetici rispetto alle accuse mosse a Gunnlaugsson, dichiarando che "è complicato avere soldi in Islanda" e che "non è così grave tenere i propri soldi in paesi a bassa tassazione" (leggi qui). Difficile per molti pensare che possa essere lui a restituire credibilità e prestigio a una legislatura ormai drasticamente disapprovata.
Ma i problemi della maggioranza non si esauriscono all'interno del palazzo. L'elettorato islandese sta dando delle chiare indicazioni di insofferenza. La paura dell'establishment (non solo di destra) è la straordinaria popolarità che sta ricevendo il giovanissimo Partito Pirata, fondato nel 2012 e che ha come pilastri i principi della democrazia diretta, della trasparenza e della libertà di espressione. Questo strano animale politico è dato dai sondaggisti islandesi in continua crescita ed è già da diversi mesi il primo partito nelle intenzioni di voto. Con lo scandalo dei Panama Papers e il crollo di popolarità dei partiti tradizionali, si è registrato un'ulteriore incremento di consensi per questa formazione politica che si attesta ormai attorno al 43% (leggi qui, secondo un altro sondaggio, fatto dalla società Gallup (www.gallup.is), il partito Pirata si attesterebbe invece al 35,9%, risultando in ogni caso il primo partito del paese).
Lieve invece la crescita della sinistra: i social democratici si attesterebbero secondo le ultime stime attorno al 10%, sopra l'11% invece i Verdi, la sinistra ecologista e di classe che si conferma in buona salute ma che non riesce a sfondare. I Progressisti dell'ex Premier sarebbero invece in grandissima difficoltà (sotto l'8%). 
Le prossime settimane saranno fondamentali per capire se l'Islanda sarà un fenomeno isolato o se le proteste si espanderanno a macchia d'olio a tutti quei paesi le cui elite politiche sono coinvolte nello scandalo dei Panama Papers. Si tratta di un periodo anche molto importante per il futuro dell'Islanda che potrebbe portare a un cambiamento politico di ragguardevoli proporzioni. Nonostante i contorni mitologici con cui a volte viene dipinto il popolo islandese dalla stampa, questo non è necessariamente più politicamente informato, consapevole, partecipativo di tanti altri. Sicuramente però è molto sensibile rispetto a certe tematiche, come in particolare quella delle corruzione e della legalità. Quanto basta per sbarazzarsi di un premier finito nel mirino per uno scandalo internazionale di grandi proporzioni.

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