di Marco Sferini
L'impressione è che il Partito democratico non sia, nella sua espressione governativa, solamente sotto l’ “attacco” della magistratura per i presunti illeciti penali che coinvolgerebbero parti dell’esecutivo direttamente riconducili a Renzi e altre di natura “alleata”.
L’impressione è che anche politicamente il PD stia subendo un lento e inesorabile sfaldamento che si nutre di critiche che vengono mosse su svariati temi di politica nazionale, essenzialmente.
Roberto Speranza, che non è di certo uno degli esponenti riconducibili alla minoranza di Cuperlo o ad ex aree ormai fuoriuscite, ha dichiarato che la base del suo partito la pensa come lui in riferimento al referendum sulle trivelle e che lui, conscio della necessità del voto, andrà alle urne e voterà SI’.
Il fronte oleoso dell’antirenzismo inizia a dilagare, quanto meno ad allargarsi e le insofferenze per la gestione padronale del partito aumentano. Le speranze di ricreare, almeno da parte bersaniana, un nuovo centrosinistra, così come D’Attorre auspicherebbe volendovi traghettare il futuro partito di Sinistra Italiana, sono sempre più labili e si fa avanti, invece, la concretizzazione di un rapporto sempre più consolidato con le aree moderate di destra che sostengono la maggioranza.
Matteo Renzi è ora impegnato nella campagna di contrasto del clima di opposizione che cresce di pari passo con inchieste giudiziarie e critiche interne del tutto politiche, ma laddove si ritrova a parlare, come per esempio a Napoli, su questioni che riguardano l’occupazione, monta la protesta di piazza che i mass media vogliono trasformare nella contestazione dei soliti, “pericolosi anarchici e autonomi”, ma in realtà dietro e dentro la protesta ci sono migliaia e migliaia di disoccupati, lavoratori in cassa integrazione, precari di ogni settore.
Un’Italia che Renzi non vuole volutamente vedere e che tenta di nascondere all’opinione pubblica sciorinando le cifre di un Jobs act che ha prodotto il contrario di quanto avrebbe dovuto nelle supposte intenzioni dei creatori.
Tutta la politica economica del governo dell’ex sindaco di Firenze si è impostata sull’espansione dei profitti e la contrazione dello stato sociale e delle tutele più elementari che erano un sostegno anche alla domanda interna. Così facendo, il respiro per i padroni diventa nel momento più lungo ma, come asserisce l’Istat, non si esce dalla crisi economica in questo modo: infatti i salari italiani risultano essere quelli più bassi d’Europa, le pensioni annaspano e la sopravvivenza diventa una condizione essenziale e quotidiana che non offre alcuna prospettiva di futuro tanto per i giovanissimi quanto per i più anziani.
La crisi del PD è, dunque, una crisi politica ma anche sociale: è la crisi del partito – rappresentante della borghesia italiana che inizia a mostrare le prime crepe dovute alle contraddizioni interne ed esterne, ad un collegamento con Confindustria e gli alti settori dirigenti del padronato italiano che puntano ancora su Renzi, non avendo altro cavallo su cui scommettere, ma certamente preferiscono rivolgersi oltralpe per ipotecarlo e farlo eterodirigere dalle istituzioni comunitarie. Prima fra tutte la Banca centrale europea.
Non si può parlare ancora di “crisi del renzismo”, ma si può parlare di cedimento del renzismo davanti alle evidenti storture che il governo patisce in virtù degli inciampi in cui si imbatte quando deve dimostrare d’essere estraneo ai poteri forti così come propaganda ogni giorno il suo leader. Si scopre invece poi che un ministro si deve dimettere proprio per chiarire i suoi rapporti con poteri non forti, ma fortissimi. Si scopre che dopo le banche viene il petrolio e che l’esecutivo c’entra in prima persona, perché il Presidente del Consiglio si assume la responsabilità della scrittura di un emendamento che protegge interessi speculativi di primaria importanza che fanno riferimento niente poco di meno che alla Total… Le sette sorelle ci sono sempre di mezzo…
La partita è aperta e Renzi la giocherà fino in fondo, cercando di terminare una legislatura che non gli appartiene e che dovrebbe rilanciarlo a Palazzo Chigi almeno per altri cinque anni.
Il 17 aprile qualcosa già si può fare per dargli una spallata. Votare SI’ al referendum contro le trivelle e poi sostenere con le proprie firme la presentazione di tutti gli altri referendum sociali contro la “Buona scuola”, contro il “Jobs act” e per un ambiente da rispettare comunemente.
Non è solo il Parlamento che può sfiduciare Renzi, possiamo farlo tutte e tutti noi. In prima persona. Facciamolo!
Fonte: la sinistra quotidiana
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