La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 23 luglio 2016

Incrociare gli sguardi critici

di Matteo Polleri
La storia dell’operaismo italiano è stata, come noto, ricca di spunti e incursioni teoriche che si sono rivelate non soltanto all’altezza dei tempi in cui sono state proposte ma, in alcuni casi, addirittura dotate di una capacità “preveggente” rispetto alle trasformazioni che avrebbero investito le forme di vita capitalistiche, prima ancora che queste si verificassero compiutamente. Quando negli anni ’70 la fabbrica organizzata in catena di montaggio sembrava il luogo principe delle modalità di valorizzazione del capitale, gli operaisti coglievano i germi del processo di diffusione reticolare e di disarticolazione della filiera produttiva.
Nel momento in cui la figura dell’operaio fordista classico sembrava essere il soggetto centrale della conflittualità sociale, vedevano nella fuoriuscita dalla fabbrica tanto un processo storico-sociale a venire, quanto una prospettiva politica di autonomia e conquista di spazi di avanzamento per l’emancipazione delle soggettività sfruttate.
Spesso in anticipo rispetto alle ricerche di sociologia critica (che fossero di stampo marxista, neo-weberiano o legate al paradigma delle “reti”),[1] le inchieste legate a questa peculiare – nonché volontariamente di parte – corrente del marxismo eretico hanno analizzato il salto di paradigma attraversato dai capitalismi storici occidentali negli ultimi tre decenni, mettendo a verifica, di volta in volta, le ipotesi teoriche sul piano della prassi politica.
È questo il senso del «metodo della tendenza». Questa l’aspirazione di categorie come «fabbrica-società», «informazione valorizzante» e «neocapitalismo»,[2]solo per citare le più antiche e note.
Dagli anni ’90 ad oggi, il dibattito nel solco di questo filone di critica sociale immanente non si è arrestato, rinvigorendosi di nuove ipotesi e concetti, in particolare attraverso la contaminazione con i residui del marxismo francese, con la koinè post-strutturalista e con il campo dei post-colonial studies. Nasce così l’elaborazione militante nota come «post-operaismo» o «neo-operaismo».
In questo contesto teorico-politico, qui appena abbozzato, si inserisce il recente lavoro a sei mani dal titolo Logiche dello sfruttamento. Oltre la dissoluzione del rapporto salariale (Ombre corte, 2016) di Federico Chicchi, Emanuele Leonardi e Stefano Lucarelli. Il volume è diviso in tre saggi redatti da ciascuno degli autori, un primo capitolo introduttivo e una conclusione (scritti collettivamente) e un’appendice, in cui viene riproposto un articolo di Christian Marazzi uscito su «Primo Maggio» alla fine degli anni ‘70, uno dei testi operaisti in cui emerge quel carattere “preveggente” prima ricordato.
2. Al cuore del libro, focalizzato sulla ricostruzione della categoria di sfruttamento, si trova una diagnosi equilibrata dell’attuale tendenza dello sviluppo capitalistico (limitatamente ai paesi dell’area nord-occidentale del globo) e una proposta teorica ben strutturata, la cui fertilità non può che essere da discutere e verificare.
Secondo gli autori, l’insieme di fenomeni eterogenei e contraddittori che sono stati definiti, a seconda dei degli interpreti, «capitalismo cognitivo», «biocapitalismo» o «capitalismo algoritmico», in cui finanziarizzazione, cognitivizzazione dei processi di lavoro e centralità crescente del settore della riproduzione sociale si intrecciano in una spirale mortale, possiedono un unico tratto comune. Si tratta della «dissoluzione», o sarebbe meglio dire, dell’«esplosione» del rapporto salariale: un autentico cambiamento qualitativo del modello di accumulazione, misurabile empiricamente e formalizzabile matematicamente, come sottolineato nel contributo di Lucarelli.
Il corollario di questo mutamento sarebbe una proliferazione di differenti «logiche» dello sfruttamento, che il concetto marxiano di «sussunzione»[3] non risulta più sufficiente a descrivere, non essendo queste riducibili a un’unica modalità di estrazione di valore da un lavoro vivo dai tratti ormai irriconoscibili.
La categoria di sussunzione, che rimanda in Marx a un movimento di assorbimento e di subordinazione di un termine a un rapporto generale (il rapporto di capitale), rimane infatti legata a un quadro salariale, in cui le condizioni oggettive di realizzazione della forza lavoro (semplici cose) appaiono feticisticamente come l’incarnazione della potenza astratta del capitale. Il fordismo sarebbe l’epoca di massima realizzazione della sussunzione reale, in cui il capitale modifica ab origine il processo lavorativo in funzione del suo accrescimento, imponendo una forte omogeneità tanto nello spazio e nel tempo di lavoro (con le note conseguenze di omologazione e alienazione), quanto nelle possibili soggettivazioni antagoniste.
Per analizzare la fase postfordista, gli autori introducono la nozione di «imprinting», anch’essa distinguibile in «reale» e «formale», che si porrebbe in tensione dialettica con la logica sussuntoria. Un concetto che condensa in sé, senza dichiararlo e attraverso una metafora ottica che meriterebbe un approfondimento, ciò che, a seconda delle tradizioni teoriche di riferimento, può anche essere definito come «apparato ideologico», processo di «assoggettamento-soggettivazione», «produzione di soggettività» o, addirittura, «servitù volontaria». Un termine che riassume quindi quell’insieme di dispositivi e di tecnologie anonime che plasmano le psicologie individuali in maniera funzionale all’auto-sfruttamento, all’auto-imprenditoria e alla disponibilità ad accettare come retribuzione di un tempo di lavoro non più misurabile soltantogratificazione, mere promesse di salario o un incremento delle occasioni divisibilità sociale e dunque delle possibilità di essere notato e impiegato da un qualche “datore di lavoro”.
3. L’aspetto più pregevole dell’analisi proposta sta però a monte: l’identificazione di una pluralità complessa e stratificata di meccanismi di sfruttamento, coattivi e non soltanto parassitari, che avrebbero preso il posto dei metodi tradizionali di estorsione di neo-valore, sostenendosi mediante ingiunzioni di comportamento e sibilline prescrizioni di soggettività compartecipi alla propria condizione subalterna.
In questo senso, lo sguardo sugli inediti processi di sfruttamento qui considerati è insieme uno e molteplice. La singolarità degli specifici meccanismi di vampirizzazione del lavoro, storicamente condizionata e sociologicamente individuabile, viene colta nelle sue particolarità, senza che per questo si perda una prospettiva sistemica relativa alle invarianti strutturali e alle tendenze generali del processo capitalistico tout court.
L’unità complessiva della macchina di accumulazione e la molteplicità delle «logiche» attraverso le quali la valorizzazione si dipana vengono tenute insieme nella stessa cornice analitica, evidenziando non solo l’aspetto diffuso e rizomatico delle tecniche di sfruttamento, ma anche il loro carattere radicalmente eterogeneo e la compresenza di modalità tradizionali e inedite di valorizzazione.
E proprio all’eterogeneità della realtà capitalistica gli autori fanno corrispondere una notevole varietà di approcci teorici, declinando le loro ipotesi attraverso uno strumentario concettuale che spazia dall’economia politica critica a Simondon, Deleuze, Guattari e Foucault, fino al Lacan della «logica del fantasma». L’apparato analitico utilizzato permette infatti di passare dalle forme arcaiche di sussunzione soltanto formale ai nuovi bacini della rendita nella sharing economy (non considerati dagli autori), fino alle più avanzate frontiere dal lavoro volontario e gratuito (analizzate con gli occhi di Simondon nel capitolo terzo redatto da Leonardi).
Sul piano della contaminazione tra linguaggi e concetti provenienti da tradizioni diverse, particolarmente interessante risulta il tentativo di incrociare l’inchiesta neo-operaista sulle trasformazioni del tessuto produttivo e della «composizione tecnica di classe» e i risultati delle analisi psicanalitiche, in particolare di provenienza lacaniana. E’ questo il caso, infatti, in cui l’applicazione del concetto di imprinting appare più chiara e riuscita, sottolineando il nesso tra il processo di valorizzazione capitalistico e l’immaginario libidico fantasmagorico nel quadro di un’ipotesi di «assiomatica sociale» di deleuziana memoria.[4]
Su questo punto si aprono, almeno potenzialmente, possibili sentieri di ricerca ancora da esplorare, capaci di far convergere correnti di pensiero critico spesso considerate non associabili, come nel caso di una possibile combinazione della dialettica marxiana della forma di valore, della teoria dell’ideologia althusseriana e del concetto lacaniano di «godimento» ai fini di una ristrutturazione radicale delle categorie di alienazione e feticismo (ipotesi non avanzata dagli autori, ma recentemente sondata).[5] La riarticolazione di una teoria dello sfruttamento contemporaneo dovrebbe infatti andare di pari passo con la ricostruzione di categorie capaci di svelare non solo come l’intera soggettività viene implicata nella valorizzazione, ma anche gli ambigui meccanismi di occultamento delle diverse «logiche» di sfruttamento, in cui la coercizione è spesso accompagnata dalla compartecipazione del soggetto alla dinamica del dominio.
Se si ammette infatti che il primo dei feticci capitalistici, ossia l’oggettività spettrale del «valore», è qualcosa di iscritto storicamente nel regime tenco-meccanico di una forma di produzione ormai superata da una riproduzione sociale extrasalariale direttamente produttiva,[6] non si può però pensare che questa orizzontalizzazione del rapporto lavorativo coincida con una sparizione delle illusioni spettrali che il capitale secerne per garantire la propria perpetuazione. Ciò considerato, la nozione di imprinting, utile per scandagliare delle zone di ambiguità tra volontà individuale e «discorso del padrone», sembra non essere adatta a indicare i momenti di estraneazione delle soggettività di fronte alle fantasmagorie capitalistiche.
In breve, la logica impressoria descritta dagli autori non sembra ancora capace cogliere l’opacità nebbiosa per cui un rapporto sociale antagonistico si rovescia magicamente, apparendo come una cosa, come delle skills o delle innate capacità creative di cui si può disporre o meno. Si tratta di un’inversione illusoria nata con l’incarnazione del capitale nel mostro automatizzato della fabbrica, ma che oggi si ripresenta metamorfosata nel conflitto/completamento tra sapere vivo e macchina algoritmica. Un aspetto che si può leggere in controluce in alcune pieghe del libro, ma che meriterebbe un ulteriore labor limae.
4. Complessivamente, dunque, le piste di indagine suggerite dal volume sono molto preziose e sicuramente maggiori dei nodi lasciati irrisolti; sebbene stupisca, come notato da Davide Gallo Lassere e Simona De Simoni,[7] l’assenza di una considerazione della verticalità politica del comando capitalistico nello scenario orizzontale descritto dagli autori.
Al tempo stesso però, la mossa strategica di fondo compiuta dagli autori è ormai inderogabile: ricostruire una teoria dello sfruttamento, che sia al tempo stesso unitaria e multivoca. L’obiettivo, correttamente individuato, è una lettura della realtà capitalistica che non rinunci all’aspetto complessivo dei processi, ma che focalizzi contemporaneamente le peculiarità delle logiche estrattive, senza cedere al rincuorante utopismo dell’ipotesi di una progressiva (e necessitata) conquista di autonomia da parte della cooperazione sociale, troppo spesso esaltata come una forza spontanea straripante.
Se anche non si condividessero le soluzioni proposte dagli autori, non si può dunque che riconoscere l’importanza strategica delle questioni emergenti da questo lavoro teorico collettivo.
D’altra parte, una volta riconosciuta la resilienza endogena del capitalismo e la sua plastica capacità di adattamento, restano molte domande aperte. Ma vi è forse anche una certezza, colta ed evidenziata dagli autori: alla pluralizzazione delle logiche dello sfruttamento contemporaneo non può che corrispondere una moltiplicazione e un’ibridazione degli sguardi critici, che funga da punto di partenza per la costruzione di una nuova grammatica del pensiero sovversivo.
Dunque, se è vero che le analisi operaiste della fine degli anni ’70 furono un sovvertimento nell’applicazione lineare di alcune categorie elaborate dall’operaismo classico, per esempio con la defeticizzazione del concetto di «misura» (del valore, del lavoro, del capitale),[8] perché non forzare ulteriormente, con uno sforzo d’immaginazione e di inchiesta comune, i confini del patrimonio concettuale marxista? Del resto, gli intrecci delle prospettive sul piano della teoria critica non possono che essere finalizzati a sostenere incroci concreti, riconoscimenti complici degli sguardi di chi subisce la proliferazione delle varie logiche dello sfruttamento.

NOTE

[1] Si pensi ai lavori di Luc Boltanski e Ève Chiapello alla fine degli anni ’90, o alla monumentale opera di Manuel Castells. Cfr. L. Boltanski, È. Chiapello, Il nuovo spirito del capitalismo, Mimesis, Milano-Udine, 2014; M. Castells, La nascita della società in rete, Egea, Milano, 2008.

[2] Elaborate rispettivamente da Mario Tronti, Romano Alquati e Raniero Panzieri.

[3] Per approfondire si veda il celebre K. Marx, Il Capitale: libro I, capitolo VI inedito. Risultati del processo di produzione immediato, Firenze, La Nuova Italia, 1969, (trad. a cura di B. Maffi).

[4] Si veda il capitolo quinto del volume, redatto da Federico Chicchi. Cfr. Ivi, pp. 81-97.

[5] Cfr. N. Thévenin, De l’alienation ou les vicissitudes de la jouissance, disponibile su http://revueperiode.net/de-lalienation-ou-les-vicissitudes-de-la-jouissance/.

[6] Come sottolineato da Cristina Morini, “Le pillole azzurre del capitale”, su Effimera, http://effimera.org/le-pillole-azzurre-del-capitale-cristina-morini/

[7] Davide Gallo Lassere e Simona De Simoni, “Dallo sfuttamento all’autosfuttamento”, su OperaViva, http://operaviva.info/dallo-sfruttamento-allautosfruttamento/

[8] Cfr. C. Marazzi, Alcune proposte per un lavoro sul tema “denaro e composizione di classe”, in F. Chicchi, E. Leonardi, S. Lucarelli, Logiche dello sfruttamento, cit., p. 124.

Immagine in apertura: Karl Marx – Watercolor Portrait, by Fabrizio Cassetta, 2015

Fonte: Effimera

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