La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 23 luglio 2016

Trump e l’eresia americana

di Fulvio Scaglione 
La convention repubblicana di Cleveland (Ohio), già patria dei Cavaliers di Le Bron James vincitori del campionato Usa di basket, viene alternativamente criticata o ridicolizzata anche se a ben vedere offre uno spaccato perfetto del mondo repubblicano dopo il passaggio del ciclone Donald Trump. Ci sono gli umori violentissimi anti-Hillary, che non sono solo fuoco di sbarramento contro la macchina da guerra democratica dei Clinton. Ci sono le gaffe pittoresche, come il discorso dell’aspirante first lady Melania Trump copiato da quello di Michelle Obama di otto anni fa. C’è la lunga lista delle assenze (dal clan Bush agli ex candidati John McCain e Mitt Romney) e delle infauste presenze, come quella dell’ultraconservatore Ted Cruz, ostile a Trump e sommerso di fischi.
Ma c’è, soprattutto, il rilancio di una vecchia formula politica, o forse cinematografica: il poliziotto buono e quello cattivo. Il cattivo senza dubbio è Trump, il politico non politico (se non davvero anti-politico) che s’incarica di dire le cose che non si potrebbero dire, di far balenare l’impossibile davanti agli occhi degli elettori. La Nato? Non siamo obbligati a intervenire ovunque c’è un problema. I trattati economici internazionali? Solo se non danneggiano i produttori americani. Fuori un bel dieci milioni di immigrati. Porte chiuse ai musulmani. America First. Prima l’America, il resto si vedrà.
Idee che sembrano eresie, e i media le spacciano volentieri come tali. Ma da quando il centro-destra dello spettro politico Usa non ha detto agli elettori: prima l’America?George Bush rimase otto anni alla Casa Bianca sulla base delle politiche dettate dal manifesto neo-conservatore intitolato “Progetto per un nuovo secolo americano”, quindi di che cosa stiamo parlando?
In ogni caso, il Partito repubblicano, i cui maggiorenti detestano Trump, ha fatto buon viso a cattivo gioco. Anzi: a cattivo poliziotto. E gli ha messo di fianco il poliziotto buono, il candidato alla vice presidenza Mike Pence. Salito alla ribalta presidenziale dopo una carriera politica mediocre (è entrato alla Camera solo nel 2000 dopo due tentativi falliti, ed è poi stato governatore dell’Indiana), Pence è chiamato a rassicurare il tradizionale elettorato del centro-destra. Che altro dovrebbe fare, dopo tutto, un buon padre di famiglia che si definisce “cristiano, conservatore e repubblicano, in quest’ordine”?
Tutti hanno apprezzato l’impeccabile discorso di Pence. Che ha così mandato agli elettori un altro messaggio, più sottile e importante: guardate che Trump non sarà un uomo solo al comando, avrà di fianco tanta gente seria, moderata, professionale, riflessiva, capace di frenarlo quando rischierà di sbandare e finire fuori strada. L’esatto opposto, insomma, di quanto dovrà fare Hillary Clinton, fin troppo inserita nell’establishment, fin troppo governativa e istituzionale, per mobilitare il voto dei giovani e dei liberal.
Sarà interessante vedere come i due candidati giocheranno la carta della presidenza Obama, tristemente avviata alla fine. Trump ne farà la bandiera di tutto ciò che dovrà essere bandito dalla “sua” America. La Clinton, che predica maggiore decisionismo e interventismo rispetto al passato, non potrà fare la stessa operazione, dopo essere stata segretario di Stato dello stesso Obama dal 2009 al 2013. Certo è che Trump giocherà fino all’ultimo la carta delle “sparate”, ovvero delle prese di posizione che poco piacciono agli osservatori ma ammaliano l’America profonda. Hillary, rispetto al poliziotto buono e a quello cattivo, è parsa finora più simile all’inflessibile e cerebrale giudice di tanti film americani. Lei conosce la legge e spesso ha ragione. M gli eroi del pubblico sono gli altri due.

Fonte: fulvioscaglione.com

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