La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 27 agosto 2016

I rifugiati al lavoro nelle zone del sisma: la migliore risposta alla barbarie razzista

di Roberto Barbieri
La solidarietà non ammette gerarchie. La sofferenza non ha colore. Non è retorica ma è la realtà dei fatti affermare che ogni italiano dovrebbe sentirsi orgoglioso delle migliaia di volontari accorsi nei luoghi devastati dal terremoto. Quei volontari hanno dimostrato, con il loro agire, cosa significhi abbinare idealità e concretezza in momenti così drammatici come quelli vissuti dalle popolazioni colpite dal sisma nel Centro Italia.
Sono intervenuti per prestare soccorso, per assistere, aiutare, salvare vite umane. Senza chiedersi chi ci fosse sotto le macerie, bianchi, neri, cristiani o cos'altro. Hanno prestato i primi aiuti, hanno costruito, assieme alle donne e agli uomini della Protezione civile, le prime tendopoli per accogliere quanti una casa non l'hanno più. Quei volontari danno senso alla parola "Belpaese". E non c'è niente di più lontano dal "Belpaese" delle polemiche scatenate da chi anche in momenti che dovrebbero essere di unione e di una solidarietà condivisa, non ha trovato di meglio che scatenare una guerra tra poveri, augurandosi che i terremotati trovassero accoglienza negli hotel a cinque stelle (!) oggi occupati dai rifugiati.
"Nelle tendopoli ci andassero loro", ripetono i seminatori di odio. "Liberassero le stanze concesse loro dallo Stato", insistono i senza coscienza. Non c'è rispetto per le vittime del terremoto, così come non c'è, in questo ciarlare vergognoso, alcuna pietas per le migliaia di persone che mettono a rischio la propria vita per fuggire dall'inferno di guerre, sfruttamento, disastri ambientali.
Il "Belpaese" non si riconosce in queste invettive. Con il proprio impegno è di esempio, e dimostra che il darsi da fare per chi in quel momento sta peggio unisce, uno accanto all'altro bianchi e neri. Ed è una bella storia quella che racconta come dietro al chiasso e alle polemiche estive sui rifugiati, diverse decine di questi "ultimi", in silenzio e da varie parti d'Italia hanno preso l'iniziativa di andare a soccorrere i terremotati. Dal Gus a Monteprandone (Ascoli Piceno), sono partiti in venti per prestare soccorso in supporto alla Protezione civile comunale ad Amandola, uno dei centri più colpiti.
Quei ragazzi sono la migliore risposta don Cesare Donati, sacerdote in servizio a Boissano, il quale su Facebook ha postato: "Adesso è il momento, vista la tragedia del terremoto di mettere gli sfollati nelle strutture e i migranti sotto le tende .... Vedremo". Parole forti, soprattutto se pronunciate da un uomo di chiesa. Parole improvvide, perché alimentano astio, divisioni, diffidenza. Perché operano una gerarchia della sofferenza che non può, non deve essere accettata. Ed ha ragione Enrico Mentana, tristemente ragione, quando commenta: "Non si era ancora al tramonto della prima giornata dopo il terremoto e già la pestilenza del web tornava a diffondersi: "nelle tendopoli metteteci gli immigrati, così lasciano agli sfollati le camere negli alberghi a 5 stelle". Ed è evidente che non gli interessa né degli uni né degli altri. Vogliono solo contribuire a loro modo, versando bile". Purtroppo è così. Ma guai a cedere loro il campo, soprattutto quando il "campo" sono paesi ridotti in macerie e il primo dovere, civile, etico, umano, è quello di prestare soccorso. L'informazione è parte di questa narrazione.
Spesso, troppo spesso, a far notizia, audience, sono le polemiche, la gara è a chi la spara più grossa, a chi sbraita più forte, a chi getta benzina sul fuoco delle divisioni. I rifugiati che da tutta Italia si mettono al servizio dei terremotati hanno alle spalle storie tragiche, e un futuro che non è certo a "5 stelle". Se sono a spalare tra le macerie, o ad assistere chi ha perso tutto, non è per un calcolo "politico" o per tornaconto personale. Sono "angeli", non sciacalli. Lo fanno perché più degli "sbraitatori" sanno cosa vuol dire soffrire, perdere tutto, lasciarsi alle spalle case distrutte dalla guerra o da un sisma. È il cuore ad averli portati ad Amandola, Amatrice... Hanno colorato il "Belpaese". E scritto una bella pagina di solidarietà.

Fonte: Huffington post - blog dell'Autore 

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