La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 27 agosto 2016

La politica dal basso

di Nigrizia 
La 12ª edizione del Forum sociale mondiale (Fsm) si è svolta nella città di Montréal, Canada (9-14 agosto): la prima volta in una nazione del nord del mondo. L’evento ha radunato circa 35 mila rappresentanti di movimenti sociali provenienti da paesi di diversi continenti. Vasta la gamma di temi trattati negli oltre mille seminari autogestiti: relazioni commerciali, cambiamento climatico, energie rinnovabili, giustizia ambientale, riforma della terra e agricoltura biologica, finanza sociale, nuovi mezzi di comunicazione sociale, smilitarizzazione, land grabbing, tratta di persone, impatto distruttivo dell’industria estrattiva... 
Nella mente degli organizzatori, la scelta di Montréal doveva indicare simbolicamente il superamento del divario tra nord e sud del mondo. Ma non è stato proprio così. Per certi aspetti la celebrazione del Fsm in Canada ha evidenziato la distanza che separa il mondo ricco da quello degli impoveriti. Esempio eclatante il rifiuto da parte delle autorità canadesi di concedere il visto d’ingresso a tanti attivisti del sud del mondo, dall’Africa in particolare. La loro assenza è stata una grave perdita. Sono mancate le testimonianze di chi avrebbe potuto scuotere l’opinione pubblica sulle conseguenze nefaste di politiche economiche neoliberiste, rendendoci partecipi del sogno di chi lotta per una pace giusta e un’economia sostenibile.
Scopo del Fsm è anche quello di creare le condizioni di incontro tra i membri delle diverse organizzazioni per uno scambio di idee ed esperienze, offrendo la possibilità di mettere in rete persone accomunate dagli stessi obiettivi. Non ha però facilitato l’incontro tra le persone l’ubicazione dei seminari autogestiti disseminati in aule scolastiche nelle sedi di diverse università di Montréal. Quanto sarebbe stato più facile l’interazione tra i partecipanti se le iniziative del forum fossero state organizzate in un unico campus universitario, come era stato fatto in anni precedenti, ad esempio a Tunisi, Dakar e Nairobi! Non si capisce perché non si sia potuto (o voluto?) fare lo stesso nella città canadese, meglio attrezzata di strutture per accogliere eventi di massa.
Nonostante i limiti organizzativi e burocratici, la voce degli ultimi della terra non è stata fatta tacere del tutto. Per citare un esempio: uno dei sei seminari condotti dal Comboni network, presente con un gruppo di sedici missionari e missionarie, ha presentato il dramma della popolazione del Nord Kivu nella Repubblica democratica del Congo. Da anni c’è un genocidio in corso, in una guerra creata ad arte per lo sfruttamento del coltan e di altri minerali preziosi. La comunità internazionale non interviene e nemmeno l’Onu, che è presente sul campo con un dispiegamento di forze. Addirittura ci sono prove, come viene spiegato nelle pagine del numero di settembre di Nigrizia, che inchiodano le truppe onusiane in Rd Congo alla pesante accusa di sostegno alle milizie armate che spadroneggiano nel territorio. Uno dei fallimenti della gestione Ban Ki-moon al vertice del Palazzo di vetro (vedi i servizi a partire da pagina 10).
In un video mostrato nel seminario appare la testimonianza di una giovane donna del Nord Kivu: fa parte di un movimento giovanile per il cambiamento i cui attivisti sono sovente oggetto di intimidazioni o di arresti. Ciononostante, la giovane militante è determinata ad andare avanti, convinta che la soluzione dei problemi della regione non potrà mai venire dalla classe politica né dall’esterno, dalla comunità internazionale. Bensì, da un movimento dal basso di cittadini, che si organizzano, uniti, per resistere all’oppressione e creare le basi per una società democratica fondata sul rispetto dei diritti umani. Pochi potrebbero dissentire da tale posizione. 
Ma il Forum ha sottolineato un aspetto altrettanto importante contenuto nello slogan di questa edizione: “Un altro mondo è necessario, insieme è possibile”. Dove nell’avverbio insieme si evidenzia la necessità di costruire reti di solidarietà internazionale con movimenti che si battono per la stessa causa, al fine di una maggiore efficacia e sostegno reciproco. In America Latina vi è una rete di duecento associazioni sparse in differenti nazioni che lottano insieme per la preservazione dell’ambiente e i diritti dei lavoratori contro la politica distruttiva delle grandi imprese minerarie. Un esempio di collaborazione transnazionale da adottarsi anche dai movimenti sociali in Africa, e non solo. 

Fonte: Nigrizia 

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