di Pietro Moroni
Stefano Toso, professore di Scienza delle Finanze presso la Scuola di Economia, management e statistica dell’Università di Bologna, è autore di “Reddito di cittadinanza?” per la casa editrice il Mulino. Si tratta di un libro – uscito nella celebre collana “Farsi un’idea” – assai agile e divulgativo, di poco meno di 150 pagine, che si propone di introdurre il lettore ai termini del dibattito circa la natura e i problemi del reddito di cittadinanza. Il discorso viene comunque condotto dall’autore in maniera notevolmente approfondita, il che permette anche al neofita che si interessa della questione per la prima volta di ottenere un’adeguata conoscenza degli argomenti ad esso correlati.
A dispetto del titolo, il libro guida abilmente nel piccolo cosmo di proposte, più o meno nuove, di sostegno al reddito e di riforma del welfare occidentale, muovendosi abilmente attraverso i contributi dei maggiori analisti del welfare state, da Richard Titmuss a Gøsta Esping-Andersen, da Anthony Atkinson a Milton Friedman, passando per l’Agathopia di James Meade e i surfisti di Malibu di John Rawls, per citare solo alcuni dei pensatori che si sono occupati, in modi e per motivi assai diversi, del tema in questione.
A dispetto del titolo, il libro guida abilmente nel piccolo cosmo di proposte, più o meno nuove, di sostegno al reddito e di riforma del welfare occidentale, muovendosi abilmente attraverso i contributi dei maggiori analisti del welfare state, da Richard Titmuss a Gøsta Esping-Andersen, da Anthony Atkinson a Milton Friedman, passando per l’Agathopia di James Meade e i surfisti di Malibu di John Rawls, per citare solo alcuni dei pensatori che si sono occupati, in modi e per motivi assai diversi, del tema in questione.
Il libro inizia affrontando i motivi che stanno all’origine della crescente attenzione a questo dibattito e si sofferma a spiegare brevemente cosa sia il reddito di cittadinanza, corrisposto individualmente e in maniera non selettiva a tutta la cittadinanza (o a tutti i residenti), operando la necessaria distinzione con il reddito minimo, ovvero la garanzia di una soglia di introito minimo per tutti i cittadini, per garantire la quale lo Stato opererebbe la necessaria redistribuzione di risorse. Quest’ultimo istituto è già presente in quasi tutti i sistemi di welfare: in Europa è assente soltanto in Italia e in Grecia. L’autore propone la dicotomia tra tali istituti “come chiave di lettura per esaminare i pro e i contro del reddito di cittadinanza” ma avvertendo al tempo stesso che essa “non va estremizzata” in quanto non sottende una reale inconciliabilità pratica o teorica. La sfida per la riforma del welfare state è intesa dall’autore come una sfida fra universalismo e selettività, una sfida che potrebbe essere superata finalmente attraverso il reddito di cittadinanza, ideale sintesi che concilii la semplicità ed efficacia dell’universalismo con una nuova forma di selettività, che mantenga la stessa e target efficiency e la stessa sostenibilità economica, ma che risparmi al cittadino le invasioni di privacy e situazioni degradanti à la I, Daniel Blake.
Viene poi tracciata una ricostruzione della genesi del reddito di cittadinanza in termini di storia del pensiero. Concetti complessi quali dividendo sociale, imposta negativa sul reddito e reddito di partecipazione, sono spiegati in maniera chiara ed esauriente e ciascuno di essi, nello stile generale del libro, soppesato in relazione ai suoi punti di forza e alle sue debolezze teoriche e pratiche. Il reddito di partecipazione fra tutti, è il concetto più interessante fra i suddetti, trattandosi di un reddito di cittadinanza da limitare a chi contribuisce alla società attraverso il suo lavoro, risolvendo il tema dei surfisti di Malibu. D’altro canto, però, la difficoltà nel definire il contributo in questione, ripropone nuovamente le criticità dei sistemi means testing ed è fra i motivi per i quali questa formula non ha raccolto un supporto paragonabile a quello del reddito di cittadinanza.
Il terzo capitolo introduce le potenzialità derivate da una possibile sintesi tra reddito di cittadinanza e reddito minimo, alla ricerca di un nuovo “universalismo selettivo”, neologismo che “implica la coesistenza tra un principio universalistico, ossia l’irrilevanza di qualsiasi variabile categoriale ai fini del diritto all’accesso, e l’applicazione della prova dei mezzi per selezionare la platea dei beneficiari”. Fondamentali sono le numerose pagine dedicate dall’autore per illustrare principi e funzionamento del reddito minimo nel resto d’Europa e nel corso della storia, evidenziando successi e fallimenti, con particolare attenzione al rischio di “trappola della povertà” per tali istituti. Il discorso elaborato in merito, oltre ad essere chiaramente essenziale per sviluppare una proposta credibile di reddito minimo per l’Italia, è prezioso anche per il neofita che non si sia mai avvicinato prima d’ora al tema della comparazione degli istituti pubblici di welfare in Europa.
Un capitolo è inoltre dedicato alla situazione del nostro Paese, affrontando esperimenti, proposte e iniziative politiche, non trascurando nemmeno gli aspetti di più di stringente attualità, come la proposta del Movimento 5 Stelle e le altre due proposte alternative avanzate dai parlamentari del Partito Democratico e dall’allora Sinistra Ecologia e Libertà. In questo ambito il lettore acquisirà familiarità con gli esiti della Commissione Onofri sulla riforma del welfare state italiano e sulle politiche messe in atto dai governi successivi fino ad oggi. Particolarmente interessante l’esperienza del Reddito minimo di inserimento (Rmi), nel contrasto alla povertà e alla diseguaglianza, poi affossato dal ministro Maroni nel 2002, a causa del mancato conseguimento degli obiettivi di inserimento al lavoro prefissati, mancando tra l’altro di sottoporre il rapporto di valutazione sul Rmi al Parlamento come sarebbe stato invece dovuto per la legge. Grande attenzione è poi dedicata agli istituti di sostegno sociale e al reddito degli enti locali.
L’argomentazione del libro è accessibile ed efficace ed affronta con onestà intellettuale virtù e difetti sia del reddito di cittadinanza che delle varie alternative elaborate o in elaborazione. Da questo discorso emergono altresì la critica giustamente mossa ai modelli di workfare e al ricorso alla prova dei mezzi (means testing) nel welfare state attuale.
Conoscere le alternative intermedie fra reddito di cittadinanza e reddito minimo permette anche ai più scettici nei confronti del primo istituto, come chi scrive, di guardare con interesse a proposte ed esperimenti ispirati al principio di universalismo selettivo. Ciò che emerge dalla lettura di questo breve libro è anche l’arretratezza del nostro Paese per quanto riguarda il sostegno al reddito. Colmare il gap che ci separa dal resto d’Europa in quanto a politiche per la protezione sociale non può che essere una meta condivisa da coloro che hanno a cuore il tema dell’uguaglianza.
Fonte: Pandorarivista.it
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