La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 12 dicembre 2015

Aprite Rafah adesso: l’assedio a Gaza è un fallimento crudele e politico

di Ramzy Baroud
Quando l’Egitto decise di aprire il valico di confine di Rafah che lo separa da Gaza per due giorni, il 3 e i 4 dicembre, si ebbe una sensazione di cauto sollievo nella Striscia impoverita. E’ vero, 48 ore sono a malapena sufficienti alle diecine di migliaia di pazienti, studenti, e di altri viaggiatori per partire da Gaza e tornarci, ma l’idea che fosse prossima una pausa, ha aiutato a interrompere, anche se leggermente, il senso di prigionia collettiva provata dai palestinesi intrappolati.
Naturalmente, la crisi del valico di Rafah sarà difficilmente risolta con una singola decisione transitoria, principalmente perché Gaza subisce un blocco per motivi politici, e soltanto una ragionevole strategia politica può porre fine alla sofferenza o, almeno, può diminuirne l’orrendo impatto.


I palestinesi parlano con rabbia di un assedio israeliano a Gaza, una realtà che non può essere contraddetta dalle operazioni di propaganda di tutti i funzionari israeliani e dalle distorsioni dei media. Infatti, non soltanto è peggiore di un blocco come restrizione economica, ma è un processo violento costante che mira a brutalizzare e a punire una comunità di 1,9 milioni di persone. Tuttavia, si parla raramente, nello stesso contesto, della chiusura da parte egiziana del valico di confine di Rafah, che ha contribuito al ‘successo’ dell’assedio di Israele: se ne parla innanzitutto come di una decisione politica.
Con un accordo relativo al confine che si dice sia stato firmato in novembre tra il Presidente dell’Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas, e il Presidente egiziano Abdul Fatah al-Sisi, entrambe le parti sono apparse cordiali e non turbate dalla tragedia che sta ribollendo a nord del confine egiziano.
Le ‘attività’ vicino a Rafah erano intese a “rendere sicuro il confine,” ha detto Sisi ad Abbas, secondo una dichiarazione rilasciata dall’ufficio del Presidente egiziano. Queste attività “non potrebbero mai essere mirate a danneggiare i fratelli palestinesi nella Striscia di Gaza.”
Il termine ‘attività’ in questo caso è un riferimento alla demolizione di migliaia di abitazioni situate a fianco del confine di 12 km. tra Rafah, a Gaza e l’Egitto, oltre alla distruzione e all’allagamento di centinaia di tunnel che erano serviti come la principale linea di comunicazione che ha sostenuto la Striscia per tutto l’assedio israeliano durante la maggior parte dello scorso decennio.
Naturalmente Abbas non ha avuto alcuno scrupolo per l’azione egiziana la cui conseguenza è stata la chiusura del valico di Gaza per 300 giorno soltanto nel 2015, in base a un nuovo studio che è partito da Gaza.
L’anno scorso, in un’intervista al giornale egiziano ‘Al-Akbar’, Abbas ha detto che la distruzione dei tunnel era stata la miglior soluzione per impedire che i Gazawi (gli abitanti di Gaza) usassero il contrabbando a loro beneficio. Ha poi parlato di 1.800 Gazawi diventati milionari come risultato del commercio tramite i tunnel, anche se nessuna conferma di questo specifico numero è stata mai divulgata.
Naturalmente, Abbas si è raramente preoccupato delle crescenti fortune dei presunti ‘milionari’, perché la sua Autorità che sopravvive con sussidi internazionali, ne è piena. I suoi reclami sono nei confronti di Hamas che ha continuato a regolamentare il commercio dei tunnel e a tassare i mercanti per le merci che importano nella Striscia. I tunnel sono stati non soltanto un’ancora di salvezza per l’economia di Gaza, ma i commerci sotterranei hanno contribuito a riempire un vuoto nel bilancio di Hamas, un fatto che per anni ha irritato Abbas.
In seguito alla vittoria di Hamas nelle elezioni, nel gennaio 2006, e allo scontro sanguinoso tra il nuovo governo e la fazione Fatah di Abbas, Hamas ha sperimentato un’enorme pressione: Israele ha dato il via a tre massicce guerre letali, mantenendo contemporaneamente un duro assedio; l’Egitto aveva assicurato la chiusura permanente del suo confine e Abbas continuava a pagare i salari a diecine di migliaia di suoi sostenitori a Gaza, a condizione che non entrassero nel governo di Hamas.
Inoltre, la cosiddetta ‘Primavera Araba’, il tumulto in Egitto e la guerra in Siria, in particolare, hanno ridotto le possibilità di Hamas di sfuggire alla stretta finanziaria che rendeva quasi impraticabile governare Gaza, rovinata dalla guerra e stremata dall’assedio.
Mentre Israele, dall’inizio, ha spiegato che il suo assedio era basato su esigenze di sicurezza, l’Egitto alla fine ha fatto lo stesso, dichiarando che distruggere i tunnel, demolire le abitazioni e ampliare la zona cuscinetto, erano passi necessari per prevenire il flusso di armi da Gaza ai militanti del Sinai che sono responsabili per gli attacchi mortali contro l’esercito israeliano.
Stranamente, la logica egiziana è esattamente il contrario della logica israeliana, per cui in primo luogo l’assedio era giustificato. Israele sostiene che le fazioni di Gaza usano i tunnel per contrabbandare armi ed esplosivi dal Sinai, non al contrario.
Con le competenze e l’aiuto americano, l’Egitto iniziò a erigere un muro di acciaio lungo il confine di Gaza già nel dicembre 2009. Era precedente alla rivoluzione egiziana e alla frattura politica in quella società, che fu seguita poi dal caos dei militanti. In effetti, nel Sinai, ci fu poca violenza allora, almeno non una violenza addebitata in parte ai palestinesi. La costruzione del muro è stata fatta durante il governo di Hosni Mubarak per consentire che la pressione israelo-americana contenesse Hamas e altri gruppi combattenti. Abbas, desideroso di vedere la rovina dei suoi rivali, è stato d’accordo come lo è ancora oggi, sempre pronto a considerare qualsiasi idea che ancora una volta farebbe aumentare il suo partito Fatah nella Striscia.
La violenza dei militanti nel Sinai non ha dato inizio all’assedio di Gaza, ma ha soltanto affrettato la demolizione di case, la distruzione dei tunnel, e ha fornito un’ulteriore giustificazione alla chiusura permanente del confine.
La situazione a Gaza è diventata impossibile, al punto che la Conferenza dell’ONU sul commercio e lo sviluppo lo scorso settembre ha diffuso un rapporto avvertendo che Gaza potrebbe diventare ‘inabitabile’ fra meno di 5 anni, se continuano le attuali tendenze economiche che però sono il risultato di politiche internazionali, per lo più incentrate sul conseguire fini politici. E’ vero, molte persone sono morte in attesa di ricevere appropriata assistenza medica, e migliaia sono morti in guerra; molte delle persone mutilate non possono neanche comprarsi una sedia a rotelle, non parliamo poi di farsi impiantare delle protesi, ma Israele non è neanche riuscita a fermare la Resistenza, l’Egitto ha sedato la ribellione nel Sinai e Abbas non ha riguadagnato la roccaforte della sua fazione.
Tuttavia, le cose stanno peggiorando molto per Gaza. La Banca Mondiale ha pubblicato un rapporto all’inizio di quest’anno dichiarando che il 43% della popolazione di Gaza non ha un lavoro, e che la disoccupazione tra i giovani ha raggiunto il 60%. Secondo il rapporto, queste cifre della disoccupazione sono le più alte del mondo.
Fin da quando è stato istituito il confine tra Palestina ed Egitto in seguito a un accordo del 1906 tra l’Impero Ottomano che allora controllava la Palestina – e la Gran Bretagna, il confine non era mai stato soggetto a tali letali calcoli politici. Infatti, tra il 1948 e il 1967, quando Gaza era sotto il controllo egiziano, il confine era praticamente non-esistente dato che la Striscia era amministrata come se fosse parte dell’Egitto.
Sebbene si parli ancora dei Gazawi definendoli ‘fratelli’, non c’è nulla di fraterno nel modo in cui vengono trattati. 25.00 casi umanitari languiscono a Gaza, in attesa che venga loro concessa la possibilità di accedere alle cure mediche in Egitto o in altri paesi arabi ed europei. Questi palestinesi non dovrebbero essere usati come carne da macello politica in una disputa territoriale che non è creata da loro.
Inoltre, mentre i paesi hanno il diritto di proteggere la loro sovranità e sicurezza, sono obbligate dalla legge internazionale a non punire collettivamente le altre nazioni, indipendentemente dalla logica o dal contesto politico.
Si deve raggiungere un accordo tra il governo di Gaza e l’Egitto, con l’aiuto delle potenze regionali e con il monitoraggio delle Nazioni Unite, per porre fine alla sofferenza perpetua di Gaza e aprire il confine, una volta per tutte?

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: non indicato
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2015 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0

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