La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 10 dicembre 2015

Il salvabanche, il gioco dell'uomo nero e un territorio umiliato

di Gianluca Graciolini 
L'avete presente il gioco dell'uomo nero? O quello delle sedie musicali? "Il passatempo nel quale vince chi riesce a passare l'uomo nero al compagno giusto, o chi riesce a conquistarsi una sedia quando la musica smette di suonare. Questi giochi possono farsi con gusto e diletto, benché tutti i giocatori sappiano che l'uomo nero sta circolando o che quando la musica smette alcuni di loro si troveranno senza sedia." Così il più autorevole economista del Novecento, John Maynard Keynes, parlava del grande gioco degli investimenti finanziari, nel quarto libro della Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta. Nel passaggio immediatamente precedente scriveva: "Lo scopo sociale dell'investimento consapevole dovrebbe essere di sconfiggere le forze oscure del tempo e dell'ignoranza che avviluppano il nostro futuro. Invece, lo scopo privato dei banchieri e dei più esperti investitori di oggi è to beat the gun come dicono gli americani, mettere nel sacco la gente, riuscire a passare al prossimo la moneta cattiva o svalutata".
La vicenda dei piccoli risparmiatori gabbati da Banca Etruria, Banca Marche e dagli altri due istituti di credito "salvati" dal governo Renzi mi ha fatto tornare in mente quelle parole di Keynes.
Che l'etica non alberghi nel mondo delle banche e della finanza dovrebbe essere un dato assodato, ma nel caso in questione ci troviamo di fronte ad un imbroglio che va ben oltre un giudizio di immoralità, consueto per il mondo degli affari finanziari, e che chiama in causa diversi livelli di responsabilità, con conseguenze, probabilmente ed auspicabilmente, anche penali.
Lo scorso sabato a Gualdo Tadino, per esempio, chiunque abbia assistito all'assemblea dei numerosi piccoli risparmiatori che con il cosiddetto decreto salvabanche del governo Renzi si sono visti ridurre a carta straccia i loro risparmi, avrà con tutta evidenza notato che ci si trovava di fronte non ad una platea di incalliti speculatori finanziari, consapevoli dei livelli di rischio legati alle loro operazioni di investimento, ma ad una platea disperata di onesti lavoratori, messi tutti in un bel sacco.
Artigiani, piccoli commercianti, operai, dipendenti di cooperative sociali, insegnanti e pensionati: tutta gente il cui profilo finanziario è modesto e la cui alfabetizzazione finanziaria è prossima allo zero, suo malgrado, in un contesto reso più grave da un'assoluta mancanza di trasparenza e da conclamate asimmetrie informative. È a questa gente che le banche in questione hanno "consigliato" di convertire i loro sudati ed agognati risparmi in titoli ad alto rischio, le ormai note obbligazioni subordinate, in base ad un rapporto fiduciario instaurato negli anni attraverso relazioni di prossimità tra clienti e funzionari, ordinati ad una modalità di gestione come minimo allegra dei depositi di risparmio e sottoposti ad una "linea di comando" che risale facilmente e direttamente alle volontà ed alle responsabilità del management e della proprietà.
È a quella gente, dunque, che Banca Etruria, nel caso di specie, ha rifilato la carta dell'uomo nero, guardandosi bene dal dichiarare aperto tra di essa il gioco. È questa gente che si è ritrovata senza sedia, letteralmente per terra, quando la musica è finita ed il decreto domenicale del governo ha fatto in modo di salvare la proprietà ed il management, dimenticandosi per strada proprio questi piccoli risparmiatori che nell'aver sottoscritto le obbligazioni subordinate avevano così legato i loro risparmi alle sorti della banca, formandone il capitale in cambio di rendimenti che, nella migliore delle ipotesi, avrebbero aumentato il capitale inizialmente investito. Titoli che a banca fallita ed insolvente hanno perso il proprio valore e che quel decreto ha azzerato, nel mentre ha allietato di musica le orecchie del papà della Ministra Boschi e dei suoi sodali, tutti fatti salvi.
La vicenda di Banca Etruria ci parla di una gestione fallimentare, di bilanci opachi, di intrecci politici ed affaristici da provincia profonda, di alcune responsabilità al vaglio giudiziario, di omessi e ritardati controlli da parte degli organismi deputati a farli, in primis di Banca Italia, e dei silenzi della stessa Consob, allorquando in fretta e furia, qualche mese fa, il governo, con la pessima riforma delle banche popolari, l'aveva d'incanto trasformata da Banca di credito popolare in Società per Azioni, nonostante fosse già noto il suo stato patrimoniale e delle sue perdite e fosse già chiara la sua brutta sorte.
Che di tutta questa situazione i soli che ad oggi ci abbiano rimesso l'osso del collo debbano essere quei piccoli risparmiatori rei di aver riposto un'immeritata fiducia nei confronti della banca che ne ha approffitato, che li ha tratti in inganno e che ha omesso loro informazioni vitali è un'altra vergogna nazionale. È per questa ragione che va sostenuta ogni loro azione volta ad ottenere risarcimento, è per questo obiettivo che invitiamo le associazioni dei consumatori a stringere sulle vie più praticabili e concrete volte ad ottenere piena giustizia, nelle modalità che riterranno più opportune (Federconsumatori ha presentato esposto alla Procura di Perugia), ma, soprattutto, costituendosi come parte civile in qualsiasi procedimento giudiziario in corso e in tutti quelli che dovrebbero avviarsi in futuro, a carico dei titolari e dei responsabili della banca. Fino alle azioni che richiedano maggiori e più certosine verifiche di correttezza e di legalità su tutti i soggetti responsabili nella vicenda presso le Istituzioni di controllo e le Corti europee di giustizia.
Due ultimi, importanti, rilievi. Il primo, politico-economico di carattere generale: ci sono altre 17 banche in Italia di media e piccola entità in una situazione pre-fallimentare. Cosa succederà quando verrà il loro turno, quando sarà peraltro subentrata la nuova normativa europea sul bail-in? Che effetti si avranno sul sistema bancario nazionale. Come si sta preparando il governo a questa eventualità? Come agirà? Che fine faranno i risparmi dei piccoli?
Il secondo, locale: l'azzeramento del risparmio di tanti concittadini e di diverse imprese cade, nel nostro caso, in una situazione già pesantemente segnata dalla crisi economica ed occupazionale, dalla desertificazione industriale, dalla progressione dei fenomeni di impoverimento, aggiungendo avversità ad avversità. Lo stesso cosiddetto salvataggio di Banca Etruria nella modalità di costituzione della new bank non garantisce, in un futuro più che prossimo, il salvataggio dei posti di lavoro e degli sportelli nel territorio. Difficilmente chi subentrerà nella nuova gestione manterrà gli stessi livelli occupazionali e le stesse strutture logistiche attuali. Una prospettiva funesta, ma probabile, che per il nostro territorio rappresenterebbe la perdita di un altro pezzo della sua storia economica e sociale: in pochi hanno in questi giorni ricordato che Banca Etruria incorporò la centenaria Banca popolare di Gualdo Tadino, segnando allora una prima trasformazione del modello economico e finanziario della Città, un'anticipazione, per quanto ci riguarda, di quel che sarebbe di lì a poco avvenuto per l'intero sistema bancario nazionale, un primo assaggio di finanziarizzazione dell'economia reale.
A breve, quindi, ci potremmo trovare al cospetto di un ulteriore colpo all'economia del territorio, con effetti generali a cascata facilmente immaginabili, a partire da un'ulteriore stretta del credito.
Chi fin qui, politico o pubblico amministratore, ha sottovalutato questa situazione e sottovaluta questi effetti, relegando il problema a fatto personale dei piccoli risparmiatori incappati in una brutta disavventura quasi normale perchè anche le poche e diseguali leggi della finanza non ammettono comunque ignoranza, è un irresponsabile completamente fuori dalla realtà. Desta sconcerto il silenzio del Sindaco di Gualdo Tadino all'assemblea di sabato scorso, desta sconcerto il silenzio o la non comprensione piena di questo scenario. Ho avuto modo di leggere il documento finale scaturito dal consiglio comunale aperto dello scorso ottobre sulla grave crisi economica della Città: un concentrato di banalità.
Il combinato disposto dell'evaporazione di quel risparmio e del fallimento di un istituto di credito storicamente legato al territorio rappresenta un pesante macigno sulla via di una ripresa, un disperante aggravio della nostra crisi. Non servono a niente le umilissime invocazioni a occuparsi di noi sussurrate a mezza bocca quando le politiche che ci si riservano sono umilianti e vanno in una direzione ostinatamente contraria al reale bisogno.
È al contrario necessaria una strategia di lungo corso ed una nuova programmazione pubblica che pensi a misure sostanziose di sostegno al reddito, alla conversione e all'utilizzo diretto dei fondi strutturali europei, alla destinazione ed alla finalizzazione delle risorse per le aree interne, ad un piano per il lavoro, ad una rigorosa riconversione dell'accordo di programma volta ad attrarre o sostenere investimenti produttivi veri, ad investimenti pubblici nel welfare, nei servizi e nella sanità (altro che demolizione del Calai e tagli più o meno mascherati!).
Servono politiche coerenti con gli annunci e le rassicurazioni, insomma, di cui si facciano carico il governo e la Regione: ad oggi tutto il contrario di quel che ci è stato dato vedere.
È questa la vertenza che un territorio, le sue istituzioni, le sue forze politiche, economiche e sociali dovrebbero ingaggiare, una volta per tutte. La sola alternativa è l'agonia, l'inedia, il deserto e la valigia del migrante.
Anche perchè quei piccoli risparmiatori e questo territorio non si chiamano banche: se lo fossero, sarebbero già stati salvati...

1 commento:

  1. BancaEtruria, la “nostra” Banca Mutua e Popolare Aretina, è fallita.

    Operazioni creditizie scriteriate effettuate dai suoi amministratori con la complicità di una classe dirigente incapace di porre un freno, anzi, addirittura, più volte complice di tale atteggiamento, hanno condotto BancaEtruria, insieme a Carife, Banca Marche e Carichieti ad una condizione debitoria irreparabile che ha reso indispensabile un intervento specifico che ha colpito duramente i dipendenti (riduzione dei posti di lavoro, riduzione del salario), i piccoli risparmiatori e le aziende del territorio (molte medio-piccole) che si sono visti azzerare i loro risparmi investiti in azioni e obbligazioni subordinate.

    Ci saranno molte occasioni per entrare più nel dettaglio delle responsabilità – tecniche, politiche, anche penali - della gestione fallimentare del nostro istituto. Oggi a Insieme Possiamo interessa capire quali sono le prospettive per i soggetti più deboli di questa vicenda: dipendenti, piccoli risparmiatori e piccole/medie imprese del territorio.

    Alcuni aspetti ci preoccupano moltissimo. Entriamo nel merito.

    Il cosiddetto decreto salva banche ha come caposaldo l’individuazione di una percentuale, il 17,65 %, di possibilità di recupero dei crediti deteriorati (ca. 1 miliardo e ottocento milioni sugli 8 e mezzo contabilizzati) inseriti in quella che viene chiamata bad bank. Questa cifra è stata anticipata da Banca Intesa, Unicredit, UBI e altre banche che devono rientrare in possesso di questo prestito in 18 mesi.

    Difficile capire come si sia giunti a questa percentuale, il 17,65% appunto, quando medie di mercato attestato le previsioni di recupero degli NPL al 40 / 45 %.

    Pertanto è credibile che la vendita di questi debiti alla cifra indicata (1 miliardo e ottocento milioni di euro, pari al 17,65% del valore) vada ai “soliti noti”, speculatori del mondo della finanza, che in tempi rapidissimi vedranno lievitare i propri investimenti recuperando cifre ben più cospicue di quanto pagato, visibilmente sottostimato.

    La soluzione può essere solo politica.

    La bad bank deve rimanere dentro il circuito delle quattro banche interessate e deve garantire maggiori entrate. È credibile portare al 30% il recupero dei debiti deteriorati. Così facendo si può creare un fondo (700/800 milioni di euro) che potrebbe permettere la restituzione del capitale delle obbligazioni subordinate in mano a piccoli risparmiatori, pensionati e piccole/medie imprese (le cosiddette obbligazioni retail).

    Insieme Possiamo indica quella che considera la strada maestra:

    * la politica deve fare la sua parte emendando il decreto;
    * la speculazione va fermata impedendo la vendita dei debiti con una valutazione sottostimata;
    * la giustizia deve verificare le responsabilità individuali e collettive della mala-gestione e della mancata sorveglianza da parte degli organi di controllo, nonché della cattiva politica locale che si è servita della banca per i propri affari;
    * le risorse in mano alle famiglie, ai pensionati, alle piccole/medie imprese abitanti un territorio già fortemente colpito da una crisi di sistema, devono essere recuperate.
    Insieme Possiamo si stringe insieme ai soggetti più deboli e invita il governo, una volta tanto, a fare la sua parte.

    INSIEME POSSIAMO-LAVORO DIRITTI BENI COMUNI

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