La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 10 dicembre 2015

A proposito dei dati Istat sull’occupazione

Intervista a Marta Fana di Davide Gallo Lassere
Sono appena usciti i dati dell’indagine mensile dell’Istat. Che cosa ci dicono del mondo del lavoro italiano?
"Il mercato del lavoro italiano, arrivato a fronteggiare la crisi con evidenti problemi strutturali, è oggi in condizioni ben peggiori rispetto al 2008. Nel 2015, mentre a reti unificate si dava per scontata una crescita ormai consolidata, la realtà ci restituiva un’economia che appena galleggiava grazie gli shock esterni e un mercato del lavoro sempre più precario. Le ultime riforme del mercato del lavoro non solo risultano ad oggi inefficaci, ma sono addirittura controproducenti sia in termini qualitativi sia quantitativi. A fine ottobre 2015, il numero di occupati a tempo indeterminato, rispetto al momento di entrata in vigore del Jobs Act, è diminuito di 18 mila unità. I dipendenti a termine sono invece aumentati di oltre 170 mila occupati.
I giovani rimangono ai margini del mercato, dovendosi accontentare di forme sempre più aggressive di precarietà, come ad esempio i voucher o i contratti di brevissima durata. Ad aggravare la situazione – che senza un cambio di rotta produrrà effetti disastrosi sul piano strutturale – c’è la dinamica delle retribuzioni e salari, spinti verso il basso da un rapporto di forza sempre più sbilanciato a favore dei datori di lavoro. Lo stesso sta accadendo anche nei confronti del welfare lavoristico: l’introduzione del contratto a tutele crescenti non è che una monetizzazione dei diritti, che prende la forma di una mancia, mentre ai datori di lavoro viene corrisposto il più generoso sgravio sui contributi previdenziali. Per completare il quadro è necessario considerare la variazione di quanti non cercano più lavoro, gli inattivi, i veri protagonisti della dinamica del tasso di disoccupazione."
Si può parlare, a tuo avviso, di un uso politico della statistica da parte delle classi dirigenziali?
"L’uso politico dei dati statistici è piuttosto normale da parte del governo e in generale della politica, ma oggi con il regime renziano si è passata la misura. Quotidianamente i dati non solo vengono interpretati male, ma vengono addirittura stravolti. Al governo e ai suoi “tecnici” di corte manca ogni barlume di onestà intellettuale, che spesso sfocia in una vera e propria ignoranza delle dinamiche economiche in atto, che di conseguenza palesa la loro totale inadeguatezza. Ma al di là dell’infelice spettacolo a cui assistiamo negli ultimi tempi, l’interpretazione politica di per sé non è necessariamente un problema: ad esempio, se oggi il debito è alto perché si è investito in infrastrutture, in asili, in innovazione, allora è possibile invocarne il lato positivo. Domani questi investimenti che sono produttivi aiuteranno realmente la crescita insieme alla produttività, e magari anche a ridurre le disuguaglianze materiali e sociali attraverso una contestuale politica redistributiva. Ma se il debito aumenta perché abbiamo dato miliardi di sgravi alle imprese che non investono e abbiamo ridotto le tasse alla parte di popolazione più ricca, mentre un quarto delle famiglie è a rischio povertà e vive se non in disoccupazione con salari da fame, allora non c’è giustificazione che tenga: il debito aumenta perché non si è capito quali siano le leve della crescita e del progresso."
A tuo avviso, qual è l’importanza dei saperi specialistici? Come vedi il tuo ruolo di contro-expertise?
"Più cultura e diffusione dei saperi esistono, meglio è in generale. Nello specifico, da un lato viviamo in un paese dominato dalle rendite di posizione, dall’altro tutti i centri di potere e di informazione, impenetrabili, sono schiacciati sulla propria mediocrità. È il paese in cui pseudo- intellettuali si arrogano la capacità di saper descrivere il mondo e le sue dinamiche, vivendo dentro schemi trapassati ma soprattutto senza aver vissuto le vere trasformazioni derivanti da queste dinamiche. Poi c’è un altro problema, che è quello dell’egemonia culturale. All’interno di questo quadro, è necessario quindi agire quotidianamente, facendo sia emergere le contraddizioni di questo modello egemone, sia divulgando una narrazione della realtà che sia consistente.
Gli spazi non sono molti, ma è uno spazio tutto da colmare, perché nessuna forza politica è attualmente capace, volente o nolente, di viverlo.
La questione della conoscenza è dirimente oggi, sia nella maggioranza che nelle opposizioni. Non possiamo più permetterci di essere superficiali, di ancorare le nostre analisi a proposizioni teoriche fallaci se non velleitarie. La critica dell’esistente deve essere organica e diffusa. La mediocrità della classe dirigente oggi trae la sua forza da questa carenza di preparazione e diffusione dei saperi a tutti i livelli."

Fonte: commonware.org

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