La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

venerdì 11 dicembre 2015

War Street: l’eterna lotta fra il Bene e il Male

di Paolo Ercolani
Quello che Tito Lucrezio Caro (98–55 a.C, circa) scriveva della religione («tantum religio potuit suadere malorum», De rerum natura, I,101), riferendosi al potere che essa possiede di indurre a compiere il male, può essere esteso ad ogni fenomeno ideologico di quell’animale sociale ma anche prevaricatore che è l’uomo. Ciò è vero poiché l’homo ideologicus tende a incorniciare le proprie convinzioni con una filigrana esclusiva, tesa a marcare nettamente il confine tra noi e gli altri, tra il Bene e il Male.
Forse perché in fondo consapevole dell’incertezza irrisolvibile in cui è avvolto, egli sente il bisogno di distinguere con chiarezza lo spazio sacro della propria posizione dallo spazio profano di quella di coloro che sono portatori di altre idee, altre fedi, altre identità.
Si tratta di un meccanismo radicato tanto nel tempo quanto nell’animo dell’uomo, uomo appartenente a qualsiasi ideologia, religione o civiltà.
Già, perché troppo spesso siamo inclini a dimenticare che prima ancora di essere di sinistra o di destra, cristiani o islamici, occidentali o orientali, siamo esseri umani.
E ammesso che esista qualcosa come una natura umana (la questione è dibattuta), è sufficiente aprire qualsiasi libro di Storia per vedere come non vi sia stato secolo e persino decennio in cui essa non abbia mostrato la sua volontà di potenza e prevaricazione.
L’Occidente, intendendo con questa locuzione il Nord-America e l’Europa, da almeno cinque secoli recita un ruolo che lo ha visto prevalere all’interno dell’eterna guerra fratricida fra gli esseri umani.
Secoli di colonialismo e imperialismo, secoli di sfruttamento e schiavizzazione su cui abbiamo costruito il nostro benessere a cui non vogliamo rinunciare.
È curioso, e suscita perfino una certa tenerezza, che soltanto da un paio di decenni (pensiamo al politologo americano Huntington) si sia scoperto un fenomeno costante della Storia umana come lo «scontro delle civiltà».
IL COSTANTE SCONTRO FRA LE CIVILTA’
Sì, perché lo scontro fra le civiltà (come fra le religioni, le grandi ideologie, le grandi potenze) c’è sempre stato, ha rappresentato una costante della lunga vicenda umana, ed accorgersene soltanto quando rischiamo di non essere più «noi» la civiltà dominante, suona quantomeno ipocrita e certamente sterile ai fini di una corretta comprensione.
Per esempio lo scontro fra Oriente ed Occidente, ossia prevalentemente fra Cristianesimo e Islam, è vecchio di 2.500 anni, come fra gli altri documentato dallo storico americano Anthony Pagden, e in questa vicenda lunga e complessa qualsiasi mente fornita di buon senso faticherebbe ad affibbiare con certezza l’etichetta di Bene e di Male ad una delle due fazioni in campo.
Né il passare dalla constatazione della guerra secolare (Storia) alla ricerca dei rispettivi fondamenti teorici (ideologia) aiuta in qualche modo la ridicola ricerca dei torti e delle ragioni.
Sì, perché tanto nel Corano si può leggere che gli infedeli rappresentano un «nemico manifesto», oppure che non si devono avere come alleati ebrei e cristiani (Sura IV,101 e V,51), tanto nella Bibbia si invita il cristiano che individuasse una città in cui si venerano «altri dèi» a «passare a fil di spada» gli abitanti e tutto quanto vi è contenuto, compresi gli animali, in nome del «sacrificio per il Signore tuo Dio» (Deuteronomio XIII, 13,18 e XVII, 12,13).
L’ideologia in genere, insomma, non può che essere vista come il vestito di un essere umano che, da nudo (quindi spoglio da ogni appartenenza religiosa, politica, identitaria), è affetto dall’istinto insopprimibile di fare la guerra ai propri simili.
Una guerra che, appunto, per supporto morale (psicologia individuale, guerra giusta) o per chiamata alle armi propagandistica (psicologia di massa, guerra necessaria o umanitaria), egli sente il bisogno di vestire col vestito buono dell’ideologia volta a giustificare quanto quella guerra sia giusta, opportuna, dovuta. Persino umanitaria, come da recente salto di qualità all’interno della retorica occidentale.
IL DIO DENARO
Ideali politici, di salvezza e redenzione, o anche divinità, costituiscono in tal senso l’autorevole fondamento teorico atto a giustificare azioni che, in realtà, hanno molto di più a che fare con gli interessi economici e di potenza.
Una questione di affari economici e di potenza è stata la sciagurata (e scellerata) guerra mossa da Bush Junior e Blair (motivata con tanto di balle internazionali). Stessa cosa per l’Isis, il cui scopo primario è quello di cacciare via l’Occidente dalle proprie terre, controllare le enormi ricchezze petrolifere e ricostituire un Impero islamico in grado di tenere testa alle mire espansionistiche di Stati Uniti e compagnia belligerante.
Soltanto indagando la ragione più strutturale e potente del mondo (economia & politica di potenza spa), infatti, e non certo le pretestuose e fittizie distinzioni ideologiche e religiose, si può comprendere il ginepraio di questi giorni. Riassumibile, semplificando, in questi termini:
la Russia non è un paese islamico. Entra in conflitto con la Turchia, paese islamico. La Nato si schiera con la seconda. La Russia combatte l’Isis, mentre la Turchia fa la guerra agli oppositori dell’Isis. La Russia difende Assad (che per carità non è un santo), mentre la Nato arma e appoggia (in complicità con l’Arabia Saudita) gli oppositori di Assad fra cui militano sunniti fondamentalisti, talebani ed esponenti dello stesso Isis.
Eppure a prevalere è sempre il gioco dissimulante della retorica: quello per cui le balle internazionali sulle armi di distruzioni di massa per attaccare Iraq e Afghanistan non furono messe in discussione (coi morti che ne seguirono da entrambe le parti), mentre il particolareggiato dossier della Russia contro Erdogan e i tanti finanziatori occidentali dell’Isis deve essere preso con le molle.
Nella nostra epoca globalizzata, a governare le sorti del mondo è un unico Dio, per giunta cattivo. Porta il nome di Denaro e ha come sacerdoti i governanti e leader delle rispettive fazioni (tanto l’Occidente quanto Isis e monarchie petrolifere arabe), e come dogmi quelli di una teologia economica che riduce l’essere umano a strumento per il raggiungimento di fini non suoi. Che anzi spesso lo vedono cadere vittima di quegli interessi superiori.
Come le troppe popolazioni arabe bombardate dai nostri caccia, e recentemente anche i nostri cittadini che cadono vittime di attentati sanguinosi e infami ad opera di chi sostiene di combattere l’Occidente quando in realtà ne rappresenta una diabolica creatura.
L’eterna lotta fra il Bene e il Male, anche volendo impostarla in questi termini tanto schematici e riduttivi, non avviene (e quindi non è comprensibile) in termini di divisione tra oriente ed occidente, tra cristiani e islamici, fra persone tolleranti e fondamentalisti.
Bensì fra gli apologeti detentori del potere e della ricchezza finanziaria e i cittadini inermi che vengono ridotti a strumento per gli interessi dei sacerdoti del dio Denaro.
Ed è superfluo aggiungere che queste due categorie si trovano entrambe all’interno di «noi» cristiani e di «loro» musulmani.
Prima lo capiamo, prima cominciamo a ragionare e a cercare soluzioni su queste basi, e prima usciremo dalla morsa della favola cattiva fra il Bene e il Male.
Che risaputamente non fa vincere nessuno, se non chi quella favola l’ha ideata e imposta.

Fonte: il manifesto 

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