La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 12 dicembre 2015

Sinistra Italiana, nasce il nuovo partito

di Simone Oggionni
È possibile che, con un mondo sull'orlo di una crisi di civiltà, seduto sulla polveriera di guerre già combattute e di nuove guerre possibili, con un'Europa che sta implodendo, curva sulla propria decadenza, la Sinistra italiana parli ancora di se stessa, girando e rigirando alla ricerca di un'identità, di un progetto, di un'anima perduta?
Sì, se la ricostruzione di una cultura e di una organizzazione finalmente senza errori è la precondizione per agire nel mondo, trovando parole sensate e la forza per farle strumento di azione e di cambiamento. Del resto, sono proprio le caratteristiche di questo caos e di questa crisi a dirci qualcosa su quel che dobbiamo fare e su ciò che non dobbiamo essere. Si pensi alla scelta dei socialisti francesi di ritirare i propri candidati per frenare l'avanzata del Fronte Nazionale.
È una scelta paradigmatica della sconfitta del socialismo europeo, non soltanto di quello francese. Dopo avere abbandonato le periferie, assistito silenti e colpevoli al moltiplicarsi della paura e della rabbia nel profondo della società francese, dopo avere abbracciato mortalmente le politiche d'austerità, scegliendo di sostenere e non di contrastare l'ordoliberalismo del governo tedesco, i socialisti decidono di abdicare al proprio ruolo, di rinunciare alla politica, lasciando il campo all'originale - la destra repubblicana francese - di cui essi sono diventati nulla più che una copia. Il suicidio perfetto, alla sinistra del quale non nasce quasi niente.
Un suicidio che ci obbliga a ragionare fino in fondo su come contrastare, con strumenti nuovi, le politiche tecno-finanziarie di destra-centro-sinistra e, ovviamente, i populismi, loro pendant e complementare perfetto. Il populismo - si dice - è tante cose e sbaglieremmo ad accomunare Le Pen, Salvini e il Movimento 5 stelle. Vero, non ci sfuggono le differenze. Ma anche falso, perché il paradigma del populismo (il popolo indistinto contro l'èlite, il basso puro contro l'alto corrotto, il capo in dialogo diretto con il popolo, oltre e contro i corpi intermedi, la società, le sue articolazioni) è uno solo ed è nemico mortale della politica e della Sinistra.
Con l'aggravante tutta italiana che qui il governo delle grandi intese che rappresenta il punto di vista delle oligarchie tecno-finanziarie europee ingloba al suo interno elementi di populismo (seppure tenue, o dolce, come suggeriscono Carlo Galli e Michele Prospero). Il rischio che il populismo diventi la grammatica unica del sistema politico italiano, è quindi un rischio concreto, che va battuto non accedendo a questo stesso campo semantico ma costruendo, con la politica, un'alternativa.
La lettera a Repubblica dei nostri Sindaci contiene una riflessione con la quale dobbiamo confrontarci e che ci ricorda che dove è possibile e fino all'ultimo noi dobbiamo tenere aperta la possibilità di dare continuità a esperienze di buon governo locale. Si tratta di esperienze che dobbiamo valorizzare, a maggior ragione dentro una contesa in cui il modello di un Partito della Nazione che affida le città ai manager e ai prefetti può essere sfidato da un protagonismo civico e da un coinvolgimento del campo progressista che ha buone pratiche, volti credibili, oltre a cultura e capacità di governo.
Ciò che invece è sbagliato, in quella lettera, è l'idea di fare valere questo schema e questo modello per un contesto nazionale che è invece completamente cambiato e che segna la fine del centro-sinistra. Non per un pregiudizio astratto ma per un principio di realtà. Il centro-sinistra con il Pd di Matteo Renzi non è (non è più) un terreno praticabile, perché il Jobs Act, la pessima buona scuola, lo stravolgimento della Costituzione indicano, nei contenuti, un quadro semplicemente incompatibile con le ragioni della Sinistra. Del resto, gli stessi confini di questo Pd, da cui esce un pezzo di sinistra e nel quale entra un pezzo della destra, dimostrano l'impossibilità di uno scenario di alleanze.
E noi? Che cosa facciamo? Facciamo, finalmente, quello che con Human Factoravevamo indicato e cominciato a sperimentare. Usciamo, finalmente, dall'attesa. Mettiamo in campo un processo che porti in tempi ragionevoli allafondazione del nuovo partito della Sinistra Italiana. Con una cultura egemonica, irriducibile al minoritarismo di tante esperienze passate, e con la volontà di ricostruire per la prima volta dopo tanto tempo una connessione tra la politica e la società, tra la politica e la cultura, tra la politica e la vita, andando a cercare e a riprendendo per mano gli astenuti, i delusi, i disillusi e anche le ragazze e i ragazzi che in questi anni hanno iniziato a lottare.
Per essere credibili servono però due cose. La prima: abbandonare una logica di relazione pattizia tra pezzi, tra componenti, tra organizzazioni, delegittimando definitivamente un'idea della politica chiusa, stantia, vecchia, che risponde semplicemente a una pretesa di autorappresentazione di gruppi dirigenti o di ex gruppi dirigenti. Abbandonare e delegittimare quindi ogni percorso federativo, confederativo, nel quale il soggetto politico si somma e non si sostituisce alle forme organizzate che oggi esistono.
La seconda: andare diritti e con coraggio verso l'obiettivo, consentendo un'invasione di campo, l'irruzione di un popolo deluso ed emarginato (non per colpa propria) dalla partecipazione e dalla politica, la centralità di nuovi soggetti, nuove pratiche, nuove generazioni, nuovi linguaggi. Dicendo che Sinistra Italiana non è soltanto un gruppo parlamentare unitario, ma molto di più. È un processo da vivere democraticamente, una testa un voto, in cui il Principe siamo noi, collettivamente. Un Principe che pensa, costruisce e affina la propria cultura politica, agisce e decide. Una cosa seria, finalmente.

Fonte: Huffington post 

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