La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 9 settembre 2017

America e guerra: la solita vecchia storia

di Serge Halimi
Agli Stati Uniti ci sono voluti pochi mesi di presidenza di Trump per ritirarsi dall’accordo di Parigi sul clima, imporre nuove sanzioni alla Russia, annullare la normalizzazione delle relazioni diplomatiche con Cuba, annunciare la loro intenzione di ritirarsi dall’accordo nucleare con l’Iran, lanciare avvertimenti al Pakistan, minacciare il Venezuela di intervento militare, e dichiarare di essere pronti a colpire la Corea del Nord con ‘fuoco e furia…che il mondo non ha mai visto prima.’ Le Filippine, l’Arabia Saudita e Israele sono i soli paesi che hanno rapporti migliori con gli Stati Uniti fin dall’arrivo di Trump alla Casa Bianca, il 20 gennaio.
Trump non è solo responsabile di questa accresciuta tensione: i neoconservatori Repubblicani, i Democratici e tutti i media, questa primavera lo hanno applaudito quando hanno ordinato manovre militari in Asia e il lancio di 59 missili verso una base aerea in Siria (1). Contemporaneamente, gli è stato impedito di agire quando ha toccato il problema di un probabile riavvicinamento a Mosca, ed è stato perfino costretto a dare il consenso a nuove sanzioni degli Stati Uniti contro la Russia.
Il punto di equilibrio della politica estera statunitense in effetti ora viene determinato dalle fobie dei Repubblicani (Iran, Cuba, Venezuela) spesso condivise dai Democratici, e dagli odi Democratici (Russia, Siria) approvati dalla maggior parte dei Repubblicani. Se a Washington esiste un partito della pace, attualmente è ben nascosto.
Tuttavia, il dibattito presidenziale indicava che l’elettorato voleva vedere la fine delle inclinazioni imperialiste degli Stati Uniti (2). Gli argomenti di politica estera inizialmente non erano nel programma della campagna elettorale di Trump, e quando ne parlava era per suggerire un approccio per lo più antitetico a quello dell’establishment di Washington ( i militari, i gruppi di esperti) e a quello suo attuale. Trump ha promesso di subordinare le considerazioni geopolitiche agli interessi economici degli Stati Uniti, parlando sia ai sostenitori del nazionalismo economico (‘L’America prima di tutto’) – ci sono molti stati che hanno subito una devastazione economica – che a coloro convinti che fosse ora del realismo dopo tanti anni di guerra continua che aveva portato alla stagnazione e al caos diffuso, in Afghanistan, Iraq e Libia. ‘Saremmo stati più benestanti se non avessimo guardato il Medio Oriente negli scorsi 15 anni,’ ha detto Trump nell’aprile 2016 (3), condannando la ‘arroganza’ degli Stati Uniti che ha causato ‘una serie di disastri’ e che è costata ‘migliaia di vite americane e molti trilioni di dollari.’
Questa diagnosi, inaspettata da parte di candidato Repubblicano, combaciava perfettamente con l’opinione dell’ala più progressista del Partito Democratico. Peggy Noonan che aveva scritto alcuni dei discorsi più notevoli di Ronald Reagan e del sui successore George H.W. Bush, ha detto la stessa cosa durante la campagna presidenziale: “Si è collocato a sinistra di Hillary Clinton riguardo alla politica estera – Hillary è interventista, troppo impaziente di vedere affermazioni della potenza militare statunitense e fa errori di valutazione. Questa sarà la prima volta nella storia moderna che un candidato presidenziale americano è alla sinistra di quello Democratico, e questo renderà interessanti le cose” (4).
“Siate pronti a camminare”
E le cose sono interessanti, anche se non proprio come ha previsto la Noonan. Mentre la sinistra ritiene che la pace venga da relazioni più chiare tra i paesi invece che dall’intimidazione, Trump. Che è del tutto indifferente all’opinione pubblica globale, agisce come un commerciante di cavalli che cerca l’affare migliore per se stesso e per i suoi elettori, noncurante delle conseguenze in altri luoghi. Per Trump, quindi, il problema delle alleanze militari non è tanto quello che queste rischiano di amplificare i conflitti invece che scoraggiarli, ma piuttosto che costano troppo al contribuente americano; come conseguenza di pagare i conti, gli Stati Uniti stanno diventando una ‘nazione del terzo mondo’. “La NATO è obsoleta,” ha detto Trump ai suoi sostenitori nell’aprile 2016. “Difendiamo il Giappone, difendiamo la Germania e ci pagano soltanto una piccola parte. L’Arabia Saudita non esisterebbe se non fosse che la difendiamo. Se la abbandonassimo, cadrebbe. Bisogna essere pronti a camminare da soli. Se non si è in grado di farlo, non si fanno buoni accordi.”
Trump sta cercando un buon accordo dalla Russia. Un nuovo partenariato avrebbe ribaltato le relazioni tra le potenze, oramai in via di deterioramento, incoraggiandole ad allearsi contro l’ISIS, e riconoscendo l’importanza dell’Ucraina per la sicurezza della Russia. L’attuale paranoia degli Stati Uniti riguardo a ogni cosa collegata al Cremlino, ha incoraggiato l’amnesia circa quello che aveva detto Barack Obama nel 2016, dopo l’annessione della Crimea e l’intervento diretto della Russia in Siria. Anche Obama ha prospettato il pericolo posto dal Presidente Vladimir Putin: Obama ha detto che gli interventi in Ucraina e in Medio Oriente erano improvvisati ‘come replica a uno stato cliente che stava per scivolargli dalla presa” (5).
Obama ha continuato: “I Russi non possono cambiarci o indebolirci molto. Sono un paese più piccolo, sono un paese più debole, la loro economia non produce nulla che nessuno voglia comprare, tranne petrolio, gas e armi.” Ciò che temeva di più riguardo a Putin era la simpatia che ispirava in Trump e nei suoi sostenitori; “Il 37% degli elettori Repubblicani approvano Putin che è l’ex capo del KGB (la polizia segreta sovietica, n.d.t.). Ronald Reagan si rivolterebbe nella tomba” (6).
Nel gennaio del 2017 il riposo eterno di Reagan non era più minacciato. ‘I presidenti vanno e vengono, ma la politica non cambia mai’, ha concluso Putin (7). Gli storici studieranno questo periodo quando c’era una convergenza degli obiettivi delle agenzie di intelligence degli Stati Uniti, dei leader dell’ala di Hillary Clinton del Partito Democratico, la maggioranza dei politici Repubblicani e i media contrari a Trump. L’obiettivo comune era di fermare qualsiasi accodo tra Mosca e Washington.
Ogni gruppo aveva il suo proprio motivo. La comunità dell’intelligence e degli elementi del Pentagono temevano che un riavvicinamento tra Trump e Putin li avrebbe privati di un nemico ‘decente’ dopo che il potere militare dell’ISIS fosse stato distrutto. Il gruppo della Clinton era entusiasta di imputare una sconfitta inaspettata a una causa diversa dalla candidata e dalla sua campagna elettorale inadeguata: il presunto hackeraggio di Mosca delle email del Partito democratico era adatto allo scopo. Inoltre i neoconservatori che ‘promuovevano la guerra in Iraq, che detestano Putin e che considerano non negoziabile la sicurezza di Israele” (8), odiavano gli istinti neo-isolazionisti di Trump.
I media, specialmente il New York Times e il Washington Post, cercavano ansiosamente un nuovo scandalo Watergate e sapevano che i loro lettori odiano Trump per la sua volgarità, l’affetto per l’estrema destra, la violenza e la mancanza di cultura (9). Cercavano quindi qualsiasi informazione o chiacchera che potesse provocare il suo allontanamento o costringerlo a dimettersi. Come nel giallo di Agata Christie, Murder on the Orient Express (Assassinio sull’Orient Express), ognuno aveva il suo particolare motivo di colpire la medesima vittima.
La vicenda si è evoluta rapidamente, dato che queste quattro aree hanno confini alquanto porosi. L’intesa tra i “falchi” Repubblicani come John McCain, presidente della Commissione del Senato per i servizi armati, e il complesso militare-industriale, era un dato di fatto. Agli architetti delle recenti avventure imperialiste, specialmente in Iraq, non era piaciuta la campagna elettorale del 2016 o la derisione di Trump della loro competenza. Durante la campagna, circa 50 intellettuali e funzionari hanno annunciato che, malgrado siano Repubblicani, non avrebbero appoggiato Trump perché “avrebbe messo a rischio la sicurezza nazionale e il benessere del nostro paese.” Alcuni si sono spinti al punto di votare per la Clinton (10).
Ambizioni di uno “stato profondo”?
La stampa temeva che l’incompetenza di Trump avrebbe minacciato l’ordine internazionale dominato dagli Stati Uniti. Non aveva nessun problema con le crociate militari, specialmente quando erano abbellite con grandiosi principi umanitari, internazionalisti o progressisti. In base ai criteri della stampa, Putin e la sua predilezione per i nazionalisti di destra, erano gli ovvii colpevoli. Lo erano, però, anche l’Arabia Saudita o Israele, anche se questo non impediva che ai Sauditi di essere in grado di contare sul Wall Street Journal, ferocemente anti-russo, o su Israele che gode dell’appoggio di quasi tutti i media statunitensi, malgrado abbia un elemento di estrema destra nel suo governo.
Proprio una settimana prima che Trump si insediasse in carica, il giornalista Glenn Greenwald, che aveva diffuso la storia che Edward Snowden aveva rivelato alcuni i programmi di sorveglianza di massa gestiti dalla Agenzia per la Sicurezza Nazionale, avvisò del senso di marcia. Osservò che i media statunitensi erano diventati lo strumento più prezioso dei servizi segreti, la maggior parte dei quali di riflesso ammira, serve, crede e sta dalla parte dei funzionari dell’intelligence nascosta.” Questo accadeva in un periodo in cui i “Democratici, ancora sbigottiti per la loro inaspettata e traumatica sconfitta elettorale e anche per il collasso sistematico del loro partito, in apparenza si separavano sempre di più dalla ragione ogni giorno che passava, sono disposti, entusiasti di sostenere qualsiasi dichiarazione, di esultare per qualsiasi tattica, di allinearsi con qualsiasi infame, indipendentemente da come quei comportamenti possano essere non dimostrati, di scarso valore e dannosi” (11).
La coalizione anti-russa allora non aveva raggiunto tutti i suoi obiettivi, ma Greenwald già percepito le ambizioni di uno “stato profondo” . “A questo punto c’è proprio,” ha detto, “da una parte un’ovvia guerra aperta tra questa fazione non eletta ma molto potente che risiede a Washington e che vede i presidenti andare e venire, e, dall’altra la persona che la democrazia americana ha eletto per essere presidente.” Un sospetto, alimentato dai servizi segreti, ha galvanizzato tutti i nemici di Trump: Mosca aveva segreti compromettenti riguardo a Trump – finanziari, elettorali, sessuali, in grado di paralizzarlo nel caso dovesse esserci una crisi tra i due paesi (12).
Opposizione segreta a Trump
Il sospetto di un tale torbido accordo, riassunto dall’economista Paul Krugmann, favorevole a Clinton, come “un ticket Trump-Putin”, ha trasformato l’attività anti-russa in un’arma politica interna contro un presidente sempre più odiato al di fuori del blocco ultraconservatore. Non è più insolito sentire degli attivisti di sinistra trasformarsi in difensori dell’FFB o della CIA, dato che queste agenzie sono diventate la sede di un’opposizione segreta a Trump e la fonte di molte fughe di notizie.
Questo è il motivo per cui l’attacco informatico ai dati del Comitato Nazionale del Partito Democratico che i servizi di intelligence statunitensi presumono sia opera dei Russi, ossessiona il partito e la stampa. Raggiunge due obiettivi: delegittimare l’elezione di Trump e fermare la sua promozione di un disgelo con la Russia. La reazione addolorata di Washington all’interferenza di una potenza straniera negli affari interni di uno stato e nelle sue elezioni, non ha colpito nessuno come una cosa strana? Perché soltanto una manciata di persone fa notare che non molto tempo fa il telefono di Angela Merkel era stato intercettato non dal Cremlino, ma dall’amministrazione Obama?
Il silenzio è stato rotto una volta quando il rappresentante della Carolina del Nord, Tom Tillis, in gennaio ha contestato l’ex direttore della CIA, James Clapper: “Gli Stati Uniti sono stati coinvolti in un modo o nell’altro in 81 elezioni diverse fin dalla II Guerra Mondiale. Questo non include i colpi di stato o i cambiamenti di regime, qualche prova tangibile dove abbiamo cercato di influire su un risultato utile al nostro scopo. La Russia lo ha fatto circa 36 volte.” Questa prospettiva raramente disturba gli attacchi del New York Times contro i raggiri di Mosca.
Il Times ha anche mancato di informare i lettori più giovani che il presidente della Russia, Boris Yeltsin che nel 1999 ha scelto Putin come suo successore, era stato rieletto nel 1996 anche se era gravemente ammalato e spesso ubriaco, con un’elezione fraudolenta svoltasi con l’assistenza di consiglieri statunitensi e l’appoggio dichiarato del Presidente Bill Clinton. Il Times ha accolto il risultato come una “vittoria per la democrazia russa” e ha dichiarato che “ ieri le forze della democrazia e della riforma hanno ottenuto una vittoria fondamentale ma non definitiva in Russia…Per la prima volta nella storia, una Russia libera ha liberamente scelto il suo leader.”
Ora il Times è all’avanguardia di coloro che si preparano psicologicamente per il conflitto con la Russia. Non rimane più quasi nessuna opposizione alla sua linea. A destra, quando il 3 agosto, il Wall Street Journal ha chiesto che gli Stati Uniti armino l’Ucraina, il Vice Presidente Mike Pence, durante una visita in Estonia, ha parlato dello “spettro di un’aggressione [russa], ha incoraggiato la Georgia a entrare nella NATO e ha reso omaggio al Montenegro, il più recente membro della NATO.
Non farà più a modo suo
Il Times, però, lungi dal preoccuparsi di questi gesti provocatori che coincidono con le accresciute tensioni tra le grandi potenze (sanzioni commerciali contro la Russia, espulsione da parte di Mosca di diplomatici statunitensi), versava benzina sul fuoco.
Il 2 agosto ha lodato la riaffermazione “dell’impegno dell’America per difendere le nazioni democratiche da quei paesi che li indebolirebbero’ e si rammaricava che le idee di Mike Pence non sono accolte così entusiasticamente e onorate dall’uomo per cui lavora alla Casa Bianca.” In questa fase non importa più che cosa pensa Trump. Non è più in grado di fare a modo suo riguardo a questo problema. Mosca lo ha notato e sta traendo le sue conclusioni.
Questo mese le manovre militari russe di portata senza precedenti fin dalla caduta del Muro di Berlino, mobiliteranno fino a 100.000 militari vicino all’Ucraina e agli stati baltici. Questo ha già fornito al Times il materiale per una prima pagina che ricordava la campagna di terrore del 2002-2003 contro le “armi di distruzione di massa” dell’Iraq. Il Times citava un colonnello statunitense: “Sappiamo chi è la minaccia ogni mattina che ci alziamo.” Il Times ha fornito un resoconto sull’arsenale della Russia, tanto più allarmante data la loro tendenza al “sotterfugio, agli attacchi informatici e alla guerra dell’informazione.” Citava un convoglio della NATO in viaggio dalla Germania alla Bulgaria che permetteva ai bambini “di arrampicarsi su veicoli da combattimento Stryker.” La parte migliore di questo giornalismo “embedded”* è stata quando il Times descriveva la località delle esercitazioni russe condotte sul territorio russo e in Bielorussia, come “intorno alla periferia della NATO”.
Qualsiasi sforzo per fare la pace da parte della Francia e della Germania sarebbe quindi trattato come riconciliazione da parte di un establishment neoconservatore che ha riguadagnato il controllo a Washington e sarebbe attaccato da quasi tutti i media statunitensi. E’ arrivato al punto in cui, vedendo il brusco calo della popolarità del presidente Emmanuel Macron, il Times si è inventato una falsa spiegazione che rifletteva la sua ossessione: ‘L’accoglienza sfavillante del Signor Macron ai presidenti americano e russo, Donald J Trump e Vladimir V Putin, entrambi non graditi in Francia, specialmente a sinistra, non è stata di aiuto” (13).
Gli stati europei possono fermare questo apparato da guerra, e vogliono farlo? La crisi coreana avrebbe dovuto ricordare loro che gli Stati Uniti non sono molto preoccupati di causare danni lontano dalla patria. Il 1° agosto, il senatore Repubblicano Lindsey Graham, ha tentato di dare credibilità alla minaccia nucleare di Trump alla Corea del Nord, dicendo: “Se moriranno migliaia di persone laggiù, non moriranno qui.” Graham ha insistito che Trump condivideva la sua opinione: “Me lo ha detto in faccia.”


*http://www.garzantilinguistica.it/ricerca/?q=embedded

Note

(1) Vedere Michael T Klare, ‘Trump the hawk ’, Le Monde diplomatique, English edition, Maggio 2017.

(2) Vedere Benoît Bréville, ‘What US foreign policy?’, Le Monde diplomatique, English edition, Maggio 2016.

(3) Donald Trump, ‘Today’, NBC, 21 April 2016.

(4) Peggy Noonan, ‘Simple patriotism trumps ideology’, The Wall Street Journal, New York, 28 Aprile 2016.

(5) ‘The Obama Doctrine’, intervista con Jeffrey Goldberg, The Atlantic, Boston, Aprile 2016.

(6) Conferenza stampa, 16 Dicembre 2016.

(7) Le Figaro, Parigi, 31 Maggio 2017.

(8) Michael Crowley, ‘GOP hawks declare war on Trump’, Politico, Arlington, 3 Marzo 2016.

(9) Vedere Serge Halimi, ‘Trump, the know-nothing victor’, Le Monde diplomatique, English edition, Dicembre 2016.

(10) ‘Statement by former national security officials’, www.globalsecurity.org/.

(11) Fox News, 12 Gennaio 2017. The day before, Greenwald had set out his thoughts in ‘The deep state goes to war with president-elect, using unverified claims, as Democrats cheer’, The Intercept, 11 Gennaio 2017.

(12) Vedere Serge Halimi, ‘All Russian puppets?’ and ‘The deep state’, Le Monde diplomatique, English edition, Gennaio e Maggio 2017.

(13) Adam Nossiter, ‘Macron’s honeymoon comes to a halt’, The New York Times, 7 Agosto 2017.

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
Originale: Le Monde Diplomatique
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2017 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.