La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 9 settembre 2017

Lavoratori di tutto il mondo. Intervista a Beverly Silver

Intervista a Beverly Silver di Ricardo Jacobs 
Negli ultimi decenni c’è stata una ristrutturazione profonda della classe lavoratrice negli Stati Uniti e negli altri paesi a capitalismo avanzato. Qual è l’immagine a grandi linee di questo processo di ristrutturazione? Quali sono le forze che lo guidano?
Il capitalismo trasforma continuamente l’organizzazione della produzione e gli equilibri di forza tra capitale e lavoro, ristruttura la classe lavoratrice, la ricostruisce. Quindi, per rispondere alla domanda, penso che dobbiamo adottare una visione di lungo termine.
Ha senso andare fino alla metà del ventesimo secolo, dagli anni ‘30 agli anni ‘50, quando per la prima volta è emersa negli USA una classe operaia della produzione di massa molto forte, principalmente nel settore auto ma anche in settori come quello minerario, i trasporti e l’energia, settori centrali per l’industrializzazione e il commercio.
Appena dopo la Seconda Guerra Mondiale, il capitale ha cominciato a ristrutturare, riconfigurare l’organizzazione della produzione, il processo del lavoro, le fonti di manodopera e il posizionamento geografico della produzione. Questa ristrutturazione è stata in larga parte una risposta ai movimenti dei lavoratori nella manifattura, nelle miniere, nella logistica e nei trasporti.
Per capire questa ristrutturazione, è utile espandere il concetto di “soluzione geografica” di David Harvey. Il capitale ha provato a risolvere il problema della forza dei lavoratori, e la minaccia ai profitti avanzata da essi, con una serie di “soluzioni”.
Le imprese hanno usato una serie di soluzioni geografiche spostandosi verso luoghi con minori salari. Hanno attuato delle “soluzioni tecnologiche” riducendo la loro dipendenza dai lavoratori accelerando l’automazione. E hanno attuato quella che possiamo pensare come la “soluzione finanziaria”, muovere il capitale fuori dal commercio e dalla produzione, muoverlo nel campo della finanza e della speculazione come un ulteriore mezzo per ridurre la dipendenza dei profitti dalla classe operaia strutturata dalla produzione di massa.
L’inizio dello spostamento del capitale verso la finanza e la speculazione è stato visibile fin dagli anni ‘70, ma è esploso dopo la metà degli anni ‘90, dopo l’abolizione della legge Glass-Steagall [che separava le banche di risparmio da quelle di speculazione, NdT] da parte dell’amministrazione Clinton.
Quindi, quello che sembrava un collasso improvviso del potere del lavoro organizzato negli Stati Uniti tra gli anni ‘80 e ‘90, in realtà ha le sue radici in decenni di ristrutturazione su questi fronti, iniziata a metà del secolo.
Ovviamente, è importante sottolineare che c’è un altro lato della medaglia. Queste soluzioni capitaliste hanno smontato la classe operaia della produzione di massa, ma hanno simultaneamente costruito nuove classi operaie negli USA e altrove. Queste nuovi classi operaie sono oggi i protagonisti emergenti delle lotte dei lavoratori in molte parti del mondo.
Non è un segreto che le forme tradizionali di organizzazione della classe operaia, come i sindacati negli USA e i partiti socialdemocratici in Europa, sono in grave crisi. Come ha fatto il capitale a indebolire e addomesticare queste espressioni degli interessi della classe operaia?
Se guardiamo ai massimi storici di militanza operaia - specialmente quelli in cui erano coinvolti movimenti di sinistra, partiti socialisti ed operai – appare chiaro un insieme di strategie per indebolire il potenziale radicale di questi movimenti. Si può riassumere così: ristrutturazione, cooptazione e repressione.
I tipi di ristrutturazione o soluzione menzionati sopra - geografica, tecnologica o finanziaria - hanno certamente giocato un ruolo nell’indebolire questi movimenti. Nel frattempo, la cooptazione dei sindacati e dei partiti dei lavoratori - la loro incorporazione come partner minori nei progetti egemonici nazionali e nei patti sociali - hanno giocato a loro volta un ruolo importante. Infine, la repressione è sempre stata una parte importante della ricetta.
Prendendo gli USA come esempio, nel secondo dopoguerra abbiamo visto il maccartismo e l’espulsione della sinistra e dei militanti comunisti dai sindacati. Poi, tra gli anni ‘60 e anni ‘70, i forti movimenti dei lavoratori neri radicati nelle fabbriche e nelle comunità - il Partito delle Pantere Nere e Movimento del Sindacato Rivoluzionario di Dodge - sono stati riportati sotto controllo con la pura e semplice repressione.
Oggi, con la militarizzazione delle forze di polizia e l’infinita “guerra al terrore” - che creano un clima ostile alla mobilitazione dei lavoratori neri e immigrati - la coercizione continua ad avere un ruolo di primo piano.
Uno dei maggiori dibattiti oggi è se la dinamica che definisce la forma della classe operaia globale sia lo sfruttamento - lavoratori spremuti sul luogo di lavoro - o l’esclusione - lavoratori di fatto esclusi dal lavoro salariato stabile. Cosa pensi di questo dibattito?
Li vedo ugualmente importanti. Sarebbe un errore ignorare la persistente importanza delle lotte contro lo sfruttamento sul luogo di lavoro. Infatti, uno dei risultati della strategia di soluzione geografica è stata la creazione di nuovi classi operaie e di nuove contraddizioni lavoro-capitale ovunque vada il capitale.
In altre parole, la resistenza operaia allo sfruttamento sul luogo di lavoro ha seguito il movimento del capitale attraverso il globo nella scorsa metà di secolo. Infatti, osserviamo le ultime manifestazioni di questa dinamica con la massiccia ondata di agitazioni operaie che accade ora in Cina.
Una volta che le imprese hanno compreso che semplicemente spostare le fabbriche in luoghi a basso salario non avrebbe risolto il problema del controllo sul lavoro, il capitale ha cominciato a fare più affidamento su automazione e finanziarizzazione. L’automazione, per quanto non sia una novità, recentemente ha espulso rapidamente lavoratori salariati dalla produzione, aumentando la visibilità della dinamica di esclusione. Un esempio lampante è l’attuazione da parte della FoxConn delle minacce di introduzione di un enorme numero di robot nelle sue fabbriche cinesi.
Realisticamente, il movimento del surplus di capitale nella finanza e nella speculazione dà anche un importante contributo alla crescente esclusione. La finanza - specialmente le attività finanziarie non direttamente legate al commercio e alla produzione - assorbe poco lavoro salariato; più importante, trae profitti principalmente dalla redistribuzione regressiva della ricchezza attraverso la speculazione, piuttosto che con la creazione di nuova ricchezza. Da qui, il collegamento che Occupy Wall Street ha trovato tra i livelli di disuguaglianza di classe e di finanziarizzazione.
Automazione e finanziarizzazione guidano un’accelerazione nella tendenza di lungo termine del capitalismo a distruggere le condizioni di vita già esistenti a una velocità molto più alta di quanto ne crei di nuove. Questa è sempre stata la tendenza predominante del capitalismo storico in gran parte del Sud Globale, dove la dispossession ha teso a essere più importante dell’assorbimento di lavoro salariato, quindi vi erano sempre più lavoratori che non avevano altro da vendere se non la propria forza lavoro, ma con scarse possibilità di venderla.
Questa tendenza non è nulla di nuovo, sia la sua accelerazione sia il fatto che i suoi effetti si sentano anche nei paesi centrali - non solo nel terzo mondo - aiuta a spiegare come mai l’esclusione sia in primo piano negli attuali dibattiti.
Per inquadrare diversamente la domanda, ha senso pensare a esclusione e sfruttamento come fenomeni separati?
Marx di sicuro non li vedeva come fenomeni separati. Nel libro primo del Capitale, ha sostenuto che l’accumulazione di capitale vada di pari passo con l'accumulazione di un surplus di popolazione, che la ricchezza viene creata attraverso lo sfruttamento ma contemporaneamente grossi settori di classe operaia vengono esclusi i resi superflui per i bisogni del capitale.
Per la gran parte del ventesimo secolo, c’è stata una distribuzione geografica ineguale nei termini di percezione del processo di esclusione. Infatti, fino a poco tempo fa uno dei mezzi per mantenere la legittimazione da parte del capitale nei paesi centrali è stato spingere il peso dell'esclusione sul terzo mondo e sui settori marginalizzati della classe operaia dei paesi centrali.
La classe operaia mondiale è stata divisa con confini definiti da cittadinanza, razza, etnia e genere. Questi confini continuano a essere piuttosto importanti. In particolare dopo la crisi del 2008, il peso del processo di esclusione è stato sentito nei paesi del centro più che in passato, con tutte le possibili implicazioni politiche.
Nel tuo lavoro hai ragionato molto sul potere dei lavoratori e della classe lavoratrice. Fai una distinzione tra diverse forme di potere dei lavoratori. Puoi dirci qualcosa in più?
Si, una delle distinzioni principali è tra potere strutturale e potere di associazione. Il potere di associazioneè la capacità di ottenere avanzamenti attraverso l'organizzazione sindacale e politica. Il potere strutturale è quello che deriva dalla posizione strategica dei lavoratori nel processo di produzione, un potere che può essere - e spesso è stato - esercitato in mancanza dell’organizzazione sindacale.
Perché sono utili queste distinzioni?
Facciamo un esempio sul potere strutturale. Ci sono due tipi principali di potere strutturale: potere di contrattazione sul luogo di lavoro e potete di contrattazione sul mercato.
Di solito, per comprendere il potere dei laboratori in senso ampio, si guarda al potere di contrattazione sul mercato. Con disoccupazione alta, questo potere si riduce, e viceversa.
Il potere di contrattazione sul luogo di lavoro - l’abilità di interrompere processi di produzione interconnessi grazie a scioperi localizzati - riceve meno enfasi ma è forse ancora più importante per capire le odierne fonti di potere dei lavoratori.
Questo perché, se si guarda alle tendenze storiche di lungo termine, il potere dei lavoratori sul posto di lavoro è, innegabilmente, in crescita. Questo sorprende la gente, ma questo aumentato potere di contrattazione sul luogo di lavoro diventa palese con la produzione just-in-time nella manifattura. A differenza dei metodi tradizionali di produzione di massa, non ci sono buffer o surplus nel processo di produzione.
Quindi, con la diffusione della produzione just-in-time nell’industria dell’automobile, per esempio, un numero relativamente piccolo di lavoratori, fermando la produzione in nodi strategici - anche, per esempio, nella fornitura di tergicristalli - può fermare l’intera produzione. Ci sono molti esempi recenti di questo nell’industria dell’automobile in giro per il mondo.
Similmente, i lavoratori nella logistica - trasporti e comunicazione - hanno un significativo e crescente potere di contrattazione sul luogo di lavoro legato agli effetti economici a cascata delle interruzioni in questi settori. Inoltre, nonostante la tendenza quasi universale a pensare al processo di globalizzazione come indebolimento del lavoro, la potenziale scala geografica dell’impatto di questi scioperi si è ampliata con la globalizzazione.
E sul potere di associazione? Se i lavoratori non hanno sindacati o partito dei lavoratori, questo non mina il loro potere di contrattazione strutturale?
Non necessariamente. Pensiamo alla Cina. I sindacati autonomi sono illegali, ma ci sono stati recentemente importanti miglioramenti sul salario minimo legale, sulla legislazione del lavoro, sulle condizioni di lavoro. Questi cambiamenti vengono da un movimento di base basato sul potere strutturale dei lavoratori, sia sul mercato sia, ancora più importante, sul luogo di lavoro.
Penso che dobbiamo essere anche onesti sulla posizione strutturale ambigua dei sindacati. Se sono troppo efficaci ed ottengono troppi risultati per la loro base, il capitale diventa estremamente ostile o non vuole avere a che fare con loro e quindi si muove verso una strategia più repressiva.
Il capitale può fare saltuariamente accordi coi sindacati, ma solo se i sindacati sono disposti a un ruolo di mediazione, limitare la militanza operaia e assicurare il controllo sul lavoro. Per poter avere questo ruolo, i sindacati devono dare qualcosa alla loro base, questo ci riporta al primo problema. Alla fin fine la domanda è: quali sono le situazioni in cui questa dinamica contraddittoria tra sindacati e capitalisti gioca a favore dei lavoratori?
Cosa pensi dell’argomento secondo cui le lotte si stanno spostando dal luogo della produzione alle strade o alla comunità?
Questo ci riporta alla questione precedente dell’importanza relativa dello sfruttamento e dell’esclusione nel formare la classe lavoratrice mondiale. Guardandola oggi nel suo insieme, non penso che sia accurato dire che le lotte si stanno spostando in maniera predominante nelle strade, specialmente se parliamo delle lotte che hanno un serio impatto dirompente sull’andamento degli affari.
Le lotte sul luogo della produzione continuano a essere una componente importante dei conflitti operai in giro per il mondo. Al tempo stesso, gli esclusi - i disoccupati e quelli con un debole potere strutturale - non hanno altra scelta che portare la loro voce attraverso le azioni dirette nelle strade piuttosto che le azioni dirette sul luogo di lavoro.
La coesistenza delle lotte sul luogo di lavoro e delle lotte nelle strade è una caratteristica storica del capitalismo, come la coesistenza tra sfruttamento e esclusione. A volte questi due tipi di lotte procedono senza incontrarsi in maniera solidale, specialmente quando, storicamente, la classe operaia è stata divisa - sia dentro i paesi sia tra i paesi - per il grado in cui la loro esperienza è formata primariamente dalle dinamiche di esclusione o dalle dinamiche di sfruttamento.
Se pensiamo alle ondate di mobilitazione operaia di più grande successo, vediamo che hanno combinato la solidarietà implicita o esplicita, entrambe le forme di lotta. Anche l’occupazione della fabbrica di Flint [della General Motors, NdT] e la seguente ondata di scioperi nel ‘36 e nel ‘37 - un movimento fondamentalmente basato sul potere dei lavoratori sul luogo della produzione - è stata potenziata dalle lotte simultanee dei lavoratori disoccupati e la solidarietà della comunità.
Oppure, pensiamo ai recenti movimenti di massa che sono stati visti come interamente nelle strade - come l’Egitto nel 2011. In quel caso, Mubarak è stato costretto ad abdicare quando i lavoratori del Canale di Suez hanno usato il loro potere di contrattazione sul posto di lavoro entrando in sciopero sostenendo il movimento di massa nelle strade. è interessante notare anche che il movimento giovanile del 6 aprile che ha avviato l’occupazione di Piazza Tahrir era stato fondato nel 2008 in sostegno a un grosso sciopero operaio.
Un problema fondamentale per la sinistra odierna - anche questo non è una novità - è capire come combinare il potere di contrattazione sul luogo di lavoro e il potere delle strade, trovare i nodi per connettere disoccupati, esclusi e lavoratori salariati sfruttati. Questo è certamente più facile quando gli esclusi e gli sfruttati fanno parte della stessa famiglia o della stessa comunità.
Negli USA possiamo vedere esempi di questa intersezione nello sciopero dei portuali californiani del 2015 in sostegno delle mobilitazioni di strada di Black Lives Matter, e nella maniera in cui si intersecano le lotte sul posto di lavoro e nella comunità dei lavoratori immigrati.
Negli Stati Uniti oggi sembra che maggiori sforzi siano dedicati all’attivismo e all’organizzazione dei lavoratori coi salari più bassi nel settore dei servizi. Cosa pensi di questo? Dovremmo concentrare le nostre energie su questo? O dovremmo guardare a diversi tipi di lavoratori in settori e industrie diverse?
Non è sbagliato dare grande attenzione a questi lavoratori. Se si vuole migliorare la condizione della maggioranza della popolazione, si deve migliorare la condizione di questi lavoratori.
Penso che parte dello scetticismo su questa questione sia che fino ad ora questa strategia non ha avuto molto successo. Anche qui è utile pensare al potere di contrattazione sul luogo di lavoro. Dentro Walmart [la principale catena di supermercati statunitense, NdT] non ha molto senso colpire il lato della vendita al dettaglio, ha senso colpire il lato della distribuzione.
Lo stesso vale per la ristorazione. Colpendo il lato della distribuzione, puoi sfruttare il potere di contrattazione sul luogo di lavoro. Al contrario, rimane una lotta confinata nelle strade. Questo ci riporta anche alla domanda su come e quando i lavoratori con forte potere di contrattazione sul luogo di lavoro esercitano quel potere in favore di più ampi obiettivi di trasformazione.
Insieme a Giovanni Arrighi hai sostenuto che la traiettoria del movimento operaio negli USA e in altri contesti nazionali è profondamente influenzata dalla relazione coi movimenti più ampi nella politica globale, nelle guerre e nei conflitti internazionali. La forza dei lavoratori negli USA come è stata influenzata dai recenti cambiamenti geopolitici.
Questa è una domanda grande e importante. Penso che il grosso della discussione sui movimenti operai si concentri sul lato economico, ma il lato geopolitico è altrettanto, se non di più, importante per capire le prospettive e le possibilità per gli operai e per i movimenti operai, per il passato e per il futuro.
Quindici anni fa, proprio prima dell’11 Settembre, sembrava di essere alla vigilia di una grande ripresa del conflitto sul lavoro negli USA, con l’epicentro tra i lavoratori immigrati. C’erano stati grossi scioperi. Poi la dinamica è cambiata.
La guerra al terrore ha dato la spinta alla coercizione e alla repressione per mantenere lo stato di cose esistente, non solo sul luogo di lavoro, nei termini di ostilità dei datori nei confronti del sindacato, più in generale, nei termini dell’impatto dell’atmosfera di guerra permanente sulle prospettive per l’organizzazione.
La coercizione e la repressione sembrano fondamentali per il capitalismo. Qual è oggi la differenza nella relazione tra operai, movimenti operai e la geopolitica?
Penso che rispondere a questa domanda sia importante per mettere l’attuale atmosfera di guerra permanente nel contesto più ampio della crisi del potere mondiale degli USA e del loro declino egemonico.
Dobbiamo guardare alla relazione storica di lungo termine tra i diritti dei lavoratori e la dipendenza degli stati dalla classe lavoratrice per combattere le guerre. Discutiamo per primo il secondo punto.
Una delle più note, ma non molto discussa, radici della forza del lavoro - o quantomeno dell’istituzionalizzazione dei sindacati e dell’approfondimento dei diritti democratici negli USA e nell’Europa occidentale, e parzialmente nel mondo -è stata la natura particolare della guerra nel ventesimo secolo, incluse caratteristiche come l’industrializzazione dei metodi di guerra e la leva militare di massa.
Per combattere questo tipo di guerra, le potenze centrali, le potenze imperiali, hanno avuto bisogno della cooperazione della classe lavoratrice, sia come soldati combattenti al fronte sia come lavoratori che mandano avanti le fabbriche. La guerra dipende dalla produzione industriale per ogni cosa, dagli armamenti agli stivali. Da qui l’assunto condiviso da tutti per cui durante le due guerre mondiali chi fosse riuscito a mantenere in funzione le fabbriche avrebbe vinto la guerra.
In questo contesto era cruciale la cooperazione degli operai e la relazione tra guerra e disordini civili era inconfondibile. I due picchi più alti di conflitto lavorativo nel ventesimo secolo sono stati quelli immediatamente successivi alla Prima Guerra Mondiale e alla Seconda. Durante le guerre, si preparano le condizioni per il conflitto.
Non è un caso che il movimento per i diritti civili sia cominciato dopo la Seconda Guerra Mondiale e durante la Guerra di Corea, e che il movimento per il potere nero sia avvenuto durante e dopo la Guerra del Vietnam.
Gli stati hanno cercato di assicurare la cooperazione dei lavoratori attraverso la mobilitazione di sentimenti nazionalisti e patriottici, ma questo non è stato sostenibile senza tangibili avanzamenti dei diritti dei lavoratori. Quindi, nel ventesimo secolo l’espansione dello stato sociale è andata di pari passo con l’espansione dello stato di guerra.
Mettendola in una maniera diversa, il nazionalismo della classe operaia ha potuto sostituire l’internazionalismo della classe operaia solo nella misura in cui gli stati hanno legato la vittoria nelle guerre all’innalzamento degli standard di vita e all’espansione dei diritti dei lavoratori, sia sociali sia civili.
Pensi che sia ancora così, nel contesto di quella che sembra guerra permanente?
La natura della guerra è cambiata in molti aspetti. Come il capitale ha riorganizzato la produzione in risposta alla forza del lavoro, così lo stato ha ristrutturato l’apparato militare per diminuire la sua dipendenza dai lavoratori e dai cittadini per muovere guerra.
Il movimento di massa contro la guerra del Vietnam e il rifiuto dei soldati al fronte di continuare a combattere, sono stati dei punti di svolta che hanno avviato una ristrutturazione alla base dell’organizzazione e della natura della guerra.
Oggi vediamo i risultati di questa ristrutturazione con la fine della leva militare di massa e la crescente automazione della guerra. Con la crescente dipendenza dai droni e da altre armi ad alta tecnologia, i soldati americani sono lontani dal pericolo diretto, non interamente, ma molto più che in passato.
Questa è una situazione differente rispetto a quella che collegava i movimenti dei lavoratori e la guerra nel ventesimo secolo. Lo stato sociale e lo stato di guerra si sono divisi nel ventunesimo secolo. Rimane una questione critica ma irrisolta se, sotto queste nuove condizioni, l’internazionalismo operaio vincerà sul nazionalismo operaio.
In questa discussione mi sono concentrata sugli USA, ma la trasformazione della natura della guerra ha effetti più larghi. A metà del ventesimo secolo molti paesi coloniali erano incorporati nel processo di guerra imperiale come fornitori di soldati e materie prime per gli sforzi di guerra, portando a un simile rafforzamento e militanza della classe operaia.
Oggi, in molti paesi del Sud Globale, c’è una situazione per cui la guerra moderna degli USA porta a una complessiva disorganizzazione e distruzione della classe lavoratrice nei paesi dove vengono impiegate le armi ad alta tecnologia. L’attuale “crisi dei migranti”, sia nelle sue origini sia nelle sue ripercussioni, è un pesante contraccolpo di questa nuova era di guerra.
In passato, le ondate di militanza e organizzazione hanno tendenzialmente portato nuove e potenti forme organizzative. Nel diciannovesimo secolo ci furono i sindacati dei lavoratori specializzati, nel ventesimo secolo i sindacati industriali. Queste forme sono destinate all’oblio? Se si, cosa potrebbe rimpiazzarle?
Di sicuro non sono destinate all’oblio. Negli USA, per esempio, alcuni dei sindacati coi migliori risultati oggi - in termini di reclutamento di nuovi membri e di militanza - sono quelli che hanno le radici nella vecchia American Federation of Labor, nella tradizione dei lavoratori specializzati. Qualcuno sostiene che alcuni elementi di questo vecchio stile organizzativo sono più adatti alla natura orizzontale degli odierni posti di lavoro, piuttosto che i sindacati industriali tipici delle grandi imprese a integrazione verticale.
Questo non significa che i sindacati industriali siano morti. I successi tipici dei sindacati della Confederation of Industrial Unions - come lo sciopero di Flint e quelli successivi - si basavano sullo strategico potere di contrattazione dei lavoratori sul luogo della produzione. Penso ci siano ancora lezioni da trarre da quei successi.
Chiaramente nessuna di queste due forme ha avuto successo nei confronti dei problemi fondamentali del capitalismo. Come ho già detto, il problema dei sindacati è che, fino a quando sono efficaci, il capitale e lo stato non hanno interesse a collaborare con loro. Nella misura in cui invece non riescono a portare cambiamenti seri nelle vite dei lavoratori - ed è ciò che è successo in larga parte - perdono credibilità e legittimità agli occhi dei lavoratori stessi.
Penso che vediamo costantemente entrambi i lati di questa contraddizione. I sindacati sono parte della soluzione ma non sono la soluzione completa.
Una delle idee di Marx era che i sindacati avrebbero dovuto integrare i disoccupati in un’unica organizzazione. Questa è un’opzione negli Stati Uniti?
Penso che sarebbe certamente l’ideale, è ciò che dicevano Marx e Engels nel Manifesto del Partito Comunista quando discutevano del ruolo dei comunisti e del movimento operaio.
Questo ci riporta anche alla questione della relazione tra il processo di sfruttamento e quello di esclusione, tra la lotta nei luoghi di lavoro e la lotta nelle strade.
Per i sindacati, cercare di seguire l’idea di Marx significa pensare strategicamente alle condizioni in cui i lavoratori con un impiego stabile possano essere portati e radicalizzati nelle lotte dei disoccupati e precari, e viceversa.
Quali sono le prospettive per la rivitalizzazione del lavoro negli USA? Ti aspetti un aumento della militanza e dell’organizzazione nel prossimo futuro?
Da un lato, su un terreno teorico, mi aspetto un aumento della militanza dei lavoratori negli USA. A livello empirico, dal 2008, abbiamo visto un aumento dei disordini sociali legati alla classe in tutto il mondo, che potrebbe in retrospettiva apparire come l’inizio di una rivitalizzazione di lungo termine.
Questo va contro il sentimento prevalente; è interessante comparare il pessimismo di oggi con ciò che dicevano gli esperti negli anni ‘20. Allora, gli esperti osservavano come i lavoratori specializzati fossero minacciati dall’espansione della produzione di massa, e sostenevano che il movimento dei lavoratori fosse indebolito mortalmente, definitivamente morto. E hanno continuato a ripeterlo fino alla vigilia dell’ondata di disordini operai a metà anni ‘30.
Non comprendevano che, mentre era vero che molti dei sindacati dei lavoratori specializzati erano ormai indeboliti, si stava formando una nuova classe operaia. Osserviamo la stessa cosa oggi, una situazione in cui la classe operaia della produzione di massa del ventunesimo secolo viene indebolita, ma c’è anche una nuova classe operaia in formazione, anche nella manifattura.
È importante non rimuovere la manifattura dal ragionamento su ciò che sta accadendo, anche negli USA, tantomeno nel mondo intero. Ogni volta che avviene una nuova ondata di disordini operai, la classe operaia appare fondamentalmente diversa, e le strategie e le mobilitazioni sono fondamentalmente diverse.
Chi pensi che guiderà la rivolta, questa volta?
Difficile da dire. Ciò che è chiaro sono le questioni critiche per il lavoro oggi, che in buona parte riguardano la base di massa e la guida necessarie affinché la “prossima rivolta” sia trasformativa. Siamo in una situazione in cui il capitale sta distruggendo le condizioni di vita più velocemente di quanto ne crei di nuove. Stiamo sperimentando su scala globale, e anche nei paesi centrali come gli USA, un’espansione del surplus di popolazione, in particolare quello a cui Marx nel Capitale si riferiva come il surplus di popolazione stagnante: coloro che non verranno mai davvero incorporati nel lavoro salariato stabile.
I lavoratori a chiamata, a tempo determinato, part-time, e i disoccupati di lungo termine, tutto questo gruppo si sta espandendo, portandoci verso la strada della povertà. Nonostante la crisi di legittimità che ciò crea al capitalismo, non c’è nessuna tendenza in direzione diversa all’interno del capitalismo. Se cambieremo direzione, sarà qualcosa che verrà dal movimento politico di massa, piuttosto che dal capitale.
Ci sono due importanti punti da considerare. Uno è che la redditività del capitale, in tutta la sua storia, è dipesa dall’esternalizzazione parziale non solo dei costi di riproduzione del lavoro, ma anche dei costi di riproduzione della natura. Questa esternalizzazione è diventata sempre più insostenibile, ma non c’è nessuna tendenza interna al capitale per correggerla.
In più, dato che la natura come bene liberamente accessibile è stato uno dei pilastri del patto sociale del dopoguerra che legava la produzione di massa al consumo di massa della classe operaia, non è possibile un semplice ritorno all’età dell’oro del keynesismo e dello sviluppismo.
Secondo punto, la tendenza storica del capitalismo è risolvere le crisi politiche ed economiche attraverso politiche espansionistiche e militariste, dobbiamo prendere sul serio la guerra, in particolare in questo periodo di crisi e declino egemonico degli USA.
Il controllo del petrolio, l’accaparramento di risorse, gli scontro per strisce di mare nel Mare Cinese, questi conflitti hanno il potenziale per conseguenze orribili per l’umanità nel suo complesso. Per evitare questo, un internazionalismo del lavoro rinnovato e aggiornato dovrà superare le tendenze visibili verso l’atavico e risorgente nazionalismo del lavoro.
Dobbiamo quindi partire da una considerazione della geopolitica - esaminando i collegamenti tra militarismo, conflitto interno e movimenti dei lavoratori - per arrivare a un’analisi seria. La vecchia dicotomia tra socialismo e barbarie è rilevante oggi come non mai.

Nota editoriale 
Per gentile concessione di Jacobin Magazine questo testo è la traduzione dell'intervista a Beverly Silver, presidente del Dipartimento di Sociologia alla John Hopkins University. Silver è una delle più importanti figure della sociologia del lavoro e da sempre una militante per i lavoratori. Tra le sue opere Le Forze Del Lavoro e Caos E Governo Del Mondo firmato con Giovanni Arrighi, entrambi pubblicati da Bruno Mondadori.

Fonte: lacittafutura.it 

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