La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

giovedì 1 febbraio 2018

Per non costruire castelli di sabbia







di Carlo Ridolfi 
Smettere di pensare la scuola separata dal territorio per ripartire dall'”educazione diffusa”, considerare le ricadute sui processi educativi dell’universo delle tecnologie dell’informazione, affrontare il problema delle risorse. A proposito di “baby gang”, scuola e azioni straordinarie, dopo l’articolo di Andrea Sola, La funzione salvifica della scuola – che ha raccolto molte attenzioni – pubblichiamo un intervento di Carlo Ridolfi. Per non rinunciare ad aprire una discussione vera.

Luigi Zoja, in un suo recentissimo intervento, durante un confronto con monsignor Vincenzo Paglia a Padova, si chiedeva, girando la domanda a tutti i presenti, se una delle cause della mancata autonomizzazione dei ragazzi e delle ragazze di oggi in Italia non sia, forse – oltre alle evidenti questioni della mancanza di posti di lavoro non precari e della conseguente impossibilità di fare dei progetti a lungo termine – anche la paura di contribuire alla “morte della famiglia”.
In ugual modo Andrea Sola, nel suo interessantissimo ragionamento proposto in questa sede (La funzione salvifica della scuola), scrive:

“Quello di cui bisogna prendere atto è che non esiste più un modello educativo che sia proponibile come vera soluzione del disagio e che i cosiddetti agenti educativi classici, la famiglia e la scuola, non sono più adeguati a sostenere questo ruolo”.

Nel frattempo, Paesi certamente non di attuale disposizione totalitaria attuano decisioni per contenere i disagi educativi quanto meno sconcertanti. Così è, ad esempio, per la scuola in costruzione a Schaerbeek, uno dei diciannove comuni della regione di Bruxelles, dove nel cortile della ricreazione sarà innalzato un muro per dividere i bambini fiamminghi da quelli valloni. Oppure per le duecento scuole tedesche che stanno adottando le sandvesten, giubbotti pieni di sabbia, da 1,2 a 6 chilogrammi di peso, per i bambini iperattivi (alcune maestre hanno detto: “Possono essere un efficace surrogato dell’abbraccio, perché a noi è proibito toccarli”). Come a dire: non siamo più in grado di governare processi educativi che sono completamente sfuggiti dalle nostre mani e le uniche possibilità sono di contenimento e costrizione. Quindi: muri, giubbotti, telecamere, badge di ingresso e uscita per gli studenti, perché no braccialetti elettronici e qualsivoglia altra diavoleria illusoriamente panottica (a questo proposito consiglio a genitori, insegnanti, educatori la visione dell’episodio Arkangel, diretto da Jodie Foster, nella quarta stagione dell’insuperabile serie Black Mirror, disponibile su Netflix). Ora, prima di scoprire con una certa desolazione che, come diceva uno slogan del Sessantotto, è ben vero che sotto il selciato può continuare ad esserci la spiaggia, ma che sulla spiaggia non nasce niente (al massimo qualche castello di sabbia…), forse è il caso di continuare tutti insieme a riflettere su come riprogettare i giorni del prossimo futuro che non siano così cupi e deprimenti.
Dato per certo che in questa fase storica nessuno possiede ricette salvifiche e definitive e che chiunque afferma di conoscerle è al livello di credibilità del simpatico ma volutamente improbabile dottor Dulcamara dell’Elisir d’amore di Donizetti, forse possiamo cominciare a raccogliere – come fa anche lo stesso Andrea Sola – alcune tracce indicative di possibili percorsi. 

La prima che mi sentirei di indicare – in questo senso concordando in pieno con Andrea – è che un po’ tutti noi dobbiamo smetterla con una visione “scuolacentrica” che affida a quella che ormai è poco più che un’illusione illuministica l’idea che (solo) da un’esperienza scolastica positiva discenda una migliore società. Non è così, purtroppo. Conosciamo decine e decine di esperienze più che positive, insegnanti di ogni ordine e grado scolastico bravissimi e bravissime, persone che con enorme competenza, passione e capacità svolgono quotidianamente un lavoro preziosissimo, ma non basta. Se la scuola non è inserita in un contesto sociale più ampio – la famiglia, il quartiere, la città – che ne riverbera i lati positivi, ne rinforza i messaggi e i contenuti, si allea con essa per ribadirne la validità, anche le esperienze più straordinarie rischiano di essere limitate come un’isola felice in un arcipelago di detriti inquinanti (leggi anche Educazione diffusa. Per salvare il mondo e i bambini, Dissensi edizioni, di Luigi Gallo e Paolo Mottana, leggi anche Educazione diffusa). 
La seconda è che non è davvero più possibile pensare alle cosiddette “agenzie educative”, in salute o malconce che siano, senza considerare tra esse anche quel gigantesco, magmatico e mobilissimo universo rappresentato dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Intendo dire che prima ancora che pensare a collocare centinaia di Lim nelle aule scolastiche, è imprescindibile per chiunque dichiari – per professione, stato di famiglia o passione personale – di volersi occupare di educazione seguire anche un percorso di formazione (obbligatorio) su linguaggi, tecniche, effetti e potenzialità di strumenti con i quali ormai fin da piccolissimi (prima ancora del compimento del primo anno di età) i bambini e le bambine di oggi vengono a contatto.
La terza – ma l’elenco è naturalmente solo provvisorio e certamente non destinato a chiudersi qui – è che senza un deciso e prioritario impegno di chi ha responsabilità di governo, con la destinazione di risorse ben individuate e con destinazione certa (ad esempio con l’introduzione di una purché minima “imposta di scopo”: forse possiamo smetterla di discutere sui sacchetti per la verdura e pensare che un centesimo a spesa potremmo anche destinarlo a fini educativi) continueremo a mettere toppe a voragini che si aprono in modo sempre più evidente e deflagrante.

Sarebbe interessante che su questi punti intervenissero – magari non solo in periodo di campagna elettorale – donne e uomini che ci chiedono di affidar loro il governo del Paese e delle città che abitiamo.

Fonte: comune-info.net

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.