La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 10 aprile 2016

Mare e cambiamento climatico al centro del referendum

Intervista a Franco Parello di Francesco Fustaneo
Il 17 aprile gli italiani saranno chiamati alle urne per esprimersi in merito al referendum abrogativo dell’articolo 6, comma 17 del codice dell’ambiente. L’argomento del referendum riguarda le trivellazioni entro le 12 miglia dalla costa. I ripetuti inviti astensionisti dei partiti di governo sembra siano stati accolti anche dalla stampa mainstream, di fatto complice di un silenzio informativo sull’appuntamento referendario che mira a far fallire la consultazione.
In televisione o sui giornali, dunque, si dibatte poco o nulla del referendum e quando lo si fa, si preferisce lasciar parlare politici con idee poco chiare sui contenuti o ancor peggio, opinionisti tuttologi.
Per l’occasione Contropiano ha, invece, voluto intervistare un accademico: Franco Parello, esperto di geochimica e vulcanologia, professore ordinario di Scienze Geologiche, dipartimento di Scienze della Terra e del Mare, dell’ Università degli Studi di Palermo.
Al momento del voto il quesito che gli elettori si troveranno di fronte sarà: “Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita’ 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?
Di certo la formulazione non è delle più intuitive: ci spiegherebbe con parole semplici, cosa viene chiesto agli italiani?
"Nel quesito referendario viene chiesto agli elettori se vogliono sia abrogato il comma 17 del decreto legislativo del 3 aprile 2006, n. 152, che permette a chi ha ottenuto concessioni per l’estrazione di gas o petrolio da piattaforme offshore, entro le 12 miglia dalla costa, di rinnovare la concessione fino all’esaurimento del giacimento. E’ da evidenziare che anche in caso di vittoria del quesito referendario, purché almeno il 50% degli elettori aventi diritto vadano a votare, le perforazioni continueranno a essere permesse oltre le 12 miglia dalla costa. La vittoria del sì al referendum però impedisce lo sfruttamento degli impianti già esistenti quando le concessioni saranno scadute, anche se il giacimento può essere ancora sfruttato (o non è del tutto esaurito)."
Quali sono, viste dalla prospettiva di un esperto in materia, le motivazioni per votare sì?
"Il testo approvato alla Conferenza sul clima di Parigi nel dicembre 2015, cita testualmente: “Il cambiamento climatico rappresenta una minaccia urgente e potenzialmente irreversibile per le società umane e per il pianeta”. Richiede pertanto “la massima cooperazione di tutti i paesi” con l’obiettivo di “accelerare la riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra”. Alla penultima conferenza sul clima quella che si è tenuta a Copenaghen nel 2009, si era deciso di limitare l’aumento della temperatura globale, rispetto ai valori dell’era preindustriale, di 2° C. L’accordo di Parigi di dicembre 2015 ha stabilito che questo aumento va contenuto “al di sotto dei 2 gradi centigradi”, sforzandosi di fermarsi a +1,5° C. Per centrare questo obiettivo, le emissioni devono cominciare a calare dal 2020. Anche se non c’è un calendario che porti alla progressiva, ma totale, sostituzione delle fonti energetiche fossili. La richiesta degli ambientalisti era quella di arrivare a una riduzione del 70% rispetto ai livelli attuali intorno al 2050, e raggiungere le emissioni zero nel decennio successivo. L’Italia ha firmato questo accordo ma di fatto dal 2014 ha disincentivato i contributi alle energie rinnovabili con meno di 11 miliardi di dollari nel 2014 ed ha invece aumentato i contributi ai combustibili fossili portandoli da 12,8 a 13,2 miliardi di dollari dal 2013 al 2014. Questo ha provocato la perdita di 4.000 posti di lavoro soltanto nell’eolico. Continuare con scelte di politica energetica favorevoli al petrolio significa andare contro le scelte fatte in base all’accordo di Parigi. Per non parlare poi dei rischi."
Perdoni, ma una vittoria del sì con la cessazione delle trivellazioni entro le 12 miglia alla scadenza delle concessioni, non inciderebbe in maniera negativa sul fabbisogno energetico nazionale?
"La quantità di petrolio che viene attualmente pompata dai pozzi petroliferi offshore rappresenta soltanto l’1 % del fabbisogno nazionale (dati MISE 2014). Si tratta di una quantità troppo bassa se rapportata ai rischi di un eventuale incidente in mare e ai relativi enormi costi a questo correlati. Occorre operare una seria svolta nell’attuale programmazione energetica nazionale."
Esistono dei rischi geologici connessi alle trivellazioni nei fondali?
"Si, certo. Ipotizziamo che la ricerca di idrocarburi sia effettuata in un’area geologicamente stabile come ad esempio il Sahara. In questo caso il rischio di un incidente è legato al fattore umano, un’esplosione accidentale di un pozzo oppure un’esplosione “voluta” come nel caso delle cosiddette guerre del Golfo del 1991 e del 2003. Ma nel Canale di Sicilia? Una valutazione del rischio deve tenere conto innanzitutto della conformazione geologica dell’area che da questo punto di vista è molto complessa. Il canale di Sicilia si trova infatti all’interno di una vasta area di compressione tra la placca eurasiatica e la placca africana, ma sia la topografia che l’assetto strutturale e anche la diffusa attività vulcanica sono tutti chiari sintomi di un regime distensivo, in cui la Sicilia e la Tunisia si allontanano progressivamente l’una dall’altra. Nel canale si possono infatti osservare delle grandi zone di distensione (graben) allungate nella direzione stessa del canale: una nella parte occidentale (il cosiddetto graben di Pantelleria) e due in quella orientale (il graben di Malta e il graben di Linosa). In queste zone la profondità è compresa tra i 1400 e i 1700 metri, ed è molto superiore alla profondità del resto del canale che si attesta intorno ai 400 metri. L’attività vulcanica in queste aree è testimoniata dalla presenza di alcuni vulcani attivi, di cui si osservano le sommità emerse: l’isola di Pantelleria la cui ultima eruzione è avvenuta a circa 5 km a nord ovest dell’isola nel 1891; l’isola di Linosa attualmente in fase di quiescenza, la cui ultima eruzione sarebbe avvenuta circa 2500 anni fa e quel che resta dell’isola Ferdinandea che oggi si trova a circa 10 metri sotto il livello del mare. L’attività sismica nel Canale di Sicilia non è particolarmente intensa, anche se recenti studi sulle rovine di Selinunte hanno evidenziato due importanti eventi: uno ai tempi della Magna Grecia e uno in età Bizantina. Inoltre recenti campagne oceanografiche hanno evidenziato la presenza nel canale di numerosi Pockmarks; si tratta di profonde depressioni che in genere si formano in seguito all’accumulo e all’esplosione di sacche di gas, principalmente metano. Questo ed altro rende il canale di Sicilia una zona estremamente instabile."
I sostenitori dell’astensione adducono a sostegno delle loro tesi la perdita di numerosi posti di lavoro tra gli addetti del settore in caso di vittoria del sì. Lei che ne pensa?
"L’attività di ricerca e di estrazione del petrolio è ad alta intensità di capitale e a bassa intensità di lavoro. Nelle piattaforme operano poche unità lavorative molto specializzate. Se si investono dei soldi nella ricerca di fonti energetiche alternative, sia il solare che l’eolico producono molti più posti di lavoro del petrolio e /o del gas naturale."
Un ultima domanda: le campagne ambientaliste dal canto loro incriminano la tecnica dell’airgun. Di cosa si tratta esattamente?
"Si tratta di onde sismiche provocate da esplosioni di aria compressa. Queste esplosioni consentono di studiare il fondale marino alla ricerca di eventuali giacimenti d’idrocarburi. Da anni questa particolare tecnica è sotto accusa per i danni che può arrecare alla fauna marina. I cetacei sarebbero i più danneggiati, perché sono quelli che sfruttano le basse frequenze sia per la comunicazione che per l’orientamento."

Fonte: Contropiano 

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