Intervista a Roberto Esposito di Paolo Bartolini
Il destino della filosofia e dell'Europa, il ripensamento della categoria della sovranità, il dominio del capitalismo contemporaneo oltre lo schematismo del concetto di biopolitica. Questi alcuni degli argomenti affrontati nella conversazione tra il Prof. Roberto Esposito, insegnante di Filosofia teoretica presso l'Istituto Italiano di Scienze Umane, e Paolo Bartolini, in una intervista rilasciata in esclusiva per Megachip.
E' da poco uscito un suo libro che, muovendo da un'analisi accurata e approfondita delle crisi che legano fra loro il destino della filosofia e dell'Europa, suggerisce di guardare all'attuale congiuntura storica "Da fuori", rilanciando un progetto europeo conflittuale e unitario al tempo stesso. Quali direttrici di sviluppo intravede per evitare l'esplosione dell'Unione Europea o, ancor peggio, una sclerotizzazione dei suoi attuali assetti neoliberisti?
"E' una domanda cui oggi è davvero difficile rispondere. Credo che bisognerebbe operare contemporaneamente su più piani. Quello culturale, cui il mio libro propriamente si rivolge, al fine di rimuovere i pregiudizi che vedono nell'Unione Europea solo un carico da sostenere da parte dei singoli Paesi e dei loro cittadini. Quello sociale, mettendo mano a una grande ridistribuzione delle risorse che rompa la fittizia parità di opportunità da parte di Paesi con una storia fortemente differenziata. Quello politico, avviando una procedura costituente di ampie proporzioni che costituisca un popolo europeo attraverso l'incontro di più 'popoli' di cui è fatto ogni popolo- vale a dire di fasce sociali di condizione differenti presenti all'interno di ogni singola popolazione. Su ciascuno di questi piani oggi le difficoltà e anche gli arretramenti prevalgono rispetto alle intenzioni di unità e ai passi avanti. Forse, inaspettatamente, una spinta ad agire può oggi arrivare proprio dall'aumento, e dalla sovrapposizione, dei fattori critici. Non essendo più possibile rimanere in mezzo al guado - sotto la pressione del flusso migratorio e sotta la minaccia del terrorismo - si è spinti ad uscire da questa situazione di stallo. Spero in avanti e non all'indietro."
Quale contributo può dare il pensiero filosofico italiano al ripensamento della categoria di sovranità, oggi stretta nella morsa della svalutazione indotta dalla globalizzazione economica e delle reazioni populiste e nazionaliste?
"La questione della sovranità è da tempo al centro del pensiero italiano, da sempre impegnato sul fronte filosofico-politico. Rispetto ad altre tradizioni culturali che hanno fondato la categoria di 'sovranità', come quella francese con Bodin, o l'hanno rielaborata come quella inglese con Hobbes e quella tedesca con Hegel, il pensiero italiano fin dalle origini ha esplorato altre linee di ricerca. Basti pensare alla concezione di Machiavelli, ancora estranea a una riflessione sullo Stato nazionale, allora assente in Italia, o a Gramsci, che ha elaborato piuttosto una teoria del partito - del 'due', più che dell' 'uno'. Fermo restando che la sovranità è stata una categoria costitutiva dell'Europa moderna, cui rimanda l'intera costruzione del diritto pubblico europeo, la mia impressione è che essa debba essere non abbandonata, ma radicalmente rivista. Globalizzazione senza differenze e nazionalismi immunitari costituiscono i riferimenti negativi, rispetto ai quali la logica sovrana va nettamente rivista e adeguata alla nuova conformazione del mondo. Ciò che sul piano geopolitico si presenta ai nostri occhi come nuovi protagonisti della politica mondiale non sono più le classiche nazioni - anche se esse non sono affatto scomparse - ma grandi spazi di dimensione continentale come gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, il Brasile e, speriamo, l'Europa."
I due concetti da lei sviluppati di Communitas e Immunitas cosa dicono dell'odierno dramma dei migranti e delle risposte contraddittorie messe in campo, per fronteggiarlo, da parte della politica europea?
"Mi pare che mai come oggi le categorie di 'Communitas' e 'Immunitas' possono aiutare a comprendere la situazione in cui siamo e anche ad orientare una possibile risposta. L'atteggiamento dei Paesi europei, e non solo europei, nei confronti dei flussi immigratori è fortemente segnata da tale dialettica. L'idea che ogni Paese possa richiudersi all'interno dei propri confini, respingendo la richiesta di ospitalità che viene dall'esterno, ha una chiara connotazione immunitaria. Allude alla necessità di una protezione escludente nei confronti di una minaccia percepita come tale. Essa appare del tutto inadeguata non soltanto dal punto di vista etico, ma anche da una prospettiva realistica, alla situazione attuale. Come è noto, non solo l'immigrazione è oggi inevitabile ma, se bene organizzata, può svolgere anche una funzione utile nei Paesi di accoglienza sotto il profilo demografico e della distribuzione del lavoro. Naturalmente la communitas, come apertura indiscriminata alla alterità, è un punto limite al momento irraggiungibile. Ma essa vale appunto come critica immanente alla tendenza immunitaria. Disattivare dispositivi immunitari e costituire 'luoghi comuni' sarà il compito principale delle nuove generazioni."
Il concetto di biopolitica, esplorato e diffuso da Michel Foucault, riesce ancora a descrivere in modo efficace le dinamiche di dominio del capitalismo contemporaneo? E' un concetto da revisionare o da approfondire ulteriormente?
"Tutti i concetti e i paradigmi già elaborati sono soggetti a nuove elaborazioni, a integrazioni e a modifiche. Quello di 'biopolitica' ha già subìto una rilevante rielaborazione, proprio in Italia, rispetto alla sua prima definizione da parte di Foucault (che a sua volta lavorava su concetti precedenti). Detto questo, mi pare che il paradigma di biopolitica sia piuttosto adatto a dare conto di quanto accade nel mondo. Ormai le dinamiche incrociate di politicizzazione della vita biologica e di biologizzazione della politica sono talmente avanzate che non è pensabile tornare indietro. Si può soltanto operare per orientarle in senso affermativo piuttosto che in senso negativo, tanatopolitico. L'intera riflessione avviata non solo in Francia e in Italia da qualche decennio ruota intorno a questo punto. Nessuna proposta politica che non dia spazio a questioni letteralmente biopolitiche - salute, sicurezza, immigrazione, ambiente - avrebbe qualche seguito. Naturalmente nominare, o anche circoscrivere concettualmente, un problema non basta a risolverlo. E' necessario trovare sempre nuovi punti di incidenza tra teoria e pratica, senza tuttavia schiacciare l'una sull'altra."
Lei ha proposto, senza abbandonare il presidio delle lotte in difesa del "pubblico", di uscire dalla dicotomia proprietà privata/proprietà pubblica. La terza categoria, al centro del dibattito politico e filosofico degli ultimi anni, è quella del Comune. Può spiegarci cosa si intende con questo termine e aggiungere qualche riga sulla cultura dei cosiddetti "beni comuni"?
"La questione del 'comune', come soggetto e oggetto delle dinamiche contemporanee, si sta imponendo all'attenzione generale. Essa rimanda da un lato alla rottura dell'alternativa bloccata tra 'pubblico' e 'privato'; dall'altra alla progressiva sostituzione della categoria di 'uso' a quella di 'possesso'. Usare qualcosa collettivamente - si potrebbe dire, in maniera impersonale - vuol dire farne un bene comune, cioè non posseduto da nessuno, né da un privato né dallo Stato. Tutto ciò ha evidentemente a vedere con la dialettica alla quale facevamo prima riferimento, tra 'communitas' e 'immunitas'. Mentre il possesso è una categoria naturalmente immunitaria - nel senso che impedisce a ogni altro l'usufrutto di quel dato bene - la categoria di 'uso' è evidentemente di tipo comunitario (se si conferisce all'espressione il significato aperto che io le attribuisco)."
Fonte: Megachip globalist
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