La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

lunedì 11 aprile 2016

Nuit Debout. Conosciamo soltanto il punto di partenza

di Marie Astier e Barnabé Binctin
Molto prima di Nuit Debout, era nell’aria questa voglia di ritrovarsi, di riconciliare i “rossi” e “i verdi”. “Come militanti eravamo ciascuno nel proprio angolo, un po’ tristi e avevamo bisogno di riunirci per ritrovare entusiasmo”, racconta Fahima Laidoudi, militante del collettivo Reseaux Intervention Riflession Quartiers populaires. Dal canto suo, Fred ricorda di aver assistito a un lungo cine-dibattito sulla convergenza delle lotte, al Festival La Belle Rouge che organizza ogni estate, alla fine del mese di luglio, la compagna di teatro Jolie Mome: “La stessa voglia ritornava con insistenza in sala: immaginare un movimento sociale capace di federare in modo ampio”. Il film? Merci Patron!, diffuso in anteprima per la prima. Servirà da scintilla: con le proiezioni che si moltiplicano a partire da novembre 2015.
“Volevo fare un film di emozione – racconta l’autore, François Ruffin, che anima anche il giornale Fakir – Perché è questo che fa muovere le persone. C’è un tale livello di rassegnazione nel Paese che non è più la denuncia che mobilita. Se i film Merci Patron! e Demain funzionano, è perché dicono alle persone che loropossono cambiare le cose”, spiega. E funziona. Molto presto, la redazione del giornale Fakir è sorpresa dal successo delle anteprime. “All’uscita delle proiezioni, tutti ci domandavano ‘cosa possiamo fare?’. C’era un’energia che bisognava canalizzare. Tra il pubblico e i compagni che ci incoraggiavano, ci siamo detti che non potevamo non fare nulla”, racconta Johanna, dipendente di Fakir. I “compagni”, sono, ad esempio, l’economista Frédéric Lordon, convinto che questo film non è che l’inizio.
Francois Ruffin comincia allora a mobilitare le reti militanti. “Mi ha chiamato per partecipare alla proiezione a Parigi, racconta Leila Chaibi, veterana del Giovedì Nero e di Generazione Precaria. Mi ha detto ’Montiamo un piccolo gruppo per tentare di mobilitare intorno al film, questa cosa ti farebbe partecipare, non sappiamo bene cosa ne verrà fuori’…». Appuntamento l’8 febbraio alla sala Olympe de Gouges, a Parigi, nel XII arrondissement. L’organizzazione è fatta all’ultimo momento e, sorpresa: la sala è piena da scoppiare, gli amici di Fakir – con indosso la T-shirt “I love Bernard” (da Bernard Arnault, il miliardario proprietario di Lvmh, bersaglio nel film) – sono costretti adimpedire ai ritardatari di entrare – la soglia di sicurezza è raggiunta. Alla fine del film, lunghi applausi, c’è entusiasmo. Alcuni oratori si succedono sulla scena, come Mickael, dei “Goodyear” (sindacalisti condannati per aver trattenuto alcune ore il loro capo). Francois Ruffin prende la parola ed è per dire che bisogna andare più lontano, che il suo film vuole servire la mobilitazione generale.


Nella folla, il giornale lancia un invito, il 23 febbraio 2016, a un incontro alla Borsa del Lavoro di Parigi, a due passi da place de la République. Tema: “Far loro paura”. Target: l’oligarchia. Obiettivo: la convergenza delle lotte. “Quasi la stessa settimana, c’è stata una manifestazione contro Notre-Dame des- Landes, una seconda contro lo stato di urgenza, una terza contro la condanna dei Goodyear, una quarta contro la riforma dei collèges, scrive il testo d’invito. (…). Finchè ci muoveremo separatamente, perderemo”.
La sala Ambroise Croizat è piena, centinaia di persone sono lì, l’energia e l’attesa di qualcosa sono palpabili. La Fanfara invisibile suona allegramente, Ruffin è il maestro del cerimoniale, poi parleranno dei lavoratori di Air France, di Sephora, di Goodyear, un contadino della Confederazione contadina, un interinale, degli intellettuali come Hervé Kempf, caporedattore di Reporterre, che parla dellaconvergenza tra ecologia e crisi sociale, o Gérard Mordillat che dice: “Non è più tempo di essere misurati. Siamo in guerra, ed è una guerra condotta contro i lavoratori dipendenti dal governo attuale”.
Che fare per andare più lontano? Ci si dà appuntamento, genericamente, il 31 marzo, per la grande manifestazione contro il progetto di legge sul lavoro. La Fanfara invisibile suona di nuovo, l’assistenza si disperde, dei piccoli gruppi discutono qua e là. Alcuni si ritrovano per discutere nel caffè accanto. Tra la quindicina di persone presenti, Johanna e Leila sono là, ma anche Loic, attore della Compagnia Jolie Môme, o ancora Michel, pensionato e militante di lunga data, e poi Arthur, studente in sociologia a Science-Po Paris. Il collettivo Convergences des luttes è creato.


In quel periodo, la mobilitazione contro la legge sul lavoro cresce. La petizione «Loi travail, non merci» raggiunge il milione di firme su Internet in un tempo record e gliappelli alla manifestazione per il 9 marzo si diffondono sui social intono alla parola d’ordine “#OnVautMieuxQueÇa(ValiamoDiPiù)».
Parallelamente, il collettivo si riunisce intensamente per preparare il 31marzo. «Alcuni dicevano che bisognava fare una piattaforma di rivendicazioni comuni. Ma abbiamo detto, ‘Assolutamente no!’, altrimenti ricadremo nelle solite guerre di parrocchia», ricorda Leila. Il gruppo esita, poi si decide per un’occupazione di piazza e si rivolge all’associazione Droit au Logement (Dal). “Avevamo deciso di insediarci a République, per la fine della tregua invernale1, dal 31 marzo al 2 aprile, precisa Jean-Baptiste Eyraud, portavoce dell’associazione. Loïc, di Jolie Môme, mi ha contattato per chiedermi dei consigli sull’occupazione di una piazza. Io le ho detto che la migliore a Parigi è République.”
Appoggiandosi all’esperienza giuridica dell’associazione, il collettivo deposita una dichiarazione di manifestazione in prefettura per tre giorni a partire dal 31 marzo, “ma era giusto nel caso in cui” dicono. Il nome proposto all’inizio è “Nuit Rouge”. “Ma Lordon ci ha suggerito che era troppo connotato, dice Johanna. Alla fine, la commissione comunicazione ha optato per Nuit Debout”.
Resta da precisare la forma di questo raduno: «Ci siamo detti che bisognava organizzare una notte con cibo, concerti per attirare il massimo di gente, e soprattutto dei dibattiti», descrive Arthur. “Un trucco efficace”, commenta Johanna. Viene creato un evento facebook a cui si iscrivono migliaia di participanti.


Ma il giorno J, piove. “La mattina, mi sono svegliata, ho visto il tempo molto piovoso, mi sono detta, ‘è finita’”, racconta Leila. Pertanto sorpresa, dopo la manifestazione, 4.000 persone invadono République. “Ci sembrava un sogno!”. “Abbiamo preso un megafono e abbiamo cominciato a parlare, la gente ha cominciato ad entrare nelle commissioni, hanno proposto delle azioni, “è andata così” prosegue Arthur.
Il camion-palco de Jolie Môme mette in scena delle canzoni à HK et i Saltimbanks, Lordon fa un discorso, il Dal stabilisce la sua postazione, gli scambi proseguono fino a tardi nella notte, malgrado la pioggia. “Da Go Sport, mi hanno detto che avevano raggiunto il loro record di vendite di calzini”, scherza Leila. “Poi siamo rimasti meno di duecento a dormire sul posto”, si ricorda Fahima. Così, il giorno dopo, il miracolo si ripete: le persone ritornano, le tende si rimontano, le commissioni si riuniscono, l’Assemblea generale (Ag) si tiene. “Non avevamo pensato al dopo 31, assicura Arthur. Ci siamo giusto detti che se il nostro progetto era pertinente, sarebbe ripreso. Ed ha funzionato… Ogni giorni mi meraviglio nel constatare che le persone ritornano!”.
Il fattore che essi non hanno anticipato sono le nuove tecnologie, che sembrano avere una parte determinante nella nascita del movimento. La mattina del 31 marzo, l’account twitter di @nuitdebout conta 400 followers. 24 ore più tardi, supera i 6.000.


“Abbiamo voluto raccontare la nostra storia per mostrare che cosa accadeva davvero, la dimensione gioiosa – dice Joseph Boussion, della commissione Comunicazione et che partecipa a La vague citoyenne – Sapevamo che i media mainstream non avrebbero raccontato la realtà di ciò che sta emergendo”. Il movimento si costituisce così i suoi media: dei fotografi alimentano un repertorio di immagini, vengono organizzati dei livestream, il video in diretta con l’app Periscope è un successo, una radio, Radio Debout è creata e trasmette in diretta dalla piazza.
Oggi, la cosa è sfuggita di mano ai suoi iniziatori. “In tutta la mia carriera di militante non ho visto qualcosa di simile, dice Michel. È un movimento senza leader, senza decisioni centralizzate. Basta che qualcuno proponga qualcosa e via, coloro che vogliono andarci, ci vanno. Non si aspetta che tutti siano d’accordo”.

Certo, si incrociano ancora i fondatori del collettivo Convergence des luttes place de la République. “Ma il nostro ruolo consiste soprattutto nel depositare la dichiarazione in prefettura”, dice Johanna. Domenica scorsa c’è stata una “riunione di passaggio di consegne”: ciascuna commissione ha dei nuovi referenti, che d’altronde cambiamo regolarmente.
E ora? Nessuno dei suoi iniziatori osa fare dei pronostici. Arthur spera in uno sciopero une generale, Leila non vuole che si perda di vista la legge El Khomri. E poi, “sarebbe meglio che tutto ciò non resti una cosa solo di Parigi”, avverte. Così, François Ruffin ritiene che”bisogna che place de la République non sia considerata troppo importante per la Francia, è importante che essa vada oltre e mobiliti altri movimenti sociali”. Tolosa, Lione, Montpellier, Rennes, Nantes, Nizza, Strasburgo, ecc, la Nuit Debout si moltiplica. “È l’aggregazione di parecchie iniziative che si sono tutte ritrovate superate da loro stesse, le une dopo le altre – dice Joseph Boussion – Stiamo per tracciare un fossato molto profondo col vecchio mondo”. Per andare dove? “Conosciamo il punto di partenza, non quello d’arrivo”.

Articolo pubblicato su Reporterre
Reporterre, quotidiano web indipendente dell’ecologia, è nato nel 1989 ed è diventato un giornale on line dal 2007. Qui la campagna di sostegno 2016.

Traduzione per Comune di Cinzia Di Faenza (titolo originale Nuit debout: voici comment tout a commencé)
Fonte: comune-info.net 

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