La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

domenica 10 aprile 2016

Paradisi fiscali addio?

di Roberto Greco
Paradisi fiscali, società offshore, digital e sharing economy, multinazionali. Di questo si è parlato l'8 aprile a Roma al convegno organizzato da Fondazione Di Vittorio e Cgil nazionale (Aree politiche dello sviluppo ed europee e internazionali) su evasione ed elusione fiscale - "Sta per finire l’epoca delle multinazionali in paradiso (fiscale)?" -, tema più che mai agli onori della cronaca, alla luce dei recenti scandali Luxleaks e ancor di più su scala mondiale Panama papers, le cui black list vedono in ballo addirittura capi di Stato, oltreché imprenditori, manager, finanzieri, mondo dello spettacolo e dello sport ecc. Un fenomeno che interessa quasi 200 Paesi, per un giro d’affari di miliardi.
“Il nostro obiettivo – ha spiegato nella sua introduzione ai lavori Fulvio Fammoni, presidente di Fdv – è proprio quello di rendere noto il più possibile, avendo come bussola la trasparenza, un argomento di così grande rilievo e attualità, ma pressochè sconosciuto al grande pubblico e riservato solo a pochi esperti.
Sapendo che un cittadino informato è più autonomo, e quindi più libero. In un’epoca caratterizzata dall’economia digitale e dematerializzata, nonché dalla finanziarizzazione dell’economia, la piaga dell’evasione e dell’elusione fiscale si va estendendo sempre più, causando concorrenza sleale fra imprese, con ricadute negative assai pesanti sul lavoro. Perciò, va combattuta a tutti i livelli: la stessa Unione europea ha annunciato un giro di vite con un pacchetto di misure mirate, per colpire in particolare quei Paesi che favoriscono gli evasori”.
Secondo le stime dell’Ocse, le tasse non pagate dalle multinazionali – attraverso un’aggressiva pianificazione fiscale, con la collocazione giuridico-fiscale in paradisi fiscali e con le politiche di trasferimento dei prezzi tra filiali e consociate basate in differenti Paesi – arrivano fino a 240 miliardi di dollari all’anno. Somma che costituisce tra il 4 e il 10% del totale delle entrate fiscali degli Stati, e si ripercuote soprattutto sui Paesi più poveri e meno sviluppati. Al di là di pratiche illegali di vera e propria evasione, tale massiccia forma di elusione fiscale è favorita da legislazioni fiscali compiacenti, che mirano ad attrarre investimenti esteri attraverso condizioni di favore, discriminatorie nei confronti delle imprese locali, soprattutto piccole e medie. Meccanismi di concorrenza fiscale di questo tipo sono presenti anche tra i Paesi Ue, e ne limitano fortemente la capacità di realizzare una maggior integrazione delle politiche economiche, distributive e fiscali.
A ciò, si sono andate associando anche nuove tipologie di elusione e occultamento di imponibile fiscale, legate a forme immateriali di creazione del valore, quali la digital economy, o all’ingresso massiccio nel campo della sharing economy da parte di multinazionali che, attraverso semplici app, fanno diventare un’impresa ‘autosfruttata’, esente da contribuzione e tassazione, qualsiasi persona disponibile a crearsi un reddito nel mercato dei servizi. Con lo scoppio della crisi finanziaria globale, anche i governi dei Paesi economicamente più avanzati sono stati spinti a considerare come superare la pratica della ‘doppia non tassazione’ delle imprese multinazionali. Con il sostegno di tale dichiarata volontà dei governi, l’Ocse ha messo a punto un progetto specifico - Beps , Base erosion profit shifting (erosione della base fiscale e spostamento dei profitti) -, in quindici punti d’azione.
I contenuti della proposta sono stati illustrati dal direttore del programma Ocse, Raffaele Russo, che ha sottolineato come “per la prima volta, a livello mondiale, si è riusciti a mettere mano a meccanismi fiscali di carattere globale. Una sorta di rivoluzione mondiale del fisco, che attraverso la definizione di nuove regole per Stati e multinazionali dovrebbero delineare il sistema tributario del futuro”. Il pacchetto mira a tassare le multinazionali laddove c’è la capacità produttiva d’impresa, ovvero dove si svolgono le attività economiche e si crea il valore aggiunto. Per questo, il recente vertice G20 di Antalya (Turchia) ha invitato l’Ocse a lavorare per la costruzione di un quadro inclusivo, volto a coinvolgere anche altri Paesi, per poter avviare entro due anni l’attuazione del progetto, che prevede la promulgazione di norme a livello nazionale e internazionale e il monitoraggio delle decisioni e azioni prese.
L’iniziativa Cgil di oggi è servita anche a indicare i punti critici di Beps, nella prospettiva di una riforma più complessiva della fiscalità delle imprese e dei capitali, e anche per valutare lo stato del suo recepimento in Italia ed Europa. Su questo, si è soffermato Pierre Habbard, senior policy advisor del Tuac (International trade unions confederation), che ha ricordato come “la proposta Ocse abbia un impatto diretto sui lavoratori e sui loro salari, e come un programma sulle tasse sia da collegarsi a uno specifico sugli investimenti, dato che le imprese già parlano di Beps come di una barriera alla liberalizzazione del mercato e un freno allo sviluppo”. Anche l’ex ministro dell’Economia e delle finanze Vincenzo Visco, nel suo contributo al dibattito ha parlato del piano Ocse come di un’occasione epocale e di un cambiamento culturale in atto in materia fiscale, pur restando dubbioso circa le possibilità di riuscita di Beps.
Stesso scetticismo espresso, nelle sue conclusioni, da Danilo Barbi, che ha rilevato come sia “in atto un autentico maremoto a livello mondiale, dietro cui si cela uno scontro non solo di natura economica, a livello di imprese multinazionali, ma innanzitutto di potere, che volge al peggio e che riguarda milioni di persone. Uno sconvolgimento che comprende la politica e può avere ripercussioni sulle stesse democrazie occidentali. Di fronte al fatto che perfino il controllo sulle monete non è più appannaggio degli Stati, ma di sistemi di potere finanziari privati, è necessario un controllo etico dell’economia per stabilire chi fa e chi decide. Ma il nemico vero è rappresentato dal ritorno dei nazionalismi, vedi l’ascesa dell’estrema destra in Francia e Germania, che si batte anch’essa contro banche e multinazionali. Ragion per cui, se non cambia il modello attuale, quell’idea può prendere corpo, con conseguenze disastrose sull’Unione e sull’euro”.
Secondo il segretario confederale Cgil, “fisco, reddito e capitale hanno bisogno di una nuova regolazione e di controlli più stringenti. In tal senso, il Beps è un’elaborazione tecnica efficiente, che dà utili indicazioni normative e potrebbe essere risolutivo nella lotta all’evasione, perché mette in campo azioni che la possono realmente combattere. Tuttavia, necessita di ulteriori passaggi: ad esempio, un tema da affrontare è quello sulla tassazione unitaria, perché tassare un’impresa locale è diverso dal tassare una multinazionale. Ragion per cui, sì a regole comuni per tutti, ma con forme dedicate e orientate a seconda dei vari soggetti interessati”.

Fonte: Rassegna Sindacale

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