di Petra dell’Argine
Caro figlio, figlio amatissimo, figlio scienziato. Così diverso da me, così dentro di me. Ci siamo scoperti in disaccordo su una questione politica. Andremo a votare due opzioni opposte domenica prossima. Tu favorevole alle trivellazioni, io assolutamente contraria. Sei un geologo, hai argomenti forti. Io sono impregnata di cultura umanistica come la piana di Gela è impregnata dei veleni depositati da mezzo secolo di petrolchimico. Vorrei intrecciare i miei alibi e le tue ragioni (è la citazione di una canzone che tua madre adora).
Sei tu ad insegnarmi cosa sia la subsidenza, uno dei terribili effetti collaterali dell’estrazione di fluidi dal sottosuolo: la terra scende rispetto al livello del mare, il mare invade spazi che non dovrebbero essere i suoi. Così Cesenatico scopre di essere inondata dall’Adriatico che intanto si sta divorando la pineta del Lido di Dante. Negli ultimi 55 anni Rimini è scesa di 70% rispetto al mare e da Cesenatico al delta del Po la terra s’è abbassata di un metro. L’Emilia Romagna è la regione con il maggior numero di trivelle.
Pochi centimetri di subsidenza equivalgono a decine, forse centinaia di metri di spiaggia. Il ripascimento della spiagga costa 13 milioni di euro l’anno, il doppio delle royalties. E la subsidenza aumenta l’impatto delle mareggiate, delle piene fluviali e dell’erosione.
Pochi centimetri di subsidenza equivalgono a decine, forse centinaia di metri di spiaggia. Il ripascimento della spiagga costa 13 milioni di euro l’anno, il doppio delle royalties. E la subsidenza aumenta l’impatto delle mareggiate, delle piene fluviali e dell’erosione.
Più in generale, petrolizzare vuol dire avvelenare il paesaggio e sversare nell’aria, nell’acqua, sulla crosta e nelle viscere della terra sostanze cancerogene, metalli pesanti che inibiscono la pesca e l’agricolutura in territori quasi sempre a rischio sismico e segnati per sempre dalle infrastrutture invasive, spesso fatiscenti, dove i cedimenti strutturali sono all’ordine del giorno come gli incidenti nelle varie fasi della lavorazione, da rifiuti tossici difficili da smaltire. Lo sai, ad esempio, che è possibile sversare in mare, in deroga alle leggi, le acque risultanti dall’estrazione del petrolio? Sono veri e propri veleni che dovrebbero essere stoccati nei pozzi vuoti o trasportati a terra per essere smaltiti correttamente in appositi impianti. Ma è troppo costoso e la legge prevede una deroga. Per questo il 54% di quelle acque, tanto più velenose quanto più il pozzo è sfruttato, finisce nell’Adriatico o nel Mediterraneo. Come a Gela, una città che galleggia ormai su una spugna di sostanze tossiche. Nei capelli della gente i medici rintracciano metalli pesanti e la nascita di bambini malformati è un evento talmente frequente che ci sono sessanta indagini della magistratura.
Il ministero dell’Ambiente misura i limiti, ammette il superamento in centinaia di casi ma non ha mai comminato una multa perché è ostaggio delle lobbies del petrolio.
Tutto ciò per un petrolio di pessima qualità, una melma scadente perché si trova troppo in profondità. Le stime del ministero per lo sviluppo economico dicono di riserve nell’Adriatico per sette settimane di petrolio e per sei mesi di gas. I trivellatori dicono che coprirebbero 5 anni di fabbisogno ma anche questo sarebbe un prezzo assurdo per una sciagura ambientale.
Tu ribatti che le petroliere sono più pericolose e che l’estrazione in loco ne limita la circolazione. Peccato che la quantità di petrolio estratta in Italia da quei pozzi a meno di 12 miglia dalla costa sia sempre meno. E nemmeno vale l’altra obiezione, quella che tanto la Croazia trivella e trivella molto vicina alle nostre coste. In Croazia si è riusciti a ottenere una moratoria generale delle trivellazioni. Puntare sulle trivellazioni è una scelta in assoluto contrasto con ogni strategia contro i cambiamenti climatici e che mette a rischio l’economia sana legata al mare. La verità è che in Croazia non esistono piattaforme petrolifere. Ci sono invece 19 piattaforme di estrazione del gas di proprietà dell’Eni e dell’Ina, la compagnia nazionale, le sole ancora interessate anche alle nuove trivellazioni in mare croato. E’ uno dei tanti luoghi comuni della campagna di disinformazione contro il referendum, con assurdità quali la notizia del divieto di traffico marittimo e pesca in acque croate a causa di nuovi progetti di trivellazioni, ufficialmente smentita dal Ministero croato per i trasporti marittimi.
In Adriatico, l’Italia è l’unico paese ad avere decine di concessioni e piattaforme in mare anche a ridosso della costa. La moratoria croata segue di qualche mese la rinuncia da parte di due compagnie petrolifere a proseguire le attività di ricerca di giacimenti in acque croate su 7 delle 10 aree che il Governo aveva dato in concessione. Non è l’unica rinuncia, visto che qualche settimana fa la Petroceltic ha fatto dietrofront rispetto a un permesso di ricerca a largo delle isole Tremiti e la Shell per le sue attività nello Ionio. Sono, insomma, le stesse compagnie petrolifere a non ritenere conveniente puntare su nuove attività estrattive nel mare italiano.
Vita mia, credi questo impiastro di petrolio sia un prezzo accettabile a confronto del disastro ecologico avvenuto nelle risaie di Trecate o nelle piattaforme Vega e Paguro?
Negli ultimi dieci anni il consumo di petrolio è diminuito del 33% e quello di gas del 21,6%. L’incidenza delle piattaforme a mare entro le 12 miglia è stata dello 0,95% del fabbisogno nazionale. Quella di gas del 3%.
La petrolizzazione avviene sulla pelle di tutti e non porta benefici alla collettività. La Basilicata, infatti, è la regione più povera d’Italia dopo essere stata dipinta come il Texas italiano. Le roialties sono le più basse al mondo (il 5-7% contro il 78% della Svezia) e quasi sempre nemmeno vengono versate perché i pozzi producono sotto certi limiti.
Quasi nessuno di quei pozzi è ancora attivo – a metà degli anni 90 si estraeva dieci volte più di adesso – ma le multinazionali chiedono il rinnovo delle concessioni perché costano pochissimo, sono piattaforme deserte, radiocomandate. Il petrolio è un affare ad alta densità di capitale e a bassa densità di lavoro, peraltro ad altissima specializzazione. Costerebbe molto di più smontare quei mostri e ripristinare l’ambiente come timidamente richiederebbe la legge. Nel nostro mare, entro le 12 miglia, ci sono ad oggi 35 concessioni di estrazione di idrocarburi (coltivazione). Se ho capito bene corrispondono a 92 impianti, 76 dei quali controllati da Eni.
Tre di queste sono inattive, una è in sospeso fino alla fine del 2016 (è quella di Ombrina Mare, al largo delle coste abruzzesi), cinque erano non produttive nel 2015. Le altre 26 concessioni, che sono produttive, sono distribuite tra il mare Adriatico, il mar Ionio e il canale di Sicilia, per un totale di 79 piattaforme e 463 pozzi.
Queste piattaforme, soggette a referendum, oggi producono il 27% del totale del gas e il 9% del greggio estratti in Italia (il petrolio viene estratto nell’ambito di 4 concessioni dislocate tra Adriatico centrale – di fronte a Marche e Abruzzo – e nel Canale di Sicilia).
Se vincesse il Sì quelle piattafome chiuderebbero con lentezza e ci sarebbe tutto il tempo per trovare una soluzione per i pochi addetti. e ci sarebbe tempo per creare lavoro investendo sulle energie rinnovabili.
In Italia sono già attivi 213 permessi di estrazione di petrolio e gas mentre altri 157
sono in fase di approvazione. L’obiettivo annunciato dal governo è quello di raddoppiare la produzione di idrocarburi
entro il 2020 e per raggiungerlo si approvano progetti di trivellazione tra le falde acquifere, in zone sismiche, perfino
in prossimità di vulcani sottomarini attivi, mentre alle compagnie petrolifere è riservato un sistema di tassazione
tra i più convenienti al mondo.
Negli Usa i miliardari fratelli Koch hanno finanziato con 10 milioni di euro per finanziare un gruppo di pressione per bloccare l’espansione di auto ibride o elettriche. Lì è legale, qui è più sottile: sono consentite donazioni anonime ai partiti per 100mila euro. L’Eni è protagonista di casi giudiziari per tangenti, fondi neri, rapporti con la P2. E’ una sorta di stato parallelo (libro omonimo). Paga decine di grandi firme facendole figurare nel tamburino della sua rivista Oil ma in realtà questi soldi servono a presidiare i giornali, i siti, i telegiornali. Per questo puoi leggere spesso stime inesistenti di nuovi posti di lavoro o dati truccati sui danni alla salute e all’ambiente provocati dall’”oro” nero. E non dovrebbe sfuggirti il ruolo dell’Eni nel dirottare le attenzioni dei nostri ministri degli Esteri e della Difesa. La Libia, dai tempi di Gheddafi fino alla guerra che sta per scoppiare, è la cartina di tornasole per questa nostra vicenda. Nel 2011 è stata accusata di aver pagato la tangente più grande del mondo per aggiudicarsi la licenza per il blocco petrolifero nigeriano.
Invece che fare buchi, non sarebbe meglio coprire tutti i tetti con un pannello fotovoltaico? E non sarebbe meglio vivere e lavorare in pace circondati da uno dei paesaggi più belli del mondo senza esportare la guerra sulle altre sponde del Mediterraneo?
Sono sicuro che ribatterai con argomenti altrettanto forti e che vorrai confrontare ancora le tue fonti con le mie. Non smetterò nemmeno un istante di amarti.
Fonte: Popoff Quotidiano
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