La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

lunedì 11 aprile 2016

Banche: affari in crescita per chi rileva i crediti in sofferenza

di Luca Martinelli
“Hai ricevuto la lettera di notifica?” chiede CrediFamiglia agli utenti che si collegano suwww.credifamiglia.it. La risposta è due righe più sotto: “Banca IFIS ha acquistato il tuo debito da un’altra Società che aveva originariamente concesso il finanziamento. Per onorare i tuoi impegni dovrai ora pagare quanto dovuto a Banca IFIS”. Un istituto di credito che nel corso del 2015 “ha acquistato sul mercato 4 miliardi di euro di crediti in sofferenza, superando gli 8 miliardi di portafoglio complessivo” come spiega ad Ae Andrea Clamer, responsabile Area NPL, cioè non performing loans. Banca IFIS ha sede a Mestre, è quotata in Borsa e presieduta da Sebastien von Fürstenberg. Ha chiuso il 2015 con un utile netto di 162 milioni di euro, in crescita del 68,9% rispetto all’anno precedente. A differenza delle altre banche, in 12 mesi ha visto crescere del 57,2% il valore delle sue azioni a Piazza Affari: Banca IFIS non dà prestiti, e perciò non ha un problema con le sofferenze, cioè i crediti inesigibili. Il suo core business è invece l’acquisto e la gestione di “pacchetti di sofferenze” altrui.
Chi vende lo fa per affrontare due ordini di problemi. Intanto, gestisce una massa significativa di posizioni con un’unica operazione, mentre in media ci vogliono oltre 7 anni per recuperare un credito di questo tipo, secondo le stime di Cerved, società leader in Italia nell’analisi del rischio che si è specializzata anche nella gestione delle sofferenze, agendo come servicer (vedi box). Chi cede, cioè, si affida ad un soggetto specializzato, come Banca IFIS. Cancellando questi crediti divenuti difficilmente esigibili, inoltre, le banche migliorano i propri conti, incidendo sui parametri vigilati da Banca d’Italia e Banca centrale europea: si alza la qualità degli impieghi, cioè dei prestiti, e si riduce il volume delle riserve che devono essere accantonate per fare fronte alle sofferenze, e in questo modo gli istituti possono aumentare l’offerta di credito. 
Chi cerca di capire come sia possibile creare ricchezza a partire da crediti deteriorati, deve invece tenere a mente un dato: Banca IFIS li acquista pagando -spiega Clamer- “in media il 4 e il 5% del valore outstanding”, cioè reale. Significa che un portafoglio da 4,1 miliardi di euro (quello acquisito nel 2015) è costato circa 200 milioni di euro. Come lavora Banca IFIS? “Partiamo con la segmentazione del portafoglio. Abbiamo industrializzato il processo di gestione: attraverso call center, interni ed esterni, e azioni domiciliari (andiamo a casa del debitore), con una rete di 100 agenti professionisti, che fanno parte del brand CrediFamiglia (Banca IFIS figura tra i clienti della GE. RI. Srl, società di recupero crediti recentemente sanzionata dall’Antitrust per pratiche commerciali scorrette, ndr). L’obiettivo è trovare un piano di rientro: se proponessimo rate non sostenibili, il danno sarebbe per tutti. Ci rivolgiamo a legali per quei soggetti, pochi, che hanno una capacità teorica di far fronte al debito, ma non la volontà di farlo. La maggioranza delle posizioni riguarda però debitori verso i quali non possiamo andare avanti con l’azione di recupero”. 
Banca IFIS, conclude Clamer, è attiva in un segmento ben definito di mercato: “I debitori sono persone fisiche, e sostanzialmente non ci sono garanzie. Si tratta di una fetta piccola ed estremamente frammentata: tante controparti con importi bassi, rispetto ai crediti alle aziende. L’importo medio di 8-10mila euro”. 
I dati raccolti dalla società di consulenza PricewaterhouseCoopers (PWC) evidenziano come negli ultimi 4 anni in Italia siano passati di mano circa 30 miliardi di euro di crediti in sofferenza, la maggior parte dei quali sono crediti al consumo. Secondo stime di PWC, nel 2016 il mercato dei non performing loans nel nostro Paese potrebbe toccare i 20 miliardi di euro. 
Ancora più grande è la massa di crediti in sofferenza che potrebbero “sbloccarsi” grazie alle misure elaborate dal ministero dell’Economia (Mef) e validate dalla Commissione europea (CE), al centro di un accordo raggiunto a fine gennaio tra il ministro Pier Carlo Padoan e il commissario alla Concorrenza Margrethe Vestager. I tecnici del Mef parlano di circa 70 miliardi di euro. A disposizione degli istituti di credito c’è un nuovo strumento, invero per niente innovativo: fa riferimento, infatti, all’idea di una “cartolarizzazione”. I crediti inesigibili vengono ceduti dopo esser state “impacchettate” in veicoli finanziari, che avendo quei prestiti (deteriorati) come sottostante potranno emettere obbligazioni, collocate sul mercato. “Dovrebbero essere destinate agli investitori istituzionali, e non cedute ai clienti, al dettaglio” spiega ad Ae Angelo Baglioni, del Dipartimento di Economia e Finanza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Lo Stato italiano offrirà delle garanzie, ma solo per i crediti definiti senior, ovvero quelli meno rischiosi: se il recupero non andrà a buon fine, cioè, e il veicolo non sarà in grado di remunerare gli obbligazionisti, questi verranno rimborsati con risorse pubbliche. La garanzia ha un costo, e sarà venduta a prezzo di mercato. 
Si andrà a creare una sorta di “mercato secondario” per i crediti in sofferenza, cui guarda anche il Fondo monetario internazionale, che 12 mesi fa ha pubblicato un paper dedicato alle strategie per “sviluppare un mercato per i non performing loans in Italia”. Secondo gli analisti, a limitarlo sono alcune caratteristiche del sistema bancario del nostro Paese, come il rischio reputazionale legato a una eventuale scelta di disfarsi di crediti in sofferenza nei confronti di soggetti con cui l’istituto vanta relazioni di lungo periodo, o il fatto che circa i due terzi dei non performing loans siano garantiti, e che in molti casi queste siano rappresentate da immobili. “La scelta di vendere le garanzie al di sotto del loro valore contabile -spiega il working paper del Fondo monetario- potrebbe modificare il prezzo di altre garanzie simili”, e in questo caso il vantaggio per l’istituto di credito potrebbe essere vanificato. 
Quello dei “crediti in sofferenza” è in ogni caso un nuovo mercato che alcuni soggetti hanno saputo leggere ed anticipare, come la holding Tages che a fine 2013 ha acquisito Credito Fondiario spa (FONSPA, www.fonspa.it) “con l’obiettivo di creare una piattaforma di natura bancaria focalizzata sul mercato del credito deteriorato e illiquido in Italia”. Dopo aver “trattato” l’acquisto di sofferenze di Banca Marche, Fonspa ha concluso -nel novembre scorso- un accordo per circa 300 milioni di euro di non performing loans di Banca Etruria. Si tratta di due dei 4 istituti di crediti commissariati a fine novembre dal Governo italiano, proprio per un problema di sofferenze in eccesso. Il presidente di Credito Fondiario è Piero Gnudi, già ministro degli Affari regionali nel governo di Mario Monti, oggi commissario per l’ILVA, nominato dal governo Renzi, e del cda di Tages fa parte anche Lorenzo Bini Smaghi, che è anche presidente del gruppo bancario francese Société Générale (presente in 76 Paesi) e potrebbe diventarlo a breve anche di Chianti Banca, una delle maggiori BCC toscane. Il meccanismo di cartolarizzazione, però, non dice niente circa l’effettiva capacità di risolvere la sofferenza, obbligando il debitore a pagare. C’è, così, chi ha fatto scelte più concrete: Algebris Investment, guidato dall’italiano Davide Serra, ad esempio, ha lanciato un fondo denominato Algebris NPL Italy Fund, che a fine dicembre 2015 ha acquistato da Deutsche Bank un portafoglio di crediti in sofferenza il cui valore è pari a 172 milioni di euro. Comprende 130 crediti, 48 debitori e 698 unità immobiliari, l’83% delle quali localizzata in Lombardia. Il pacchetto di Npl è passato di mano per un ammontare pari a circa il 41% del valore lordo, cioè 65-70 milioni. 
La differenza nella valutazione tra le sofferenze comprate da Banca IFIS e quelle acquistate da Algebris è che le seconde sono garantite da beni che possono essere venduti, e cioè immobili. Il 10 febbraio, nel corso della conferenza stampa a margine di un Consiglio dei ministri, il presidente Matteo Renzi (Serra è tra i finanziatori della Fondazione Open, che promuove la manifestazione Leopolda, legata al premier) ha annunciato una misura per agevolare la vendita di immobili “in esito a procedure esecutive”, legate ad esempio al fallimento dell’azienda che aveva posto quell’immobile a garanzia di un prestito. Dovrebbe prevedere (il testo non è ancora stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale) una netta riduzione dell’imposta di registro “che -si legge nel comunicato- deve essere versata nella misura fissa di 200 euro (anziché del 9% per valore di assegnazione)”. Una misura -spiega il professor Baglioni della Cattolica- volta “a facilitare il realizzo del valore delle garanzie”. Ma le banche hanno capito la lezione? “Le imprese lamentano che l’offerta di credito sia ristretta”. Una misurazione fondata sulla quantità, e non sulla qualità. 
In dettaglio
CHI RECUPERA I CREDITI DELLE BANCHE
Una massa di quasi 80 miliardi di euro di crediti in sofferenza è affidata dalle banche a dieci soggetti esterni, definiti “servicer”. Queste realtà non acquistano i non performing loans ma ne curano la gestione e si occupano del recupero crediti in cambio di una fee, una percentuale degli incassi effettivi sul portafoglio gestito. I primi operatori sul mercato italiano sono Italfondiario (controllato dal fondo Usa Fortress), Cerved (quotata alla Borsa di Milano e partecipata da fondi d’investimento e dalla banca centrale norvegese), Prelios (quotata a Piazza Affari, e partecipata da China National Chemical Corporation, Marco Tronchetti Provera, Mps, Unicredit, Intesa Sanpaolo), Centrale Attività Finanziarie S.p.A. (di Paolo Giorgio Bassi, già presidente di BPM e vice presidente dell’Associazione bancaria italiana) e Primus Partners, partecipata al 10% dal governo cinese, tramite Genertec, e da Sovigest, società valorizzazione immobiliari e gestioni il cui vicepresidente, Luigi Scimia, è stato direttore centrale di Banca d’Italia. 
Parola chiave
SOFFERENZA
Si parla di sofferenza quando il cliente di una banca è valutato in stato di insolvenza, e considerato cioè irreversibilmente incapace di saldare il proprio debito. Non è necessario che lo stato venga accertato in sede giudiziaria, ovvero con una sentenza che riconosca il fallimento. GBV, o Gross Book Value (valore contabile lordo), è la misura del volume delle sofferenze -o non performing loans, NPL, in inglese-: indica la cifra cui le stesse sono iscritte nei bilanci degli istituti di credito. Normalmente, chi acquista “pacchetti di sofferenze” lo fa a sconto, cioè contrattando il pagamento di una percentuale del GBV. 

Fonte: Altreconomia

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