La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere. Antonio Gramsci

sabato 18 giugno 2016

Mettere in rete le "città del cambiamento" in Europa

di European Alternatives 
Stanzialità e nomadismo, insediamento e flussi, hanno da sempre caratterizzato la natura stessa delle città. Con straordinaria efficacia, per descrivere il ruolo degli spazi urbani nel Mediterraneo del Cinquecento, Fernand Braudel scrive: “Le città, punti immobili delle carte, si nutrono di movimento.” E questa long durée, questa continuità storica, si ritrova anche nelle profonde trasformazioni che hanno segnato le città europee negli ultimi decenni. Fin dal tardo Medioevo infatti le città in Europa hanno svolto un ruolo cruciale come luoghi di ripresa economica, di rilancio della produzione, artigianale e manifatturiera, della creazione artistica e culturale, come nodi di estese reti commerciali, spazi di liberazione individuale e collettiva dai vincoli servili. Lo sviluppo urbano ha, da allora, accompagnato i progressi storici nel nostro continente. E le città sono state, al tempo stesso, palcoscenico e attore principale di qualsiasi processo di trasformazione economica, culturale e sociale.
Negli ultimi decenni, la fine del modello di produzione fordista, le nuove forme di organizzazione del lavoro – diffusa, immateriale e reticolare -, la crescente finanziarizzazione dell’economia hanno ancora una volta profondamente alterato la natura, il ruolo e la funzione delle città europee. Esse si presentano simultaneamente come l’ambiente di una ristrutturazione su scala metropolitana della produzione e della riproduzione sociale, e gli hub delle reti globali di comunicazione e di scambio, oggetto di investimenti finanziari sulla proprietà immobiliare, le infrastrutture e la conseguente rendita speculativa.
La combinazione di questi processi ha generato nuove contraddizioni, ulteriori squilibri e più drammatiche diseguaglianze. I problemi irrisolti della vita urbana sono stati esacerbati dalla gestione delle crisi negli ultimi otto anni e le conseguenze delle politiche di austerità, che hanno tagliato i trasferimenti monetari ai bilanci delle Autorità locali, riducendo lo spazio dell’autogoverno per autonome politiche territoriali, hanno spesso logorato il tessuto stesso della coesione sociale. Ma, allo stesso tempo, le città sono state e sono teatro di esperienze di resistenza e di innovazione, spesso in termini di rotture spontanee: il luogo in cui sono esplose le più incisive proteste di piazza e in cui si sono sviluppati diffusi fenomeni di cooperazione solidale; dove sono emersi nuovi movimenti sociali, processi indipendenti di creazione artistica e culturale, e d’innovazione produttiva.
La stessa Commissione Europea ha recentemente sottolineato il ruolo guida delle città e delle aree metropolitane nella costruzione delle scelte dell’Unione e la necessità di un maggiore coordinamento e di uno scambio permanente tra di esse. Alcuni dati dimostrano la rilevanza della questione: oltre il 70% degli europei vive in aree urbane, là dove si concentrano mobilità, produzione, commercio e relazioni sociali. Nelle aree metropolitane si determinano il 75% del consumo energetico e l’80% delle emissioni inquinanti, ponendo i contesti urbani al centro dell’attuale crisi climatica e ambientale. Ma le aree urbane sono anche il luogo dove politiche innovative potrebbero produrre risultati significativi per uno sviluppo sostenibile e una trasformazione sociale ed ecologica ancora più radicale. Politiche europee coerenti potrebbero fissare obiettivi e promuovere strategie, come risultato dello scambio, verifica e diffusione di esperienze innovative già realizzate in alcune aree.
Tali considerazioni sono ancor più valide di fronte alla crisi di consenso e legittimazione delle istituzioni sovranazionali dell’UE, e alla crisi di ruolo degli Stati nazionali, paradossalmente ridotti, proprio mentre si assiste a una “rinazionalizzazione” del discorso politico (dalla crisi dell’Eurozona alla “crisi dei profughi” e degli accordi Schengen), a funzioni esecutive di decisioni determinate altrove. Proprio in un contesto così critico, le città – come è stato nei momenti decisivi di transizione nella storia europea – possono tornare a svolgere un ruolo da protagoniste. Non solo per le ragioni già ricordate, ma perché possono candidarsi ad essere luoghi di radicale innovazione politica, di vera e propria reinvenzione della democrazia. E, in questo modo, offrire risposte alle principali sfide della contemporaneità.
Vi è una lunga tradizione “municipalista” di pensiero e di pratiche orientate in questo senso, tutta da riscoprire, dai Comuni medievali alla sua ripresa degli anni Novanta del secolo scorso. Questa tradizione sembra oggi rivivere in esperienze di governo “per il cambiamento”. Sono a tutti note le piattaforme civiche che, nate dai movimenti che hanno riempito le piazze di tutta la penisola Iberica a partire dal 15M 2011, hanno conquistato col voto del maggio 2015 le più importanti città dello Stato spagnolo, a partire dall’elezione di Ada Colau a sindaco di Barcellona, di Manuela Carmena a Madrid e di tante e tanti altri a Valencia, La Coruna, Saragozza. In questo primo anno di governo hanno già introdotto importanti innovazioni nelle politiche di queste Amministrazioni, investendo in particolare nel “protagonismo dei cittadini” cioè nella massima trasparenza e nella loro partecipazione diretta alle scelte. Hanno scelto di investire maggiori risorse in nuove politiche di welfare, adatte a contrastare i fenomeni d’impoverimento generati dalla crisi. Sono intervenute sulla pianificazione urbanistica, avviando politiche abitative più favorevoli alla residenza di singoli e famiglie a basso reddito. Hanno impostato programmi di sostegno ad un’economia più equa e solidale, modificando le regole degli stessi appalti comunali. Stanno provando a ri-municipalizzare essenziali servizi pubblici locali, che erano stati privatizzati negli anni scorsi. Hanno deciso, anche in contrasto con le scelte nazionali ed europee, di dedicarsi all’accoglienza di profughi e rifugiati.
Certamente quanto sta avvenendo nella Penisola Iberica rappresenta la punta avanzata, dal punto di vista simbolico e materiale, di un “nuovo municipalismo” che prova a reinventare pratiche democratiche a partire dalla dimensione locale. Ma è altrettanto vero che l’intera mappa d’Europa è punteggiata da casi già affermati o da iniziative in embrione, che sperimentano nuove possibili relazioni tra cittadinanza e istituzioni locali e che provano così a rispondere creativamente alle sfide poste dai problemi dello sviluppo e della convivenza urbana. Con questo spiritoEuropean Alternatives ha avviato da sei mesi a questa parte un lavoro di prima mappatura, su scala europea, delle “città del cambiamento”, ovvero di quei casi dove l’iniziativa dal basso della cittadinanza attiva, cioè di movimenti, associazioni, progetti sociali e culturali indipendenti, s’incontra con originali esperienze di governi locali, fortemente votati all’innovazione. I primi risultati di questo lavoro sono sorprendenti. A Nord come a Sud. A Est come a Ovest. Ne citiamo qui solo alcuni: le città di Birmingham e Bristol nel Regno Unito, il governo del Land Turingia in Germania, una metropoli del Mediterraneo come Napoli e una città ai piedi delle Alpi come Grenoble, numerose amministrazioni comunali e due governi regionali, quelli dell’Attica e delle Isole Ionie, in Grecia, centri della Polonia come Wadowice e Slupsk.
Per questo European Alternatives ha attivamente partecipato al primo incontro delle Autorità Locali sui trattati di “libero scambio” di ultima generazione che si è svolto a Barcellona il 21 e 22 aprile scorsi, concludendosi con una importante richiesta di ascolto rivolta alla Commissione Europea. Per questa abbiamo organizzato, insieme a L’Asilo, Euronomade, Massa Critica e ACT, il 19 maggio scorso a Napoli, un primo incontro di confronto e discussione tra realtà italiane e l’esperienza di Barcelona en Comù, sulle diverse iniziative “per la democrazia in Europa” e il contributo che tali “laboratori municipali” possono dare ad un suo processo costituente. Nelle prossime settimane pubblicheremo sul nostro sito articoli di approfondimento dedicati a singole esperienze locali e a singoli temi.
Ma pensiamo non ci si possa fermare a una semplice, per quanto necessaria, ricognizione fotografica dell’esistente. L’esperienza dell’ultimo anno ha anche evidenziato limiti e contraddizioni di queste realtà alternative. La vita di ogni territorio è attraversata da flussi economici e finanziari che sfuggono al controllo e alla decisione democratica locale. Le stesse modalità di relazione tra cittadinanza attiva e governi locali si rivelano spesso problematiche. Così come vincoli giuridici e istituzionali sovraordinati, a livello statale ed europeo, limitano fortemente il raggio di azione anche della più innovativa amministrazione cittadina o regionale.
Per evitare che questi problemi si traducano nella resa all’impossibilità del cambiamento, pensiamo che due strade vadano parallelamente percorse e intrecciate. Innanzitutto organizzando lo scambio permanente tra queste esperienze come terreno di reciproco apprendimento: il trasferimento della conoscenza di singoli progetti, di singole modalità di partecipazione civica, sperimentati da questa o quella città può aiutare ad affrontare e risolvere i problemi che emergono in un altro contesto urbano, e ad adattare e migliorare le pratiche già in atto. In secondo luogo, la costruzione e lo sviluppo di relazioni di rete tra le “città del cambiamento” possono risultare decisivi nell’incrementare il potenziale di intervento e pressione politica nei confronti delle istituzioni statali ed europee: per affermare un reale protagonismo delle comunità e dei governi locali nelle decisioni politiche che li riguardano, contribuendo – insieme a tante e tanti altri – all’inversione dei rapporti di potere oggi dominanti in Europa e all’individuazione di soluzioni realmente alternative. 
Su questi obiettivi oggi European Alternatives è fortemente impegnata. Perché sul destino delle città, e quindi dell’Europa di cui sono elemento costitutivo e originario, la pensiamo come Lewis Mumford: “il magnete viene prima dell’involucro”. E della capacità attrattiva e connettiva di molti differenti magneti abbiamo tutti disperato e speranzoso bisogno.

Fonte: Euroalter.com

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